La cartolina / 49
Una luce che arriva da dentro, un riflesso che svela il davanti.
Il mescolarsi di cose diverse definisce una città.
Ed è la somma, come sempre, che fa il totale.
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Mutano, al mutare dei tempi, anche i tragitti dell’amore.
A lungo ha viaggiato per lettera, e oggi sceglie altre forme.
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Vogliamo bene alle fontanelle col nasone, che ci dissetano e ci distinguono.
Forse è per questo che qualche volta ci sembrano perfino angeli.
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Appare più chiaro che altrove, in certi punti, che la città è mosaico.
E tutti quanti siamo tassello.
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Quando non c’è mercato potrebbe sembrare un posto qualunque, ma è Roma.
Città che mescola il nuovo e l’usato, da secoli.
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Ai più ispirati può perfino venire in mente l’Impressionismo.
Ma la bellezza sta anche nel fatto che forse le anatre rimediano qualche avanzo.
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A Roma, per essere onesti, non siamo mai andati fortissimo quanto a skyline.
Ma abbiamo le nostre certezze.
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Difficile, in assenza di volo, parlare di stormo.
Rimane il dubbio tra caso e costellazione.
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Ce ne sono un sacco così, specie di una certa età.
Sempre a sfogliare quegli affari di carta.
Mai uno smartphone, un social, niente.
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A forza di dare retta a feste importate e trascurare la Befana, ci ritroviamo così.
Senza una scopa, né qualcuno che sappia come usarla.
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Ci sono pezzi di città che parlano della gente anche quando la gente non c’è.
Succede ai sampietrini levigati dal passaggio, ai cestini piazzati come sentinelle del decoro.
Perfino, forse, a una striscia pedonale che qualcuno ha spostato col piede.
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Chissà se il nastro è lì per proteggere i rami da noi, o noi da loro.
Di certo aiuta a ricordarci che siamo tutti città, nastro compreso.
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Ha le sue regole, l’estetica, ma fanno i conti con il gusto di ognuno.
Appare tag, rara e magnifica, anche la traccia dell’antica norcineria.
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Quasi sempre la colleghiamo a un luogo e a un tempo precisi. E finiti.
Poi magari viene fuori che la dolce vita, invece, è un modo di prenderla.
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Sette colli, più un po’ di posti che hanno “monte” nel nome.
Senza contare che spesso la vita è salita di suo.
Aiuta, di solito, distribuire piccoli premi lungo il percorso.
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Nemmeno l’eleganza di mattoni disposti come il parquet può eguagliare i sampietrini.
Sarebbe bello se il cane, bianco com’è, si chiamasse Travertino.
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La luce di ieri nella città di oggi.
Le luci di oggi sul campo di ieri.
Di domani, per adesso, niente certezza.
Come quando le squadre sono ancora sullo zero a zero.
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È possibile che ci sia un punto in cui l’ordine ribalta il caos, e l’abbandono diventa installazione, la miseria geometria.
Nel mentre condividiamo con la città, passando oltre, santa pazienza.
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Le cose sono, quasi sempre, gli occhi con cui le guardiamo.
Perciò quelle ali, anche di volo impossibile, vorremmo fossero le nostre.
Per i colonnotti, immobili e disciplinati, il desiderio forse è lo stesso.
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Imbacuccare le mura, in passato, è stato compito di grandi artisti.
Visti i tempi, proviamo ad arrangiarci da soli.
Per essere certi che il riflesso vero del lampione si rifletta davvero nella vetrina illuminata a prescindere, non c’è che andare sul posto.
Da lì, appresa la verità, la si potrebbe comunicare con una cartolina.
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Capita, a volte, di separarsi.
Ciascuno cercando di raggiungere un sopra.
Rimane in qualche caso il ricordo del sotto da cui siamo partiti.
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Sarà che siamo abituati al contrario.
Rimane il fatto che stupisce, d’istinto, l’idea di una religione che ci guardi dal basso.
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Difficile trovare, per la raggiera di pancali, una motivazione pratica.
Dunque si fa strada l’ipotesi che stiano lì, davvero, a imitazione del sole.
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Sarà che la bellezza è contagiosa.
Sarà che il ferro un po’ ci piace, come dimostra il gazometro.
Così non è escluso che l’imbragatura, che sta alle colonne come l’apparecchio ai denti, piano piano venga voglia di tenercela.
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Possibile che a spostarlo nel museo giusto, con la luce giusta, il quadro salirebbe di molti gradini.
Possibile che il segno lasciato dalla sua rimozione, nella folla delle vernici intorno, paia esso stesso bellezza.
Valla a capire, l’arte.
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C’è stato un tempo in cui i piccioni frequentavano in esclusiva le piazze del centro.
Ora stanno in ogni quartiere, periferie comprese.
Anche questo, a pensarci bene, li rende romani.
Timorosi, qualche volta, di scendere ancora.
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È Roma anche lo specchio, il bianco, la scala a tortiglione.
L’immagine riflessa, soprattutto, lo svela.
Scombinata come dentro un Picasso, magari per lo sfizio di adattarsi al nuovo.
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C’è qualcosa di circolare nel discorso della città, che ogni volta sembra finito, e invece ricomincia.
Si tratta, in effetti, di capire se e quanto ce ne importa.
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Una pozzanghera, dopo la pioggia, si può trovare in qualunque città.
Quasi mai però è possibile vederci dentro i sampietrini che ricamano il cielo.
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La piccola scala domestica è affacciata sulla grande scala di città.
Come volesse, a modo suo, farsene prosecuzione.
Il confronto con i migliori è a volte fonte di ispirazione e sogno.
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Alla fine, soprattutto, siamo questo.
Clamorosa e in parte casuale bellezza poggiata sulle rovine del tempo.
Oltre che, a conti fatti, una squadra.
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Appare croce, con tutto il rispetto, anche l’antenna.
Immagine riflessa di un credo abituato alla mondovisione.
In mezzo il pino, comunque la si pensi sul mondo e ogni altrove, è di sicuro simbolo di Roma.
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“Questa città è una giungla”, qualche volta, può anche essere un complimento.
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Non si può essere tutti re, o regine.
Anche di pedoni è fatta una città.
Come i “dissuasori”, lì a impedire che qualcuno in macchina si sfranga per le scale.
Ci vuole spirito di squadra, e occhi aperti.
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Qualche volta proprio il fiume, da cui nasce questa città che chiamiamo eterna, sembra parlare di pace, e di lentezza.
Dev’essere che se uno è eterno non c’è tanto bisogno di avere fretta.
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Non è nota la destinazione del cammino.
Quello della fede, con ogni evidenza, è già intrapreso.
Tra le ipotesi figura una panchina che basti per tutte.
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Roma è primatista mondiale di scritte in latino.
E piena di graffiti come mille altre città.
È quasi sempre difficile capire le une e gli altri.
Vantiamo dunque, quasi senza rivali, un’ignoranza che spazia tra i millenni.
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A pensarci bene, una delle cose migliori che si possono fare in una città, una delle più alte, forse è proprio giocare.
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Non ha rivali, Maria, in termini di culto cittadino.
Forse perché madre, come la lupa per i gemelli.
Basta farsi un giro.
Quasi ovunque la vediamo assistere muta ai nostri quotidiani sforzi.
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Le curve di design della spider. Il graffito. I manifesti strappati che fanno pensare a Mimmo Rotella. La scritta in alto, perfino.
“Arte” è una parola che può voler dire tante cose diverse. Come “città”.
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Giungla, presepe, ghetto, ferro, piuma.
La città è quasi sempre un misto tra quello che ne facciamo e quello che ci sembra di vederci.
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Abbiamo gabbiani. E poi piccioni, cornacchie, storni, pappagalletti verdi, rondini quando è stagione.
Non c’è traccia di colombe della pace, che invece servirebbero come il pane.
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Lento ma inarrivabile, il tram è grande esperto della città.
A volte si ha perfino l’impressione che riconosca i posti.
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A piedi, o in bicicletta, si può vedere cosa succede un po’ più in là: se i due percorsi si incontrano, e come; se questo pezzo di Roma, che sembra ovunque, è veramente Roma.
A sinistra, oltre la vegetazione, dovrebbe esserci un fiume.
Se a prescindere dal colore ci parrà biondo, allora sì.
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A chi cammina in città tanto per farlo, il percorso può sembrare poetico, di suo.
Accade a volte di ricevere un bonus, come il goccetto regalato dall’oste a fine pasto.
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Ciascuno fa i conti con le proprie inclinazioni.
Il colonnotto storto e il cartello sul ponteggio ce lo ricordano.
Quasi simmetrici, e almeno in apparenza, meno soli.
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Roma è anche il luogo che persone nate altrove hanno contribuito a far diventare ciò che è.
Ad alcuni di loro – un patriota piemontese, un calciatore armeno – la città tributa forme diverse di riconoscenza.
Ci si può leggere, sottinteso, un elogio del movimento.
(Foto di Fabio Bedini, testo di Alessandro Mauro)
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I sampietrini in primo piano, il travertino del parapetto, l’andatura mossa di chi è adagiato sui colli.
Tre indizi fanno una prova.
Se una città ha il suo stile, uno spiraglio a volte basta e avanza.
Ecco fatto: ti bastano quattro parole e sono tremila anni di storie… Non scriverò mai come te Alessandro Mauro.
Che foto! E che commento! Roma non può che ringraziare.
Un intimo rapporto tra parole e immagini che parlano di una romanità tanto vera quanto poco visibile a chi, assorbito dalla quotidianità, ha perso la consapevolezza dell’unicità della città che li accoglie. Fabio e Alessandro ci regalano delle composizioni romantiche della nostra città tramite un raffinato estetismo.
grazie di illuminare, con immagine e parole, la faccia accogliente di questa città dalle mille anime; Roma, così, la vedi proprio capace di riconoscerle e amarle tutte
Povero colonnotto. Penso già a quando il 110% sarà alle spalle e smonteranno il ponteggio…Se riuscirò a individuare la via e la gradinata magari andrò a trovarlo io, che di storto ho tutto.
Questa nostra meravigliosa città va guardata proprio così. Con sentimento.
Ecco, passeggiare qui la mattina del venerdì è già poesia. Ma Garbatella oggi ha deciso di esagerare e regala senso alla giornata…Perfino l’oste che offre il goccetto a fine pasto. Siete speciali FABIO BEDINI e ALESSANDRO MAURO
SCORCI E COMMENTI PARTICOLARI DI UNA ROMA SEMPRE BELLA. COMPLIMENTI!!!
Scorci e commenti particolari di una ROMA sempre bella. COMPLIMENTI!!!!
Il tram di sicuro riconosce i luoghi molto meglio di me e me li racconta ogni volta. E questa cartolina parla quasi con la sua voce. Bravi sempre, Fabio Bedini e Alessandro Mauro.
Il tram di sicuro riconosce i luoghi molto meglio di me e me li racconta ogni volta. E questa cartolina parla quasi con la sua voce.
Difficile descrivere a parole la (grande) bellezza di queste cartoline, distillati di poesia urbana pieni di grazie e ironia. Meriterebbero, perché tutti possano goderne, l’affissione nei luoghi immortalati. Ci pensate voi o devo farlo io?
Ogni parola in più oggi sarebbe decisamente di troppo. Bravi.
Umana, come il tocco di una mano. Ferro o piuma. Roma, ti riconosco. Che bello questo appuntamento del venerdì.
La bellezza più viva è quella involontaria, che incanta per davvero. Mi sa che hai ragione, Cartolina 9
Senza intenzioni sacrileghe, né di sarcasmo di bassa lega: siete imbattibili pure voi come coppia. Questa foto più commento, di una tenerezza e di una umanità…Daje. Bravi
Giocare, da sempre mia vocazione istintiva, da oggi acquista un valore in più: scopro che guardare a fondo e riflettere bene conduce alla mia stessa visione delle cose. Grazie, Fabio Bedini e Alessandro Mauro.
Esatto, anche io cittadina ignorante. Però curiosa: chissà se i graffiti rispondono alla epigrafe in latino? Daje, mi piace immaginarlo. E mi piacciono sempre più queste cartoline da Roma. Daje al quadrato Fabio Bedini e Alessandro Mauro.
Chi l’avrà individuata per primo, questa provvidenziale panchina, voi o loro? Bravi, un lungo cammino merita sempre un conforto.
Il respiro infinito di pezzetti quotidiani di realtà. C’è da essere bravi come voi , Fabio Bedini e Alessandro Mauro per farne vibrare tutta la vastità.
Da pedona atterrita, applaudo a contenuti e immagine. La pedona nota che un mancorrente e, ancor di più, una spazzatina al fogliolame che in caso di pioggia pare parecchio di aiuto a sfragnersi nella discesa. Spirito di squadra da perfezionare:)
Da pedona atterrita, applaudo a contenuti e immagine. Sempre da pedona noto che un mancorrente e, ancor di più, una spazzatina al fogliolame aiuterebbe anche la mia categoria a non sfragnersi nella discesa. Spirito di squadra da perfezionare:)
accidenti se lo è un complimento, quando perfino in Amazzonia ogni minuto scompaiono aree di foresta. Bella bella questa cartolina di Fabio Bedini e Alessandro Mauro, ritratto di un habitat ribelle che torna a crescere e infittirsi malgrado tutto.
Eh già, come se amplificare il segnale potenziasse il senso. Magari, invece, basta mostrarsi per quel che si è. Come il pino. Che pure ha inventato un modo tutto suo per salire in alto. Come i punti di vista su questa città. Grazie Fabio Bedini e Alessandro Mauro
La squadra che redime dai disastri ci sta tutta nella settimana di Coppa. Daje Fabio Bedini e Alessandro Mauro, casuale o meno la bellezza esalta. Intanto esultiamo, poi si vedrà.
Perciò mi piacciono le vostre cartoline, Fabio Bedini e Alessandro Mauro: ispirano a guardare con occhi affettuosi e fiabeschi.
E chissà mai cosa ci vedreste in una pozzanghera di Benares, di Maputo o Santarém? Fabio Bedini e Alessandro Mauro, voi vedete cose buone e speciali che restano trasparenti al mondo. Grazie
Qualche volta pare che sia la città a suggerirci cos’è che proviamo davvero e a concludere le scritte. O, magari, voi due, Fabio Bedini e Alessandro Mauro
Favoloso bianco e nero di frammenti in improbabile dialogo tra loro e con la città che crediamo di conoscere. Grande ritratto Fabio Bedini e Alessandro Mauro di scenari straniati e imprevedibili.
Per la prima volta dissento: l’unico piccione timoroso l’avete beccato voi, Fabio Bedini e Alessandro Mauro. Del romano secondo me il piccione ha “la tigna” e “la strafottenza”, caratteristiche che, vivendo Roma con amore, mi vanto moltissimo pure io di rappresentare.
E chi la vuole capire, l’arte? Basta trovarsela davanti, viva, museo a cielo aperto. Come la faccia di Roma che ci mostrate voi, Fabio Bedini e Alessandro Mauro.
Uh è vero. Un’idea di vulnerabilità che le rende più sexy e meno “colonne”. A me, chissà perché, evoca il film Crash, di Cronenberg, e la soddisfazione “metallica” dei propri desideri. Ma questo solo perché sono tocca.
Uh che suggestione, con quei raggi di sguincio nella foto. Una specie di Dolmen dei giorni nostri? Cattedrale megalitica per Millennial. Lo penso anche io Fabio Bedini e Alessandro Mauro: al fondo ci sono sempre le stesse cose.
Questa mi commuove. Quasi mi insegnasse a tornare piccola. E giusto imboccando la strada di Roma che amo di più. Grazie.
la prima scena di una storia, questa. Ci lasciate con la voglia che il racconto prosegua: cioè, come fate sempre Fabio Bedini e Alessandro Mauro
Persa nell’ illusionismo dell’immagine, mi incanta perfino la luce del lampione. Sicuro che a Roma sia ancora così intensi? Dove, cioè, non devono reggere il confronto con il Palazzo della Luce.
Uh chi si vede. Mura amiche, cannoneggiate dai francesi un tempo, e, verso gli ottanta del secolo scorso, pure un po’ da generazioni di adolescenti durante i loro appuntamenti al muretto di quartiere. Ben altri e precedenti i danni che feriscono le mura e Villa Sciarra che, l’intervento, speriamo, ora risani. Nuova vita a tanta bellezza.
Qualcuno, certo meno disciplinato, ha disegnato occhi capaci di scommettere sul volo dei colonnotti.
Manco la benedizione dell’Angelo ha illuminato al riciclo i bevitori di birra. In compenso, fortuna per noi, ha ispirato il surreale fermo immagine di Fabio Bedini e Alessandro Mauro
Crederci abbastanza da tifare vuol dire avere gran cuore e bei polmoni. Grazie per questo squarcio di luce, Fabio Bedini e Alessandro Mauro.
Genio: Travertino direttamente al posto della lupa, per me. Dove si firma?
Quanto mi ci riconosco. Per la via sotto casa, tutta in salita, e per la rincorsa ai doveri, che faccio finire sempre in piccole dolcezze. Embè, siete una certezza, Alessandro Mauro e Fabio Bedini .
Sììììììì: la vita è qui e ora. E perché non dolce? Siete carica motivazionale per il we, e, soprattutto, per l’ agguato di settimane d’autunno dietro l’angolo. Grazie Fabio Bedini e Alessandro Mauro
Bella tanto. Mi fa l’effetto di una scarificazione, segno di appartenenza ben di più che tatuaggio.
Per come la vedo, il rametto tiene al sicuro Tevere e il suo eterno barcarolo dal nastro di plastica: piuttosto se ne lascia aggrovigliare. Roma Capitale, secondo me. Grazie sempre anche a nome suo, Alessandro Mauro e Fabio Bedini: quanto le volete bene, si vede.
ahah, bellissima la segnaletica. Quella orizzontale ma pure quella verticale, rinforzata dalla statua che, con fare umanoide, incoraggia a osservare il divieto.
Che sguardo divertente. A me però, questa paletta in attesa , a pochi passi da casa, mi suona come un invito a pulirle quelle scale…tu che salirai di qua, datti da fare.
Apprezzare le panchine, anche, mi pare prezioso. Conservano una buona vista questi però. Per queste e altre ragioni, mi piace tanto guardare con i loro occhi e, tanto, anche con i vostri Fabio Bedini e Alessandro Mauro.
Sia come sia, il Tevere è cosmo che li abbraccia tutti. E la cartolina, più bella che mai, ha degno spazio di competenza. Splendida impaginazione. Applaudo.
Vi superate sempre, Fabio Bedini e Alessandro Mauro. Lo stupore, stavolta, è aiutato dalla mia dislessia che mi ha fatto leggere Cielo al posto di Celio. E poi dice che nella vita tutto è un caso.
La bellezza, e qua ce n’è tanta, è quella beatitudine di stare insieme, al punto di piazzarsi là per il pic-nic.Non importa dove, non importa quando…La felicità, insomma.
Quelle tettoie, fibra di vetro o amianto? Questo tempaccio mi disattiva lo sguardo ironico. Mi sa che il moderno marcia lentuccio. E, purtroppo, gli imperatori romani non hanno pensato a lasciarci mercati rionali in pietra.
Pensa le storie che ognuno di quei sampietrini ha da raccontare…Certo, viste le mie disavventure condominiali, pensa a trovarsi come vicino il “sampietrino” sbagliato. Mi piacciono le vostre “visioni” Fabio e Alessandro. Infatti qui non ci capito per caso: le vengo a cercare.
ohi, la ruberei come cartolina di Natale: ha gli auguri incorporati…GrazieFabio Bedini e Alessandro Mauro
Spicca ai miei occhi voglio l’amore. Dichiarazione priva di destinatario, e, forse proprio per questo, potentissima. Poche cose mi hanno emozionato come la scritta dedicata a me, che, affacciandomi una mattina, ho visto tracciata a terra con il gessetto nel vicolo dove ho alloggiato a Rio de Janeiro. Mai saputo quale dei ragazzi che mi vedeva passare l’abbia scritta. Ecco uno che ha saputo rendersi unico nella mia vita.