“Eravamo io, Fidel, Sotomayor…”
È una delle foto più iconiche della storia recente di Roma. Un pezzo del Novecento. È stata scattata a Trastevere, una sera d’estate del 1982, anno magico, nel ristorante Checco Er Carettiere. Proprio a partire da questa foto, si scateneranno le leggende sulla famosa e inverosimile agenda di Gianni Minà, piena di nomi improbabili e altisonanti. Ne parlò per primo Massimo Troisi, di quella leggendaria agenda. Poi Rosario Fiorello ne avrebbe fatto la base per una delle sue più divertenti e riuscite parodie, fatta di accoppiamenti assurdi: “Eravamo io, Fidel, Sotomayor, Mario e Pippo Santonastaso…”.
Come andarono davvero le cose, quella sera a Trastevere, è lo stesso Gianni Minà ad averlo raccontato: “Era passato a trovarmi Muhammad Ali, che in quei giorni era a Roma, e stavamo per andare a cena, quando mi chiama Robert De Niro, di cui sono amico, per vederci. Gli dico con chi sono e gli propongo di raggiungerci e lui risponde che si considerava già invitato. Stavamo per uscire quando squilla di nuovo il telefono, questa volta era Sergio Leone, appena bidonato da De Niro: “A fijo de ‘na mignotta voglio veni’ pur’io!”. Buon ultimo chiama Gabo, García Márquez, e il gruppo era fatto”.
L’ha raccontata così, come se fosse una cosa normale, una tranquilla serata fra amici, gente semplice e qualunque, anche se in quella foto ci sono, fianco a fianco, il più grande pugile della storia dello sport, un premio Nobel per la letteratura, un attore premio Oscar, considerato fra i più grandi della storia del cinema, un regista che ha portato i suoi film ad essere conosciuti in tutto il mondo e un giornalista divenuto anche lui, a suo modo, leggendario.
Ci è ritornato ancora pochi giorni fa Gianni Minà, sul suo profilo Instagram, a ricordare quella straordinaria serata: “Questa foto giustifica il mio lavoro di giornalista. È la summa di quello che è stato il mio modo di essere, del piacere che dà l’amicizia e della possibilità di riunire una sera d’estate, per un inatteso gioco del destino, cinque amici avidi di curiosità per ascoltare i racconti del più affascinante tra di noi, Muhammad Ali, un pugile, ma prima di tutto un combattente della vita. Una combriccola così è proprio irripetibile e ancora adesso non so capacitarmi di come sia stato possibile riunire, una sera a Roma, questi amici”.
A ottantaquattro anni, Minà sta forse cominciando a capire quali persone straordinarie fosse riuscito a mettere insieme. Non solo quella sera, ma nel corso di tutta la sua vita. Sì, un piccolo gruppo di amici, quasi certamente inconsapevoli, allora, di essere anche molto di più. Perché è la sintesi di un’epoca quello scatto. Ed è la sintesi di una Roma che accoglieva con semplicità pezzi di storia, emozionandosi, però senza scomporsi, un po’ distratta, come se niente fosse, davanti a un piatto di carbonara.
“E così tavolo per cinque – è ancora Minà a parlare – Fu Sergio Leone a proporre di prenderlo da Checco Er Carettiere. Era la trattoria dove si era sempre sentito a casa. Checco e Leone, insieme a Ennio Morricone, si erano conosciuti alle elementari, alla Scuola dei Fratelli Cristiani, e avevano condiviso la loro infanzia trasteverina sulla scalinata di Viale Glorioso. Passammo l’intera serata a fare domande a Muhammad sulla sua carriera e sui suoi match. Ci raccontò tutto. Io, De Niro, Marquez e Sergio Leone ascoltavamo: eravamo tornati tutti bambini”.
Poi, finito di mangiare, Checco li mise tutti in riga davanti a un muro. Partì il flash. Poco dopo si salutarono. Si concluse la serata. Cominciò la leggenda.