Antonio Capuano: il cinema è come nuotare
“Il mare si muove e non sta mai fermo. Questa irrequietezza dell’acqua è bellissima. Il lago invece mi fa schifo. È fermo, è stagnante. Il mare non si ferma mai”. Così Antonio Capuano risponde nel bello libro-intervista, intitolato “Da una prospettiva eccedente”, realizzato da Alessia Brandoni, Armando Andria e Fabrizio Croce, edito dalla romana Artdigiland.
Una risposta che dice molto del cinema di Capuano, che oltre a essere vulcanico, quindi caldo/bollente, è anche mobile, come un’acqua marina. Caratteristiche che appartengono all’artista e ai suoi film, segnati da profondità e velocità, geometrie e libertà, improvvisazione e costruzione. Del resto, basta riguardare Vito e gli altri (1991), a cui i tre autori dedicano un importante spazio, per rendersene conto. Ma la ricerca espressiva del regista napoletano non si ferma lì, perché ogni suo film dissemina tracce di un operare generativo, che spazia tra stili diversi senza troppe preoccupazioni. Capuano, più che ripetere sempre lo stesso film, cerca di farne uno nuovo ogni volta, trovando soluzioni uniche.
Mi ritornano in mente – grazie alla lettura del libro, compresi i tre saggi finali che gli autori dedicano a Capuano – Polvere di Stelle (1998), Luna Rossa (2001), La Guerra di Mario (2005), dove il rapporto tra vita reale e narrazione è testimone di una tensione tutta interna al regista, che non sfugge alla necessità di comunicare, di sciogliere il gomitolo dei pensieri caotici in una linearità che non impoverisce o banalizza. Afferma infatti: “…E poi a me piace un racconto che la gente capisca”. Insomma, tornando sulla questione, e in confronto alla pittura, a un quadro, emerge l’esigenza di rispettare un impianto narrativo: “Il cinema è temporale. C’è un inizio e una fine. E quindi un film deve per forza possedere un arco di racconto che appunto si chiama drammaturgia. Puoi trovartene una nuova, se hai coraggio. Ma comunque ci deve essere, anche se il film dura un minuto. C’è un inizio e una fine”.
La visceralità, l’attaccamento alla vita, l’approccio materico, tutto confluisce in un ritratto personale, in cui Capuano ammette candidamente che “siamo talmente complicati che ancora non ci conosciamo. Infatti, gli psicologi annaspano e anch’io annaspo. Mi pare che più il tempo passa, più non capisco niente… Però sono sicuro che tutto è perfettamente umano, di quello ormai ho coscienza”.
In uno scambio costante tra vita e operare artistico, si coglie bene il rapporto che il regista stabilisce con i personaggi dei suoi film che non finiscono per essere incasellati dentro un pregiudizio. Al contrario, è concesso loro lo spazio per una complessità che il film stesso non è capace di contenere.
“Non ti disunire”, grida il Capuano del film di Paolo Sorrentino, È stata la mano di Dio, al protagonista, e per qualcuno probabilmente, quel ruolo, ha permesso di scoprirlo o riscoprirlo. Questo libro è il benvenuto quindi per entrare dentro il suo mondo, non tralasciando nulla; consigliatissimo per gli appassionati di cinema o semplicemente per chi si vuole avvicinare e conoscere meglio le ragioni di un artista. Non c’è dubbio che vi spiazzerà, come riescono a spiazzare i suoi film. In fondo è il racconto di un 82enne, Antonio Capuano, che in tutta sincerità afferma: “Quando giro mi diverto come un pazzo, come se fosse un gioco, non provo nessuna fatica, zero, lo faccio come se fosse la mia acqua, come se nuotassi… Quando nuoto non faccio fatica perché ormai nuoto in una sorta di surplace… Però nuoto, cammino, non è che sto fermo. Ed è un po’ come con il cinema, il momento di girare è anche una cosa di divertimento… Ed è divertente mettere insieme attori, luci, materiali, mi piace assai!”.
Il libro è in vendita presso i maggiori rivenditori online e sul sito Artdigiland.
Bellissima recensione, grazie Marino Galdiero!