L’Ayrton Senna del Circo Massimo
“O Roma, io sono Scorpo, la gloria del tuo circo rumoroso, l’oggetto del tuo applauso”. È con queste parole, scritte dal poeta Marziale, che possiamo fare una prima conoscenza con uno dei più famosi eroi sportivi dell’antichità: Flavus Scorpus, meglio noto come Scorpo, auriga di punta durante il regno di Domiziano, alla fine del I secolo dopo Cristo. Uno sportivo che nella sua vita totalizzò 2.048 vittorie nelle corse coi carri: un record praticamente imbattibile.
Se consideriamo le corse dei carri come la Formula Uno dell’antichità, è facile poter fare un paragone con l’attualità. Da Lewis Hamilton a Michael Schumacher, i più grandi piloti della storia dell’automobilismo, hanno collezionato a fatica un centinaio di vittorie in carriera. Lo stesso si può dire per un campione della Moto GP come Valentino Rossi. Scorpo, dunque, valeva venti volte ciascuno di loro.
Un altro aspetto paragonabile agli sportivi di oggi, sono i guadagni stratosferici raggiunti da Scorpo. Come un Cristiano Ronaldo dei nostri tempi, Scorpo guadagnò somme straordinariamente grandi di denaro. È ancora Marziale a indicarcelo, lamentandosi di guadagnare – lui che era il poeta di corte e non certo l’ultimo dei plebei – cifre appena sufficienti per sopravvivere, mentre Scorpo otteneva decine di sacchi d’oro ad ogni vittoria.
Scorpo era uno schiavo, così come molti aurighi. Ad appena dieci anni fu comprato da un ex auriga, che lo allenò per le gare e lo portò a Roma per gareggiare contro i migliori campioni. Fu ingaggiato nella scuderia imperiale da Domiziano, che lo volle conoscere personalmente. Dopo molte vittorie e dopo avere così ottenuto la cifra sufficiente, acquistò la sua libertà diventando un liberto, cioè uno schiavo liberato.
Le corse dei carri erano davvero la Formula Uno dei tempi antichi: i costruttori dei veicoli cercavano di continuo di rendere più leggere e più aerodinamiche le strutture – proprio come fanno oggi gli ingegneri di Formula Uno – mentre gli allenatori di cavalli giravano incessantemente, alla ricerca spasmodica degli animali più veloci, più possenti, più resistenti.
Gli aurighi, dal canto loro, usavano pericolosi stratagemmi per migliorare le prestazioni. Ad esempio, avvolgevano le redini attorno ai loro corpi, per usare il loro peso corporeo al fine di controllare meglio i cavalli. Per ridurre il rischio, portavano con loro dei coltelli che, in caso di incidente, potevano essere usati per liberarsi. Tuttavia, spesso, dopo un incidente, gli aurighi non erano in grado di liberarsi in tempo.
Incidenti anche gravi erano all’ordine del giorno, come mostrato in un bassorilievo custodito nel Museo Pergamon di Berlino, che presenta un auriga caduto e calpestato dagli altri carri. In uno di questi incidenti – esattamente come è avvenuto, in tempi a noi recenti, a campioni come Gilles Villeneuve o Ayrton Senna – morì il campione dei campioni: Flavus Scorpus.
È ancora una volta il poeta Marziale a darcene notizia: “Oh triste disgrazia! Che tu, Scorpo, dovessi essere tagliato fuori dal fiore della tua giovinezza, e essere chiamato così prematuramente per imbrigliare gli oscuri destrieri di Plutone. La corsa delle bighe fu sempre accorciata dalla tua guida veloce; ma perché la tua corsa ha dovuto correre così in fretta?”
Al momento della sua morte Scorpo aveva solo ventisette anni. Nel 2019 la sua storia è stata ricostruita e sceneggiata nel documentario tedesco: “Brot und Spiele – Wagenrennen im alten Rom”, recentemente trasmesso in Italia da Rai Storia, durante la trasmissione “ACDC”, condotta da Alessandro Barbero.