Sex in the Urbe – 2
Nella Roma dei Papi
Con l’introduzione del cristianesimo la professione della prostituta divenne inizialmente fuorilegge. Già negli ultimi decenni dell’impero, fin dai tempi di Costantino, si cominciò a non riscuotere più le tasse da quel tipo di attività, poiché considerata immorale e a chiudere i lupanari.
Ma il nuovo moralismo bigotto, portato dall’introduzione a Roma di quella religione monoteista, non durò a lungo. Ben presto, anche nella città ormai non più a capo dell’impero e divenuta centro del cattolicesimo, si adottò una morale più lassista, che si sarebbe poi cristallizzata nel motto popolare: “Mejo ‘na mignotta che n’amante”.
Lo “sfogo” che la prostituzione permetteva, era considerato infatti un prezzo corretto da pagare, in nome della solidità dei matrimoni, altrimenti messi a rischio da relazioni extraconiugali fisse. Il lassismo aumentò quando, dopo l’anno Mille, fu introdotta la castità per i religiosi, i quali, proprio grazie a qualche prostituta, potevano così mantenersi ufficialmente “puri”, senza trovarsi “costretti” ad allacciare altro tipo di relazioni sentimentali, che più facilmente potevano diventare di dominio pubblico.
Dunque, ben presto, si tornò a regolamentare quella professione. D’altronde l’Urbe era una città molto maschile, meta di pellegrini, di soldati, di prelati, spesso in cerca di compagnia, perciò un’ottima piazza per la prostituzione. Si stima che tra il XV e il XVI secolo le prostitute romane fossero divenute circa 5.000, su una popolazione di poco superiore ai 50.000 abitanti.
Registrate nei libri curiali, un apposto tribunale era autorizzato a rilasciare le licenze ai bordelli cittadini, cosa che permetteva, come ai tempi dell’impero romano, anche la riscossione delle relative tasse. Tra i bordelli più noti vi era la “Locanda della Vacca”, non distante da Campo de’ Fiori, gestita da Vannozza Cattanei e frequentata anche del cardinale Rodrigo Borgia, il futuro papa Alessandro VI.
Il nome di Vannozza Cattanei è uno dei tanti nomi di “escort” capitoline – come le chiameremmo oggi – passate alla storia, in quanto amanti di papi o di uomini famosi: da Fiammetta Michaelis – a cui è dedicata anche una piazza accanto a via dei Coronari – a Imperia De Paris, da Giulia Campana, a Lucrezia Porzia, a Filide Melandroni, ad Angela Greca, oltre alla famosa Lena, la donna amata da Caravaggio.
La storia di Angela Greca – che divenne anche la modella di Tiziano – è nota soprattutto grazie ai racconti di Pietro Aretino: “Angela Greca venne a Roma al tempo di Leone, che era stata rubata da certi roffiani a Lanciano, e piena di rogna la menarono in Campo di Fiore a una taverna; poi prese una casetta in Calabraga, essendo alle mani d’un Spagnol de Alborensis; poi per esser lei una bella donna assai onesta, e avendo una bella venustà, se ne innamorò un cameriere di Leone, il quale la messe in favore”.
Il nome “Calabraga” era quello con cui all’epoca veniva chiamato l’attuale vicolo Cellini. Un nome non casuale, ma dovuto proprio all’attività principale che lì si svolgeva. Non è invece certo se anche il nome, tuttora esistente, di via delle Zoccolette abbia legami con il mestiere più antico del mondo. Lì era presente un orfanotrofio e le orfanelle che lì vivevano indossavano tutte degli zoccoli. Si narra che la maggior parte di loro, una volta cresciute, finissero poi proprio per svolgere il mestiere di prostituta.
C’è chi dice che la parola “zoccola” sia dunque dovuta a questo legame fra gli zoccoli indossati dalle ragazze e il mestiere da loro poi svolto e non all’offensiva similitudine fra un animale “sporco” come la femmina del topo – detta appunto “zoccola” – e la professione di prostituta. Su questo però non vi è nessuna certezza fra gli studiosi.