L’indagine scatologica: cap. 6

Sesta puntata del romanzo giallo d’appendice “Mario Marco e l’indagine scatologica. Ovviamente, questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.

 

7 NOVEMBRE

Occupato. Libero. Uno, due, tre, quattro squilli. L’utente non è raggiungibile, riprovi più tardi. Occupato. Occupato. Occupato. Libero.

– Il Geometra Merola?

– Chi è?

Sono il vicecommissario Mario Marco. Posso parlare con il Geometra, per favore?

– Sono io – Il tono era piuttosto glaciale.

– Buongiorno. Volevo dirle che per il momento non ci sono novità. Mi sente?

– Sì, scusi, sto in cantiere – Rumore di camion in sottofondo.

– Mi scusi se la disturbo… – disse Mario Marco, pentendosi subito dopo di quel tono un po’ reverenziale – Non c’è nessuna novità, le dicevo.

– Nessuna novità?

– Nessuna novità. Però avevo una cosa da chiederle. Per scrupolo.

– Sono qua.

– Le dice niente il nome Baglioni?

– Baglioni come?

– Baglioni… – Il vicecommissario riguardò i suoi fogli – Baglioni Enrico. È un geometra anche lui, lavorava per il Comune, adesso…

– Lo so.

– Lo conosce, allora?

– Lo conosco. E allora? – Tono sempre più gelido.

– È una persona con cui ha avuto a che fare? Intendo, c’è, c’è stato qualche problema tra voi?

– C’entra qualcosa con la faccenda di cui si occupa lei?

– Veramente, lo sto chiedendo io a lei. Può essere una persona che nutre risentimenti per lei? Potrebbe essere capace di fare una cosa così? È solo un’ipotesi, niente di più.

– Mah… No, non credo. Al contrario, dovrebbe baciarmi le mani… – Merola ridacchiò. O forse era solo la linea disturbata.

– Volevo dirle che ho ricevuto un’altra di quelle… lettere – Ora era tornato serio.

– Dov’è?

– A casa mia.

– Posso andare a prenderla?

– Telefono a Dolores. Quando passa?

– Nel pomeriggio.

 

Nel parcheggio di fronte al “Blues cafè” si sentiva solo il tum-tum delle autoradio. Era l’ora in cui davanti ai microfoni prendevano posto i volgarizzatori della techno più commerciale, i predicatori dell’ambient e del garage, i missionari dell’house, che di solito si nascondevano dietro nomi vistosi come catarifrangenti: Mister Virus, Doctor Ice, Dj X-One, Dj Master, Doctor Killer, Dj Cocuzza, Ninjia Music.

Mario Marco era seduto in macchina – la solita macchina di servizio, una Uno senza contrassegni – con le spalle all’entrata del locale. Nel parcheggio, da sinistra, entrò una Volvo 480. Il commissario non si sporse nemmeno. Sapeva che Mina non sarebbe scesa da un’auto così. Aveva una sua particolare teoria sulle auto e sul tipo di persone che le guidano. Una Volvo 480 non poteva essere un’auto da donna, per esempio. Troppo aggressiva, piena di angoli acuti. Una donna avrebbe scelto, al limite, una Tigra. Abbastanza aggressiva, ma dai tratti rotondi. E comunque Mina non sarebbe scesa da una Tigra, se lo sentiva, o da una Mini. Né da una Renault 4 o da una scassatissima Due Cavalli. Esclusa anche la Uno, troppo da impiegata. Peggio ancora una Cinquecento, magari gialla e con i peluche sul cruscotto. Da archiviare anche la 126, decisamente. Troppo vecchia. Eppoi poteva andare bene per una studentessa di Lettere o per una supplente di scuola elementare. Difficile che la macchina giusta fosse una Twingo, o una Panda, pure abbastanza femminili. Restavano ancora la Y10 – non il modello nuovo che invece è già abbastanza maschile – la Clio o la Micra, che però era già una macchina di confine, anche se aveva quell’inutile servosterzo…

 

Mentre era impegnato a redigere il suo catalogo comportamental-sessual-automobilistico, Mario Marco si accorse che la Volvo 480 si era accostata solo quando dal finestrino abbassato lo investì una raffica sonora.

Uno a zero, pensò. Non era una Y10.

La ragazza alla guida portava un berretto da baseball nero, di velluto. Un parka nero lungo, di nylon o qualcosa di simile, imbottito. Pantaloni neri attillati e degli scarponi altissimi, neri. La ragazza mise una mano in tasca e tirò fuori un pacchetto di sigarette. La musica usciva dal finestrino come un torrente in piena.

La ragazza prese dall’altra tasca un accendino a forma di revolver. Il vicecommissario uscì dall’auto, e la guardò meglio. Lei si girò.

– Mina?

– Eh? – fece lei.

– Sono il commissario Mario Marco. Lei è Mina?

– Sono Mina. Entriamo? Qui fanno dei cocktail abbastanza buoni.

 

Mina si era tolta il cappello ma non il parka. Sedeva di fronte a Mario Marco giocherellando con il porta-tovaglioli. Il commissario la osservò meglio. Le sue labbra erano colorate di viola. Sotto il labbro inferiore si era disegnata due gocce, che facevano molto vampira. La manica del parka nascondeva per metà, sul polso sinistro, un tatuaggio.

– Che cosa mi voleva dire? – chiese Mario Marco.

Una cameriera venne a prendere le loro ordinazioni. Lei chiese un Margarita, lui un succo di frutta. Poi ci ripensò, e ordinò una Coca-Cola.

– Lei è quello che si occupa della faccenda delle lettere, no? – Chiese Mina.

– Sì.

– E che cosa ha scoperto? Chi è che ce l’ha con mio padre?

Mario Marco bevve un sorso – Guardi, ho appena cominciato. Abbiamo inviato tutto al laboratorio di analisi. Speravo che lei mi potesse dare qualche indicazione, suo padre non è stato molto collaborativo.

– Lo so. Ha dei problemi. Ha paura.

– Paura di cosa?

– C’è della gente… degli amici, che gli hanno creato qualche problema. Sa, mio padre ha molti interessi, no? In molti campi…

– Lei lavora con suo padre?

– Sì, mi occupo della contabilità. Però non vedo le carte, i progetti. Eppoi ci sono delle attività di certe società che io non conosco. Per esempio, tutta la questione di Eurocartoon. Ha presente, no? Ecco, diciamo che mi occupo soprattutto delle case in affitto, di alcune costruzioni nuove, dei rapporti con i fornitori – Fece una pausa, poi: – Senta, le devo chiedere una cosa.

– Mi dica.

– Ecco… – la ragazza si avvicinò a Mario Marco, e abbassò la voce – lei lo ha visto preoccupato, mio padre?

– L’ho incontrato solo una volta. Mi è sembrato… riservato. Secondo lei è preoccupato?

– Sì.

– E perché? – Mario Marco guardò l’orologio. Stava cominciando a rompersi di quella conversazione surreale.

La ragazza finì il suo cocktail, e fece un cenno alla cameriera, che se ne stava appoggiata al bancone. Un altro Margarità planò sul tavolo.

– Ci sono delle persone che girano intorno a mio padre – riprese la ragazza – gliel’ho detto prima. Degli amici che non sono tanto amici. Io non conosco bene gli affari di mio padre, capisce? E poi lui non è il tipo che si fa aiutare.

– Però si è rivolto al commissariato.

– Sapesse quanto ho insistito! Abbiamo litigato tanto. Da quando non c’è più mia madre, sono io che mi occupo di tutto a casa, perché mia sorella studia ancora e poi è un po’ depressa – depressa, registrò Mario Marco, e mise a confronto quel “depressa” con la definizione di Bordone, “un po’ matta” – e mio fratello è in America. Studia anche lui. Fa un master di economia.

– Ah – fece Mario Marco, ora più interessato – Puoi dirmi qualcosa su questi amici di suo padre?

– C’è un ingegnere che si chiama Bordone. Un traffichino. Non mi sembra una persona pulita… Poi c’è un vecchio, che ho visto una sola volta, non mi ricordo il nome, vive in Francia. Poi ci sono delle altre persone, persone che papà ha aiutato quando erano in difficoltà. Mio padre, anche se sembra uno che pensa solo al lavoro e agli affari suoi, si dà da fare, aiuta gli altri. Lo sa che ha comprato due ambulanze per l’ospedale?

– No, non lo sapevo. Senta, mi dica qualcosa di più su queste persone che suo padre ha aiutato…

– Mah, sa, per cominciare delle attività, tipo aprire un negozio, servono sempre un po’ di soldi, delle garanzie. Sa come funziona. Ecco, papà aiuta un sacco di gente, quando può.

Una definizione fin troppo gentile per uno strozzino, pensò Mario Marco. – E lei conosce qualcuna di queste persone?

– Sì e no. Uno è Celli, il gioielliere. Poi c’è Mauro, il tappezziere, ma non so il cognome. Poi un meccanico, Angelino Fredda, poi c’è Cuccia…

 

Puntata 5. Puntata 4Puntata 3. Puntata 2Puntata 1 e lista dei personaggi.

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