“Fiore mio” di Cognetti, un affresco delle sue “terre alte”
Delicato, lieve, sfumato, il film da attore e regista di Paolo Cognetti “Fiore Mio”, per pochi giorni nelle sale.
Un affresco delle sue “terre alte” quelle della Val d’Ayas, e della Valle di Gressoney sopra la sua casa ripetutamente inquadrata, con vicino il suo ostello meditativo. Un interrogativo su tutti aleggia sul film: perché a casa sua non sgorga più copiosa l’acqua dalla fonte attigua? Dove si confina la colpa dell’uomo con la tenacia di chi vive là di semplici e antichi mestieri?
Una domanda che attraversa le storie di vita delle persone che incontra, che narrano le fatiche e le bellezze quotidiane fatte di silenzi e osservazione su ciò che si trasforma. Un film di parole e immagini, un piccolo caleidoscopio di narrazioni di attori non professionisti; persone reali che vivono e lavorano in montagna duramente e col sorriso. Scandiscono le loro pause con un legno nel camino e una tazza che si riempie fino all’orlo.
Un film e delle sequenze d’alta quota senza cedere mai alla prestazione e alla muscolarità di certi altri racconti ambientati sulle vette. Un film di ascolti, tessuto dai volti, dalle espressioni, dalle parole, dalle immagini.
Sequenze lente come i passi di Laki, il suo cane, che sa cavarsela sul ripido e sulla neve dura. Un film che definirlo “documentario” è sminuirlo, dove si ritrovano “tra le fessure” tutto il “suo pensiero”, le sue “battaglie contro”, in continuità con le pagine del suo più celebre libro “Le Otto Montagne”.
Resta il rammarico, per chi ci ha partecipato – e io sono fra i fortunati – non si tenga più il “suo” festival “. “Il richiamo della foresta” fra i boschi di Estoul che era stimolo, ispirazione e sintesi dei valori per chi la montagna la vuol vivere ancora in un certo modo.
Qui una scheda su Fiore Mio e le musiche di Vasco Brondi ispirate al film.
