Dai licei romani occupati no ad armi e divise
I fondi pubblici sottratti alla didattica e destinati alle armi, mentre le scuole cadono a pezzi, l’aziendalismo che avanza, Patria e divise che si affacciano in aula. Temi che hanno attraversato l’ultima stagione di occupazioni a Roma. Il caso del Cine tv Rossellini. Ma il problema è più ampio.
Analizzando i temi che hanno attraversato questa stagione di occupazioni delle scuole superiori a Roma viene a galla un nodo che si ripresenta, pur con peso e articolazioni differenti, in quasi tutti i documenti pubblicati dai collettivi studenteschi per spiegare perché hanno occupato i propri istituti. Insieme al crescente autoritarismo in aula (la riforma della disciplina del ministro Valditara) e fuori (il ddl 1660) e al sostegno del governo alle politiche di guerra (il “genocidio del popolo palestinese”, ma qualcuno cita anche la guerra in Ucraina), i collettivi romani criticano soprattutto i tagli fatti all’istruzione pubblica mentre la spesa militare continua a crescere.
Tagli alla scuola, soldi alle armi
“La scuola quest’anno dovrà far fronte a un ennesimo taglio di fondi, che ha ridotto ulteriormente il personale a disposizione dell’amministrazione scolastica (oltre 5.500 docenti e 2.000 componenti del personale ATA in meno rispetto all’anno scorso)” – scrivono gli studenti del Virgilio – mentre “contestualmente i soldi destinati alla ‘difesa’ (che di difesa ha ben poco) sono aumentati del 77% negli ultimi 5 anni”.
Se il governo Meloni “continua a investire sulla filiera bellica”, è naturale che manchino i soldi per il pubblico e gli occupanti del Cavour elencano nel dettaglio le conseguenze concrete su chi studia: “dal caro libro al precariato, edilizia fatiscente, materiali mancanti, trasporti inefficienti, fino all’ingente costo delle ripetizioni e dei campi scuola a causa dei vergognosi tagli applicati” e concludono “Pretendiamo che i soldi vengano investiti sulla nostra formazione e sul nostro futuro, invece che nelle armi”.
L’effetto dei tagli è duplice. Le risorse vengono sottratte alla didattica, ma anche al riscaldamento e alla manutenzione di edifici scolastici sempre più fatiscenti – è di pochi giorni fa il crollo di un soffitto in un liceo triestino, con una studentessa in ospedale, ma nel Lazio la situazione è decisamente critica: “Nel nostro istituto – denuncia il Collettivo autorganizzato del Cine tv Rossellini – abbiamo problemi di edilizia (crollo di vari parti di strutture), sicurezza (mancanza di una scala antincendio e di prove antincendio nella sede succursale”.
Una politica che, oltre a foraggiare la produzione di armi destinate ad alimentare le guerre di oggi e di domani – scrivono gli studenti del Visconti – fa avanzare la filosofia della scuola-azienda: aziendalizzazione e militarizzazione, insomma, sono “due espressioni di un medesimo fenomeno che affligge in modo drammatico il sistema scolastico ed educativo italiano, sempre più dipendente dai finanziamenti delle aziende private e, oggi più che mai, al servizio di politiche di guerra, distruzione e morte”.
Altra faccia del problema: i media. Per il collettivo del Cavour i “forti venti di guerra”, hanno “ripercussioni su un piano culturale, con la normalizzazione, attraverso il bombardamento mediatico, della guerra e della violenza”, mentre al Manara gli studenti avvertono su di sé i rischi dell’informazione di guerra e cercano alternative: “Al militarismo sfrenato dell’Europa e della NATO, che finanzia la guerra in tutto il mondo e a una narrazione dei poteri forti che prova a dividerci per fomentare il nostro odio verso l’altro, noi contrapponiamo spazi indipendenti di formazione e autoformazione, per costruirci un nostro pensiero critico, che non sia influenzato dai mass media, sulla situazione di crisi che stiamo attraversando”.
Rossellini, Patria e divise in aula
Capitolo a parte, che merita un approfondimento, quello dell’ITS Cine TV Rossellini, dove i ragazzi hanno intitolato uno dei paragrafi del documento politico dell’occupazione “Presenza di militari e FDO all’interno dell’Istituto”. Il Collettivo autorganizzato scrive di una “costante presenza delle forze dell’ordine all’interno della nostra scuola per parlare di bullismo, educazione finanziaria, uso di stupefacenti, violenza sulle donne, gestione dell’ordine pubblico e presentazione di corpi appartenenti alle forze armate ‘con finalità di reclutamento’”.
Per gli studenti è difficile capire questa insistenza nell’affidare agli agenti temi non di loro esclusiva competenza o che c’entrano poco coi programmi scolastici. “Un conto sono i corsi di sicurezza stradale, ma la violenza sulle donne? E perché venire in classe con scudi, manganelli e lacrimogeni e addirittura armati a parlare di ordine pubblico nelle manifestazioni. Siamo un istituto cine tv e nessuno di noi studia per entrare nella Celere”. Il dubbio, ci confidano, è che si vogliano “intimidire gli studenti”. Tanto che il Collettivo stigmatizza “comportamenti non consoni”.
La “costante presenza” del resto non si limita a corsi e PCTO. Nel 2022 Rossellini e Polizia Postale hanno istituito un nuovo corso di cybersicurezza e coinvolto gli studenti nella realizzazione del docufilm “Haters e piccoli eroi”. Di recente ai ragazzi è stato chiesto di partecipare al concorso di idee “La pace è un bene prezioso. Il ruolo delle vittime del dovere nella difesa dei valori civili e democratici”, bandito dal MIUR in collaborazione con Vittime del Dovere, un’associazione di familiari di agenti delle forze dell’ordine e delle forze armate caduti in servizio, che nei giorni scorsi è intervenuta nella polemica suscitata dal calendario 2025 della polizia Penitenziaria, che di pacifico ha ben poco.
Il PD ne aveva criticato le immagini – in una cinque agenti in mefisto e posa da Rambo coi fucili Benelli M4 Super 90 (quelli in dotazione ai paracadutisti della Folgore), in un’altra tre si esercitano a immobilizzare a terra un detenuto schiacciandolo a terra. Immagini che nel video di presentazione si susseguono ritmate da una colonna sonora più da Mercenaries 2: World in Flames che da calendario. Ma per l’associazione che insieme al Ministero promuove la “Pace bene prezioso” nelle nostre scuole “Soltanto menti animate da pregiudizio e ostilità verso chi indossa una divisa, vieppiù se della Polizia Penitenziaria, possono leggere in modo polemico e distorto nelle suggestive immagini ipotetici messaggi ‘di mera repressione e esibizione di forza violenta’”.
Il 4 novembre al Rossellini sono arrivati anche i militari per presentare i corpi delle forze armate, ma già “alcune classi erano state portate al Villaggio della Legalità in Piazza del Popolo per celebrare l’anniversario della fondazione della polizia, con dimostrazioni degli artificieri e dei cani antidroga e cori di bambini che cantavano le canzoni di Sanremo accompagnati dalla banda della polizia”. Iniziative a cui il Collettivo del Rossellini ha risposto condannando “ogni tentativo di reclutamento”, perché “riteniamo che la scuola sia il luogo della cultura, dell’istruzione, della non violenza, l’opposto di ciò che rappresentano le Forze Armate. Siamo una scuola, non una caserma”.
Anche perché, spiegano, suscita contrarietà che “agli interventi continui della polizia su tutti i temi si affianchino iniziative come questa o quella sulle vittime del dovere, che puntano a introdurre a scuola un aspetto più nazionalistico, il patriottismo, insomma l’idea di morire per proteggere l’Italia”.
Il problema è più ampio
Del resto, come ha denunciato nei giorni scorsi l’Osservatorio sulla militarizzazione della scuola e dell’Università, nel Lazio diversi istituti affidano l’organizzazione di giornate di orientamento e PCTO ad AssOrienta, associazione di orientatori che ha ideato “Carriere in Divisa”. Si tratta di un programma per i ragazzi che stanno per ultimare il percorso di scuola superiore e che illustra “le innumerevoli possibilità di studio e di carriera all’interno delle Forze Armate e delle Forze di Polizia” e la “possibilità di ottenere una brillante carriera in divisa, un lavoro stabile e duraturo e una laurea triennale e/o magistrale”, orientandosi tra specialità come “Granatieri: conducono l’attacco nelle operazioni di assedio; Bersaglieri: si occupano dell’esplorazione e del primo contatto con il nemico; Alpini: specializzati a vivere e combattere in montagna; Paracadutisti: usano il paracadute per impieghi strategici e tattici; Lagunari: specializzati nelle operazioni anfibie”.
Anche le lezioni di “ordine pubblico” impartite al Rossellini non sono un caso isolato: è di novembre il controverso video girato da una studentessa, in cui a una quinta del liceo scientifico Fermi di Genova, in visita all’Expo Training di Milano per completare il monte ore di un PCTO, viene data una “lezione di manganellate” a un manichino. Che l’irrigidirsi della disciplina si accompagni all’arrivo dei militari sembra non essere casuale né un’esclusiva italiana.
In Germania, dove dal 2025 i diciottenni dovranno compilare un modulo per manifestare la loro disponibilità ad arruolarsi, gli Jugendoffiziere (ufficiali addetti alla gioventù) della Bundeswehr presidiano le scuole, spiegano le opportunità fornite dalla carriera militare e intervenendo sui programmi e persino sulla formazione dei docenti. Per rendersi intriganti, le forze armate tedeshe hanno persino partecipato al Pride di Colonia e occupato i social più popolari tra i giovanissimi. Sugli account IG e Tik Tok di Bundeswehr Karriere, ad esempio, si trova un ampio repertorio di spot per l’arruolamento rivolti agli studenti.
La Storia insegna che quando caserme e arsenali si riempiono, prima o poi la guerra arriva a svuotarli e i giovani sono i primi a partire. Che l’abbiano imparato proprio sui banchi di scuola o ci siano arrivati da sé gli studenti, almeno chi si interroga di più sul proprio futuro, cominciano a esserne consapevoli e tentano di reagire, anche occupando.