Fantasmi del palcoscenico: codice ballerino

Chi conosce Anna, conosce bene anche il suo sorriso. Non è uno di quei sorrisi stampati, di scena, che usano spesso le danzatrici sul palco per mascherare la fatica. Il suo sorriso resta acceso anche a sipario chiuso. Ti arriva subito, diretto, con un sapore autentico, il buon sapore di una volta, quello che nasce, forse, anche dalla sua grande passione per i canti e le danze popolari, per i balli retrò, quelli nati spesso in ambienti contadini, quelli che lei insegna da trent’anni, affiancandoli alla danza classica, a quella contemporanea e persino alle danze dell’antica Roma, formando così generazioni di ballerini.

Non lo ha affatto perso Anna, quel sorriso, mentre mi racconta la sua storia. Eppure è una storia strana, paradossale, kafkiana, a tratti un po’ triste, di quelle che sembrano quasi finte per quanto sono vere. Di quelle che si possono definire all’italiana e che rischiano ora di mettere a repentaglio trent’anni di professionalità e di sacrifici. Sacrifici, sì. Anche perché Anna non ha certo scelto un ambiente semplice in cui svolgere il proprio mestiere.

Chi immagina la danza come una cosa adatta solo a giovani ragazze di buona famiglia, elegantemente fasciate da un tutù, non andrebbe certo ad aprire la sua scuola proprio ad Acilia: periferia di Ostia, periferia di Roma. Periferia della periferia. Anna, invece, si è piazzata proprio lì. E lì è rimasta ostinatamente. Da trent’anni. Mantenendo lo stesso semplice sorriso, sia affrontando i coattelli della zona, sia ballando il flamenco con Antonio Banderas, sia facendo la fata con Michelle Pfeiffer e Rupert Everett, nella versione hollywoodiana di “Sogno di una notte di mezza estate”.

Perlomeno è stato sempre così in passato, fino allo scoppio della pandemia.

“A febbraio del 2020 eravamo andate con le ragazze del flamenco a ‘Danza in fiera’, una bella manifestazione che organizzavano a Firenze – mi racconta Anna – Eravamo tutte felicissime, serene, piene di energia. È stato davvero un bel momento, l’ultimo. Perché poi, subito dopo, il 5 marzo, chiusero le scuole. Chiusi anche io i miei corsi di danza, per correttezza, come faccio sempre attenendomi alle disposizioni delle scuole pubbliche, avendo fra gli allievi anche bambini molto piccoli. Pensavo fosse solo una cosa temporanea, che sarebbe durata un paio di settimane al massimo. Come sai, è andata diversamente”.

“Pochi giorni dopo, l’otto di marzo del 2020, è uscito il famoso decreto che dava inizio al lockdown. Era domenica, me lo ricordo bene, perché ho pianto tutta la notte – prosegue Anna con la voce un po’ rotta dall’emozione – capendo subito che c’era qualcosa di strano, di diverso da come me l’ero immaginata fino a pochi giorni prima. Per qualche settimana ho atteso gli eventi. Però non mi sono persa d’animo. Anzi quello è stato un momento molto creativo. Realizzavamo video, inviavo video ai bambini… Ancora non avevamo iniziato a lavorare con le piattaforme come Zoom, si faceva tutto in modo piuttosto artigianale. Però c’era ancora entusiasmo, speranza”.

“Perderemo qualche lezione, ma poi magari recupereremo a luglio. In quel momento la pensavo così. Quando poi abbiamo visto che il lockdown proseguiva anche ad aprile, abbiamo avviato delle lezioni on line in modo più strutturato e anche quello inizialmente sembrava divertente, stimolante. Poi però, niente, il lockdown non finiva più. Finivano i soldi, però. In quel primo periodo per fortuna abbiamo percepito i fondi che hanno dato a tutte le partite Iva. Fino a maggio. Poi più niente, ci hanno dimenticato”.

“Ah già perché, non te l’ho detto, ma io a inizio del 2020 ho trasformato la mia società, che era una snc, aprendo una partita Iva – mi fa Anna – Con una perfetta tempistica alla Tafazzi, pensando a quello che è successo dopo. Molte scuole di danza, infatti, ai fini di avere agevolazioni fiscali, si sono istituite in associazioni sportive dilettantistiche. Io invece no. Anche perché, come molte altre colleghe, non voglio essere considerata sport, né dipendere dal Coni. La danza è un’arte, non ha nulla di agonistico, non è una gara. Però questa mia scelta mi è costata un po’ cara”.

È qui che comincia la parte più paradossale della vicenda di Anna e della sua scuola.

“Alla fine abbiamo fatto un mese di lezione, a giugno. Poi, dopo la pausa estiva, a settembre abbiamo riaperto. Avevamo qualche iscritto in meno dell’anno precedente, ma la situazione sembrava ancora più o meno normale, gestibile. Peccato che ad ottobre sia arrivata la doccia fredda della nuova chiusura, quella che dura ancora adesso e che non finirà prima di giugno”.

“In questa seconda fase non si è riproposto certo lo stesso clima di solidarietà della volta precedente. Appena saputo della nuova chiusura, in molti hanno voluto disdire subito l’iscrizione, chiedendo rapidamente indietro le quote versate. E sai chi è stato il più aggressivo e ansioso nel volere un rimborso immediato? Le famiglie con uno stipendio fisso. Mentre invece, chi magari era finito in cassa integrazione, o aveva perso il lavoro, è stato più disponibile ad attendere, o a proseguire i corsi via web, o comunque a trovare soluzioni di compromesso. Sembra assurdo ma è così”.

“Intanto, mentre la mia scuola era chiusa, è stato emanato un decreto che autorizzava gli allenamenti per la gare sportive di interesse nazionale. Ovviamente tutte quelle scuole di danza che risultano come associazioni sportive ne hanno approfittato. Iscrivendo tutti, anche bambini di sei o sette anni, a presunte ‘gare’ sportive e trasformando i corsi in ‘allenamenti’, di fatto sono potute restare aperte, grazie a questo escamotage. Noi invece no. Al che, io ho lasciato i miei allievi liberi di scegliere se proseguire o meno le lezioni on line. Qualcuno lo ha fatto, la maggior parte no”.

“Li capisco. Considera che molta gente che veniva a danza, soprattutto gli adulti, lo faceva principalmente per stare insieme agli altri, per fare amicizia, per incontrare persone nuove. Tutte cose che non possono essere certo fatte via Zoom. Ma non è solo quello. C’è anche una difficoltà oggettiva. Fare lezione da casa non è la stessa cosa che farlo in una scuola. Pensa ad esempio agli esercizi alla sbarra, o ai salti su un pavimento di marmo anziché su un parquet. Alcuni esercizi, anche essenziali, sono stata costretta ad eliminarli, per non mettere a rischio l’incolumità fisica degli allievi”.

I mesi da ottobre a dicembre, per Anna, sono stati i più difficili da un punto di vista economico.

“Per prima cosa c’è stata l’assurdità dei codici Ateco. A differenza di quanto avvenuto durante la prima chiusura, i fondi stavolta sono stati assegnati non in uguale misura a tutte le partite Iva, ma solo in base ai codici Ateco. E così io, come partita Iva, durante questa seconda chiusura non ho percepito nulla. Questo perché non esiste nessun codice Ateco specifico per gli insegnanti di danza, ma solo un codice generico per ‘altro tipo d’insegnamento’, che è quello che mi è stato assegnato. Che però è anche un codice non contenuto in nessuno dei decreti ristori fin qui emanati”.

“Veramente una cosa assurda. In questo modo hanno tagliato fuori, oltre me, una marea di persone e di categorie più o meno atipiche. Ha delle falle enormi il sistema dei codici Ateco. Realizzati così, direi che i codici servono a poco o nulla. Sarebbe meglio abolirli. Dopo questa scoperta, per me è iniziato un momento di disperazione vera. Non sapevo proprio dove sbattere la testa. Per un po’ non sapevo nemmeno come mangiare. Mi è crollato il mondo. Ho fatto domanda ovunque. Anche come spazzina. Anche come bidella e come donna delle pulizie. Poi per fortuna, da dicembre, ci sono state due novità positive che mi hanno permesso di nuovo di respirare”.

“La prima è che il Ministero dei Beni Culturali, grazie anche alle pressioni di alcune associazioni di categoria che non fanno capo al Coni, ha finalmente stanziato un fondo per le scuole di danza che erano nelle mie stesse condizioni. Non c’è da immaginare chissà quanti soldi. Siamo sull’ordine, a spanne, di un 15%/20% di quanto incassavo in precedenza. Ma intanto questo mi ha dato un minimo di respiro e permesso di pagare un po’ di debiti, alcune spese vive, l’affitto della sede, cose così. Certo è un fondo che non fa differenza fra chi svolge questa attività per lavoro, come me, quindi pagandoci le tasse, o alcune associazioni di tipo più dopolavoristico. È un fondo dato a tutti. Però va bene, l’importante è che qualcosa sia arrivato, anche se alla fine ci è arrivato solo a Pasqua”.

“La seconda è che, a sorpresa, una scuola elementare mi ha chiamata per fare una supplenza. Ora insegno italiano, storia, musica e arte ai bambini di seconda. Per me è anche una bella opportunità, che mi permette di esprimere un po’ della mia creatività e della mia passione per l’insegnamento. Ringrazio il cielo ogni giorno, perché mi ha dato questa possibilità. Il rapporto coi bambini è bellissimo ed è questo che mi permette di sopravvivere, sia mentalmente, sia su un piano economico. Cosa che solo con i fondi ricevuti per la scuola di danza mi sarebbe stata negata. Fino a giugno è così, poi il contratto scade e si vedrà”.

Al di là delle questioni economiche, per Anna c’è stato anche un pesante contraccolpo psicologico e a livello creativo.

“La creatività non è che si fermi, però quando incontri tanti problemi, tante difficoltà, è anche difficile realizzare le cose che hai ideato. Essere creativi diventa quindi molto più difficile. E poi i dubbi sono tanti. Si potranno fare alcune iniziative? E gli spettacoli si potranno mettere in scena? Quando? Come? Dove? All’aperto? Al chiuso? Distanziati? Psicologicamente tutto questo è devastante e rischia di paralizzarti tanto quanto le chiusure”.

“Questo non vale solo per me, ma anche per i miei allievi. So di alcuni bambini che hanno avuto attacchi di panico. Altri che hanno situazioni difficili in casa, magari perché i genitori litigano o hanno perso il lavoro e assorbono questo clima in modo molto pesante. Venire a danza, per chi vive situazioni difficili, era anche uno sfogo, un modo per uscire da certi problemi. Una possibilità che ora è negata. Sentendo molti miei colleghi c’è una situazione analoga un po’ ovunque. Per questo c’è anche chi è così sfiduciato da non tenere più nemmeno i corsi on line. Ma anche chi va avanti, almeno virtualmente, come me, facendo sacrifici, si chiede se davvero prima o poi si vedrà una luce, una fine”.

“Sai cos’è? È che questa situazione è la negazione totale di ciò per cui mi sono spesa per tutta la vita. Io ho sempre lavorato dando grande importanza alle emozioni, al contatto fisico, all’abbraccio, al lavorare insieme. Il logo della mia scuola è il quadro della danza di Matisse, che è un circolo, un girotondo, in cui tutti si danno la mano. Il Covid ha trasformato queste cose – il contatto, l’abbraccio, il darsi la mano – da positive che erano, in potenziali pericoli”.

“Non c’è quasi più niente di vero in questo momento, di fisico, di autentico. Io ho spesso usato la danza per evitare che i bambini, anche piccoli, passassero intere giornate su TikTok, facendoli esprimere in un modo più concreto, più reale. Adesso invece bisogna ringraziare proprio internet perché ci concede ancora una parvenza di socialità. Sai, per me è un po’ come dover rinnegare tutto ciò in cui credo da sempre”.

Il tono di Anna, per un attimo, è un po’ meno brillante, meno allegro.

“Oggi non so esattamente quando riapriremo. Non so se una volta riaperti ci faranno richiudere in autunno. Non so nemmeno se tutto tornerà come prima, o se la gente avrà comunque paura. Io in genere sono abbastanza positiva, però, sai, adesso sinceramente sono un po’ stanca. Cerco di adottare un’unica strategia: vivere il presente, affrontare una cosa per volta, senza pensare a domani. È l’unico modo per sopravvivere”.

Prima di salutarmi, Anna ritrova comunque, per un momento, il suo sorriso.

“Dai che torneremo presto a teatro, al cinema, in un museo, a prendere un caffè seduti al tavolo. Anzi, sai che c’è? Appena sarà possibile ci andremo insieme, ok?”.

Mi saluta così, senza aggiungere altro.
Chi vivrà vedrà.

 

La biografia artistica, i video e le foto degli spettacoli di Anna, sono visibili sul sito internet annacirigliano.it e sulla sua pagina Youtube.

 

 

Gli articoli della serie:

– I fantasmi del palcoscenico

– Codice ballerino

– Note stonate

– Noi siamo semi

 

 

One thought on “Fantasmi del palcoscenico: codice ballerino

  • 20 Aprile 2021 in 5:49
    Permalink

    Grazie per questo articolo che parla di noi artisti, poco conosciuti e dimenticati, e dei problemi che abbiamo avuto in questo periodo. Anna

    Risposta

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