Il Cremlino di Testaccio
Un romano che volesse visitare il Cremlino, non ha bisogno di spostarsi fino a Mosca, nella piazza Rossa. Gli basta andare una domenica a Porta Portese, magari per fare qualche compera, poi attraversare il ponte ed ecco che il profilo del Cremlino gli si staglia davanti, prima ancora di arrivare a via Marmorata.
All’altezza del Lungotevere, infatti, per l’esattezza in piazza dell’Emporio, al civico numero uno, c’è un palazzo dalla storia curiosa, domicilio d’adozione di buona parte dell’intellighenzia e della dirigenza di sinistra, già a partire dagli anni subito successivi alla seconda guerra mondiale.
A costruire l’edificio era stato un milanese, divenuto però romano d’adozione, un certo Carlo Broggi, in pieno ventennio fascista, nel 1926, ovviamente ignaro del soprannome che ben presto sarebbe stato attribuito al palazzo.
Gli inquilini eccellenti
Tra le prime famiglie ad occupare lo stabile ci fu la “dinastia” degli Amendola. No, non mi riferisco a Ferruccio, il doppiatore e Claudio – il “capofamiglia” dei Cesaroni – bensì all’onorevole liberale Giovanni, padre dei deputati comunisti Giorgio e Pietro, oltre che dell’antifascista Antonio.
A loro sarebbero seguiti due storici “fedelissimi” di Massimo D’Alema, come Roberto De Santis e Massimo Latorre. E poi l’allora socialista Giuliano Ferrara. Oggi, a mantenere alto il nome della sinistra all’interno del palazzo del Cremlino, c’è nientemeno che Enrico Letta, numero uno del PD.
Certo, considerando l’anti-putinismo attuale del Partito Democratico, fa strano sapere che Letta abbia scelto proprio il Cremlino come propria residenza romana, ma, ovviamente, il soprannome del palazzo nasce negli anni della guerra fredda, quando Cremlino era sinonimo di PCUS, il potente Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
Si narra che proprio al Cremllino si siano svolti gli incontri e i pranzi più importanti, durante i quali Letta ha prima preso la sua rivincita nei confronti di Matteo Renzi, brigando per minarne il consenso interno ai tempi in cui il fiorentino era primo ministro e segretario, per poi organizzare, sempre da qui, la propria scalata al partito.
Si narra anche che, sempre in un appartamento del Cremlino, alla fine degli anni novanta, nella casa di Massimo Latorre, D’Alema abbia organizzato la sfida vincente di Antonio Di Pietro, nel collegio elettorale del Mugello, nei confronti di un altro inquilino eccellente del palazzo, cioè Giuliano Ferrara, in una sorta di strano derby di condominio.
La tana del leopardo
Ma la leggenda più intrigante che riguarda lo stabile è sicuramente quella relativa al domatore di leopardi che vi abitò. No, anche se siamo al Cremlino, non ci stiamo riferendo a Pierluigi Bersani, in una sorta di rivisitazione dei tempi in cui era certo di “smacchiare il giaguaro”.
Negli anni Cinquanta un pittoresco inquilino del palazzo era infatti anche proprietario di un leopardo, che teneva tranquillamente in terrazzo, certo di averlo adeguatamente addomesticato e di poterlo domare senza nessun problema.
Un bel giorno, però, il leopardo testaccino si ricordò di essere un leopardo e finì per sbranare il suo proprietario. Ripensando a Bersani e alla sua metafora del giaguaro, non certo un ricordo incoraggiante per gli attuali inquilini progressisti del Cremlino di Testaccio.