Flavio Tannozzini: Roma chiama Resto del Mondo
Dalla scuola di Italiano per stranieri, incontrata per caso, alla squadra di calcio popolare Resto del Mondo. I percorsi, concreti, dell’inclusione sociale.
A farsi raccontare da Flavio Tannozzini come ha cominciato a fare quello che fa, vengono in mente un paio di cose scontate ma non per questo meno vere: una è che viaggiare allarga di molto gli orizzonti; l’altra è che il caso regola buona parte delle cose che ci riguardano, e a volte si intreccia con la materia indefinibile che chiamiamo amore.
Succede così che un giovane studente universitario che fa il lavapiatti in un ristorante di Acilia, e lì ha conosciuto una ragazza che lavora come cameriera, la segua in una scuola autogestita dei paraggi, dove lei insegna italiano agli immigrati.
È il 1999, la scuola ha aperto da circa un anno. Si chiama Effatha, parola aramaica di provenienza biblica che suggerisce di aprirsi, e sta in uno spazio denominato Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto, attiguo alla parrocchia di San Carlo da Sezze. Il parroco è don Mario Torregrossa, prete aperto e carismatico che oggi non c’è più e che qua intorno molti ricordano con affetto e rimpianto.
Flavio, il lavapiatti, studia Scienze della Comunicazione, e benché l’insegnamento dell’Italiano agli stranieri si basi di norma su una formazione specifica, ci si può provare.
È anche ateo Flavio, dunque forse appena fuor d’acqua in un ambiente collegato alla chiesa, ma questo non sembra a nessuno un problema. Di sicuro non lo è per Fabiana Arrivi, Emiliano Boschetto e Giovanni Conte, i tre che la scuola l’hanno fondata e la mandano avanti.
Lui, che un’esperienza di volontariato l’ha già fatta con Amnesty International, ci si butta con una passione riconducibile all’indole e all’età, e si lascia assorbire da quello spazio di accoglienza e integrazione che parte da “ciao” ma aspira al congiuntivo.
La sua, di aspirazione, benché coinvolto dall’esperienza didattica, è conoscere altri pezzi di mondo.
Così arriva, nel 2002, il viaggio in Congo, dove succedono tante cose tra cui una senza dubbio importante: Flavio va a dare una mano in un orfanotrofio salesiano che ospita 700 bambini, e in quel posto, tra quella gente e quelle enormi difficoltà, percepisce un’energia, qualcosa che rende possibile ciò che sembra non esserlo. È Dio, per dirla senza giri di parole, e quei giorni segnano dunque quello che considera il suo risveglio spirituale.
Non deve essere poco, per uno che ormai ha ventiquattro anni e uno sguardo sulle cose che con molta parte della chiesa non ha granché da spartire. L’idea di base è però che la chiesa, anche quella in cui non ti riconosci, non ti può togliere Dio: nei primi anni Duemila gente come Don Gallo o Padre Zanotelli è lì per ricordarlo a chiunque sia interessato.
Nel frattempo il viaggio, che spesso è un seme e come tale dà frutti, porta Tannozzini anche in Guatemala, come obiettore di coscienza con i caschi bianchi della Caritas. È servizio civile, in principio, ma nel suo caso la permanenza è triennale, e lo vede al lavoro con un ente contadino che si occupa di educazione ai diritti umani in giro per i villaggi indigeni. Sono anni chiave, vissuti a contatto con i cosiddetti ultimi, almeno in termini di ricchezze materiali, e molto esposti alla possibilità del conflitto.
Il ritorno in Italia è datato 2006: Flavio dopo un po’ si laurea anche in Scienze della Formazione e comincia il suo lavoro di educatore. Intercultura, Globalizzazione, Gestione del conflitto e Relazioni sono le sue materie, su cui costruisce laboratori nelle scuole e nelle case-famiglia.
La scuola è ancora lì e lui, neanche a dirlo, ci torna. È volontariato, non lavoro, ma prende lo stesso tempo ed energia. Al punto che, complice la partenza da Roma di due dei fondatori, Flavio se ne ritrova assorbito, finendo mese dopo mese e lezione dopo lezione per diventarne il “preside”. Le virgolette sono d’obbligo, perché Effatha non prevede quella gerarchia, ma resta il fatto che Tannozzini – Tannozza, per qualcuno – ne costituisce un punto di riferimento che la parola “coordinatore” forse non basta a dire del tutto.
D’altro canto, nessun “tutto” sarà mai detto senza precisare l’ovvio: e cioè che la scuola è anzitutto una storia collettiva, dentro cui anno dopo anno si mischiano i percorsi di tutte e tutti quelli che in qualche modo decidono di dare una mano.
Sono tanti, e tante: Paolo e Marisa Conte, Fiorella Corazzini, Manuela Cordova, Masci De Cicco, Sonia Del Punta, Vincenzo Galvani, Antonio Giuliano, Marco Margheriti Anna Pannega, Elena Scelba, Beatrice Tramontano, Chiara Vestrini, per menzionare in ordine alfabetico solo gli “storici”, e costruiscono una realtà plurale che negli anni ha visto avvicendarsi, arrotondando per difetto, oltre 4.000 iscritti.
Bangladesh e Sri Lanka sono i paesi da cui proviene la maggioranza degli studenti, seguiti dall’Est dell’Europa, ma il conto dei luoghi rappresentati è difficile da tenere, per abbondanza. Le donne sono in leggera maggioranza, forse perché la scuola si occupa anche dei bambini, permettendo alle madri di seguire le proprie lezioni.
I livelli di apprendimento, in sintonia con il quadro europeo di riferimento, sono A1, A2, B1, B2, C1 e addirittura C2 (che in pratica significa conoscere la lingua come uno del posto), e l’attenzione si rivolge senza eccezioni alle quattro abilità fondamentali: ascoltare, leggere, parlare, scrivere.
Nei momenti di picco possono esserci fino a nove o dieci classi in contemporanea, secondo un andamento piramidale che vede il numero degli studenti decrescere man mano che sale il livello, perché ovviamente dopo un po’ è tosta, specie per chi viene da lingue lontane, e soprattutto se studiare l’italiano è un momento per sé stessi ritagliato in un quotidiano quasi sempre a ostacoli che ha come primo obiettivo quello di guadagnarsi da vivere.
La scuola, che è luogo di integrazione e ascolto anche oltre la didattica, sta a via di Macchia Saponara, lunga strada periferica che attraversa o lambisce quattro quartieri. È una tra le prime di Roma, per numeri e data di nascita, e fa parte da tempo della Rete delle Scuole Migranti, per consapevolezza di quanto mettere in comune le esperienze renda più forti.
È questa anche la ragione per cui nel 2008 in parallelo alla scuola nasce CIAO, una onlus il cui nome è l’acronimo di Centro Inclusione Accoglienza Orientamento, ma anche la prima parola italiana che quasi tutti imparano. La presiede Silvia Consoli, una delle insegnanti, e serve a darsi una struttura che permetta tra l’altro di partecipare a bandi, ricevere il cinque per mille o interfacciarsi in vario modo con le istituzioni. Oltre che, qualche volta, a posare la penna e organizzare altro: è il caso della Festa Arcobaleno, che si tiene ogni anno nel vicino Parco della Madonnetta a partire da quando tre studenti bangladesi che frequentavano la scuola furono aggrediti nelle vicinanze. “Io non ho paura dei colori” è lo slogan che l’ha accompagnata fino all’interruzione forzata causa pandemia. Dunque la speranza è che adesso si possa riprendere. Può tornare utile, come contatto, la pagina Facebook CIAO Onlus Odv.
Sarebbe tutto, o quasi. Se non fosse che Flavio, anche dopo il Congo e il Guatemala, resta comunque un figlio della periferia di questa città. Gli piace il calcio, tifa per la Roma, pur con un grado di passione più modesto rispetto a molti di noi, e un bel giorno del 2010 si è inventato di andare a dare quattro calci a un pallone con un po’ di ragazzi e ragazze della scuola. Niente di speciale, come se avesse organizzato una pizza. E invece no, perché quel giorno viene ricordato come l’atto fondativo della Resto del Mondo, la piccola ma resistente squadra che a oltre dieci anni di distanza è diventata una solida realtà calcistica che mischia internazionalismo e contropiede.
Era il 30 ottobre, la volta della prima sgambata. Flavio ci tiene, perché quello è il giorno in cui è nato Diego Armando Maradona, e non serve spiegare.
Ora la Resto del Mondo, che conta trenta tesserati, annovera giocatori provenienti da Afghanistan, Albania, Argentina, Bangladesh, Egitto, Gambia, Guinea, Italia, Mali, Marocco, Nigeria, Perù, Polonia, Romania, Senegal, Sri Lanka e Ucraina.
Disputano il Trofeo del Petrolio, un’istituzione del calcio dilettantistico romano, e al momento sono penultimi.
Con Flavio si può scherzare sul fatto che la posizione in classifica è per via dell’attitudine a guardare le cose dal basso. Va bene anche così: il senso primo della squadra è l’inclusione, e anche lo stemma dice qualcosa, con quel giocatore che insegue in discesa un pallone che sembra irraggiungibile. Poi si sa, il calcio è calcio, e allora vinci e meglio sarà.
Definirlo presidente richiederebbe di nuovo le virgolette. Anche perché lui gioca, terzino destro, sebbene nel frattempo vada per i quarantacinque: il modo più concreto di essere vicino alla squadra. Per allenarla però ci vuole un uomo di calcio, che per fortuna c’è. È Diego Vecchi, una carriera da portiere che l’ha portato fino alla Serie C, poi interrotta per un infortunio.
Palla avanti dunque, e pedalare. Il mister c’è, la squadra pure – composta non solo da allievi della scuola – e perfino una campagna di crowdfunding per chi voglia sostenere “i colori dell’inclusione sociale”. Gli allenamenti, a proposito, sono al campo Santa Maddalena di Canossa, a San Giorgio di Acilia, e chiunque è benvenuto.
Utile forse aggiungere, a proposito di inclusione, che nessuno chiede ai giocatori, o agli allievi della scuola, o agli insegnanti, se sono credenti, e in che modo, oppure no.
“Si impegnano più qui che a lezione”, racconta Flavio di quelli che vede sia in classe sia in campo, consapevole del fatto che libri e quaderni non rotolano.
Intanto si va avanti, e proprio nei primi giorni di gennaio la scuola ha raggiunto il duecentesimo iscritto dell’anno scolastico 2022/2023.
Tra congiuntivo e dribbling però, benché sia termine inglese, c’è anche chi preferisce il secondo.