Quando l’ambientalismo è spocchioso
Vivo in campagna e parlo con le piante del mio giardino. Sono piante sofferenti da tempo, per via del caldo, innaturale, che sta generando il riscaldamento globale del pianeta. Qui in campagna, fra i miei amici, posso annoverare un nutritissimo gruppo di cinghiali, dei simpatici ungulati con cui ho instaurato un ottimo rapporto di vicinato, come ho già avuto modo di raccontare. Se tutto questo non bastasse, posso aggiungere che l’unico partito politico col quale mi sia capitato di collaborare, in vita mia, è quello dei Verdi. Sì, proprio loro: gli ambientalisti.
Tutto vero. Chi mi conosce, lo sa bene. Eppure, nonostante queste premesse, non riesco ad appassionarmi, né a provare solidarietà, se un gruppo di attivisti di “Ultima Generazione” blocca il Raccordo Anulare di Roma per sensibilizzare sul problema dei cambiamenti climatici. Anzi. Certamente, ne condivido i temi di fondo. Però, non condivido la forma di protesta.
Che poi, si sa, nella forma c’è spesso la vera sostanza delle cose.
Qualcosa di simile era accaduto pochi giorni prima. A inizio giugno. Al Roland Garros di Parigi, durante il prestigioso torneo di tennis. Un’attivista del clima era entrata in campo e si era legata alla rete: “Ci restano 1028 giorni”, c’era scritto, in inglese, sulla sua maglietta. Una versione 2.0 del “Memento mori” medievale.
Un’iniziativa del genere fatta al Roland Garros di Parigi, sì, ci può stare. Perché lì ti vede mezzo mondo in tv e, tranne alla trance agonistica dei due tennisti in quel momento in campo, non fai del male a nessuno. La performance può avere una sua logica e una sua efficacia.
Diverso quando la stessa cosa la fai a Roma, nel traffico capitolino, buttandoti a piedi in mezzo alla carreggiata del Grande Raccordo Anulare, con uno striscione con su scritto: “No gas, no carbone”. Certo, anche in quel caso il tamtam mediatico è assicurato: vai sui giornali, vai sulle tv, vai sui social, anche grazie ai romani imbufaliti, quelli che si trovano a passare da quelle parti e che sono costretti a inchiodare per non metterti sotto.
“Gli ambientalisti scatenano la rabbia degli automobilisti”, si leggeva su tutte le testate, romane e nazionali, subito dopo. E qui già veniamo a un primo ordine di problemi. Già, perché il risultato ottenuto subito dagli attivisti di “Ultima Generazione”, è stato quello di dividere mediaticamente il mondo in buoni e cattivi: da una parte gli ambientalisti (nobili e altruisti) e dall’altra gli automobilisti (gretti e insensibili).
Cominciamo col chiederci una cosa: la categoria degli “automobilisti” esiste davvero, nella realtà dei fatti, o è solo una fuorviante schedatura dei media? Perché tutti noi, nel corso della nostra vita e, spesso, anche nel corso della stessa giornata, siamo, di volta in volta, automobilisti e pedoni. A volte anche ciclisti. A volte fruitori dei mezzi pubblici.
Io vado molte volte a piedi, ma non per questo definirei me stesso “un pedone”. E uso l’auto, ma non per questo sono, sempre e comunque, “un automobilista”. Uso anche la bicicletta, ma non sono “un ciclista”. E prendo il tram, il bus, la metropolitana. Dipende dai giorni, dalle situazioni, dai percorsi che devo fare.
Resta il fatto che sono solo una persona che, anche quando prende l’automobile, non lo fa perché appartiene a una lobby, quella degli “automobilisti”, ma lo fa solo perché prende l’automobile. E se vado a piedi, non voglio dimostrare la superiorità dei “pedoni”. Vado semplicemente a piedi. Lo stesso vale per qualunque mezzo di trasporto io mi trovassi a utilizzare e vale per ciascuno di noi.
O la si vince tutti insieme, questa partita, o la perdiamo tutti. Dunque è bene convincere tutti, non dividere, non indispettire, non creare delle liste di buoni e di cattivi
Invece, il gesto di occupare la carreggiata del GRA, ha in sé, sottotraccia, il subdolo obiettivo di categorizzare gli individui, di dimostrare quanto siano cattivi e insensibili gli “automobilisti”, che protestano perché bloccati nel traffico causato dagli attivisti del clima, preoccupati solo di non fare tardi al lavoro, ma insensibili nei confronti dei grandi temi che mettono a rischio la sopravvivenza dell’umanità. “Noi” attivisti del clima, noi sì che siamo bravi, mica come “voi” automobilisti, capre insensibili e ignoranti.
Insomma, a vederla bene, quel tipo di iniziativa, porta con sé – forse in modo inconsapevole – un’arroganza spocchiosa e aristocratica, da parte degli ambientalisti, che provano a dipingere loro stessi come “più nobili”, “più sensibili”, “più altruisti”, senza fare molto per cercare di convincere e coinvolgere tutti nella propria lotta – per molti versi sacrosanta – limitandosi a colpevolizzare gli altri, a puntargli il dito contro, pur di sentirsi superiori.
Dunque, in questo caso e con queste modalità, non parliamo veramente di una battaglia “per” il clima, bensì di una battaglia “contro” gli automobilisti, cioè – come abbiamo visto prima – “contro” ciascuno di noi, atta a farci sentire tutti “peccatori”, né più né meno come avrebbe fatto, nel Cinquecento, un prete della Controriforma, ergendosi sul suo pulpito.
È chiaro che questo approccio, può provocare – e, difatti, provoca – soprattutto chiusure e reazioni negative e scomposte, da parte di chi si sente accusato. Anziché sensibilizzare gli automobilisti presenti sul GRA sui problemi climatici, suscita in loro una reazione di frustrazione e di rabbia, rendendo odiosi ai loro occhi gli ambientalisti e, di conseguenza, le tematiche che portano avanti. In fin dei conti, per le questioni climatiche, si tratta di un clamoroso autogol.
Per questo, anche se detesto l’abuso di Suv che si fa nelle grandi città, anche se mi chiedo che senso abbiano quei giganti della strada – difficili anche da parcheggiare – in un posto come Roma, per una volta capisco persino quell’autista di Suv che, nei momenti concitati della manifestazione del GRA, anziché pensare al riscaldamento globale, si è concentrato solo su come eliminare, anche fisicamente, gli ambientalisti che occupavano la carreggiata, sgassando all’improvviso per cercare di investirli.
Una reazione eccessiva, violenta. Ma, appunto, una reazione. Proprio come fu la testata di Zidane nella finale dei mondiali 2006.
La partita che si gioca sul clima, però, non è la finale dei mondiali, non è Italia contro Francia, non prevede che uno vinca e uno perda. O la si vince tutti insieme, questa partita, o la perdiamo tutti. Dunque è bene convincere tutti, non dividere, non indispettire, non creare liste di buoni e di cattivi.
Per cui, la prossima volta, per gli ambientalisti, sarebbe meglio cercare un modo per convincere anche il proprietario di quel Suv e portarlo dalla propria parte. Lui e tutti quelli come lui. Senza criminalizzarlo. Certo, se davvero ci riuscissero, a quel punto gli attivisti del clima non potrebbero più sentirsi “migliori” dei proprietari di Suv. Anche perché, forse, ben presto non ci sarebbero nemmeno più molti proprietari di Suv. A quel punto, la propria autostima avrebbe bisogno di basarsi su altri presupposti. Però, avremmo tutti più forza e più unità, per ottenere qualcosa di veramente utile per il pianeta.
Ed è questo l’unico obiettivo sensato da perseguire. Non quello di fare delle “performance” che vanno sui giornali, come se l’unica strada fosse sempre e solo la provocazione fine a se stessa, al limite dell’autocompiacimento narcisista, creando inutilmente dei nemici, come se non ci fosse nulla di meglio che fare l’imitazione di una imitazione, la parodia di una parodia, la brutta copia di quei divertenti e ridicoli sketch, fatti da Virginia Raffaele, quando si veste di rosso per perculare una velleitaria Marina Abramovic.
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