Addio, “Pitto”

Lo so che il nome di Giorgio Jorio, fuori da Ostia, è uno di quelli che dice molto poco. Lo so, perché quel Giorgio, quell’uomo, quell’artista, quell’amico, che oggi ci ha lasciati, aveva deciso d’incarnare in sé la memoria di quel luogo, di una città che si fa fatica a definire quartiere, radicandovi ben salde le proprie radici, per diventarne, nel corso di mezzo secolo, il suo spirito critico, la sua voce, il suo pensiero, la sua creatività, la sua storia e il suo presente, il suo testimone vigile, la sua anima.

E dire che a Ostia, Giorgio, non c’era nemmeno nato. Era trasteverino, lui. Uno di quei tanti “fagottari” che a Ostia hanno solo la seconda casa, per farci le vacanze. Finché, un giorno del 1970, trentunenne e già padre di due figli, quando la moglie decise di mandarlo a quel paese, Giorgio si ricordò di quel pied-à-terre di famiglia, di quella casetta sul mare, usata di tanto in tanto durante i week-end. Decise di trasferirsi lì.

È a Ostia che Giorgio cominciò a occuparsi di arte. Faceva il pittore, all’epoca e, ovviamente, faceva anche la fame. Faceva pure l’innamorato di una nuova donna, con cui avrebbe avuto un terzo figlio. Ma, soprattutto, faceva il comunista. Di quelli veri, di quelli che non puoi non stimare anche se sei di idee diverse, perché ne senti comunque l’autenticità profonda. Il suo impegno politico, trasposto anche nelle sue opere artistiche, era di una purezza e di una coerenza che Giorgio non avrebbe mai abbandonato o rinnegato, fino alla morte.

Frequentava la sezione centrale del PCI di Ostia, quella di fronte al Municipio del litorale, e qui si occupava di cultura. “Senza cultura il popolo non è nulla!” ripeteva spesso. Organizzava le Feste dell’Unità, i laboratori, gli spettacoli. Fu il partito, viste le sue capacità, a decidere di mandarlo a “evangelizzare” Ostia Ponente, quella che i lidensi chiamano Nuova Ostia, quella delle case popolari, quella ai confini della legalità, quella che si spinge fino all’Idroscalo, ricca già all’epoca di ragazzi di vita, di atmosfere e di luoghi che oggi definiremmo pasoliniani.

Il degrado etico e sociale di quelle zone era preoccupante e, per cercare di fare qualcosa di utile, Giorgio Jorio decise di portare a Nuova Ostia proprio Pier Paolo Pasolini. Il regista venne, era l’ottobre del 1974, rimanendo vari mesi a parlare coi ragazzi e con gli abitanti del quartiere, per poi stilare una relazione e lanciare alcune idee volte a migliorare la situazione. Fecero amicizia, Giorgio e Pier Paolo. Giorgio non sapeva ancora che, solo qualche mese dopo, alle sei del mattino del 2 novembre 1975, un suo compagno di partito gli avrebbe urlato: “Hanno ammazzato il tuo amico, lo scrittore, il frocio… sta all’Idroscalo!”. Giorgio Jorio fu uno dei primi a correre sul luogo del delitto.

Da quel giorno Giorgio, è come se abbia voluto diventare l’incarnazione vivente dell’intellettuale scomparso, di quel PPP a cui, nel 1992, Jorio dedicò il centro sociale che aprì a nuova Ostia, in Piazza Agrippa. Un centro sociale che chiamò, non a caso, Affabulazione, proprio come il titolo di una nota tragedia pasoliniana. È in quel momento che io conobbi Giorgio. Vivevo a Ostia e Affabulazione, insieme al piccolo teatro Majakovskij gestito dalla famiglia Zapelloni, era in quegli anni l’unico luogo del litorale in cui si faceva cultura, l’unica galleria, l’unico teatro, l’unico spazio d’incontro e di socialità. E Giorgio Jorio ne era l’animatore, lo spirito guida di tutto ciò che volesse dire arte.

Ricordo, negli anni Novanta, tante stimolanti chiacchierate con lui, a parlare di tutto. Ricordo alcuni progetti portati avanti insieme. Ricordo anche un brutto giorno, in cui mi trovai a inciampare in quella che, anni dopo, sarebbe stata definita la mafia di Ostia. Giorgio Jorio rimase al mio fianco, a difendermi, senza timore delle conseguenze. Uno dei pochi, dei pochissimi, mentre tanti amici voltavano le spalle. Ricordo anche un altro brutto giorno, quando Giorgio venne scalzato via dalla guida della sua “creatura”, della sua Affabulazione, quando il centro sociale fu affidato a mani diverse. Una vicenda che egli visse quasi come un lutto, come il tradimento di un figlio.

Negli anni Duemila andai via da Ostia. Lui invece rimase lì, immancabile guida e testimone di quei luoghi. Rimase a insegnare ai ragazzi a dipingere, per creare nuove leve di artisti e nuovi progetti d’arte e di cultura. Rimase per tornare a fare a tempo pieno il pittore, anzi il “pittoscultore” come amava definirsi, creando opere fatte di elementi naturali, come la corteccia degli alberi. E “Pitto” era il nomignolo affettuoso con cui gli amici e i parenti più stretti lo avevano ribattezzato in questi ultimi anni.

Da quando vivevamo lontani, ci è capitato sempre più di rado d’incontrarci di persona, ma ogni volta che ciò accadeva sentivo sempre un calore forte, un affetto e una stima profonda. Quella che di certo io nutrivo per lui, quella che si può sentire per un fratello maggiore, uno zio, un padre putativo. Quella stima che forse anche lui nutriva per me.

Circa un anno fa, il suo volto fu dipinto su un murale apparso alla stazione Lido Nord di Ostia, dedicato ai più illustri personaggi della cittadina lidense. Venne però subito cancellato, quel volto, per le polemiche che il murale creò. Scrissi un pezzo su quell’episodio. Giorgio mi chiamò subito per ringraziarmi. Alla fine, rimanemmo intesi che ci saremmo presto rivisti: una rimpatriata da fare di lì a breve, insieme ad altri amici comuni.

Poi la sua malattia, la pandemia, il lockdown. Le cose sono andate diversamente. Eppure, ancora due giorni fa, davanti a un altro mio articolo, in cui parlavo di cosa fare per rilanciare la cultura in città, Giorgio mi contattò subito e ci tenne a dire la sua, con la solita vivacità polemica, quella che lo ha sempre contraddistinto, la solita accuratezza di pensiero. E ancora ieri, sui social, era attivissimo, intento a pubblicare le sue nuove poesie, o a raccontare la storia di quando, negli anni Settanta, a Ostia nascevano movimenti, idee, lotte, speranze.

Ha vissuto fino alla fine, Giorgio. Lucido come sempre: attivo, autentico, profondo e umanissimo. Fino al suo ultimo istante di vita. Con lui, oggi, io ho perso un amico. Con lui, oggi, tutti hanno perso un grande uomo.

2 thoughts on “Addio, “Pitto”

  • 25 Novembre 2020 in 21:48
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    Grazie Massimiliano, non potevi celebrarlo meglio…
    Adesso è ora che quell’insalata sul suo viso sia strappata via….

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  • 27 Novembre 2020 in 8:01
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    Grazie di vero cuore Massimiliano, hai narato la sua storia giusta vera che io conosco molto bene, si da il caso che io sono quella ragazza che lui si innamorò di cui ebbe un figlio che riporta esattamente il nome di Giorgio jorio. insieme abbiamo condiviso 13 anni di vita insieme, condivise lotte politiche nel vecchio pci. Tante ingiustizie gli sono state fatte, ma anche tanti riconoscimenti e onori, oggi andando via lascia una grande eredità ma anche un grande vuoto.

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