Non tutti i cassonetti riescono col buco
Da alcuni mesi, in alcune zone della Capitale, sono arrivati i nuovi cassonetti. Belli, coloratissimi, contraddistinti da una nuova connotazione cromatica, che presto manderà definitivamente in pensione il tradizionale color bianco per la carta, blu per la plastica e marrone per l’organico, a cui i romani erano finora abituati.
Certo, al momento, c’è ancora un po’ di confusione, fra zone della città che mantengono la vecchia colorazione e altre che hanno già adottato la nuova. Per fortuna, però, questo è un problema passeggero, un’incongruenza che andrà rapidamente scomparendo, via via che tutti i vecchi cassonetti verranno sostituiti dai nuovi.
Ciò che invece non cambierà, nemmeno nel prossimo futuro, sarà la dimensione degli orifizi attraverso i quali i cittadini potranno collocare nel cassonetto i propri sacchi della spazzatura: quei fori circolari per la plastica e rettangolari per la carta, attraverso i quali inserire dentro i rifiuti.
Si tratta di misure perfette per inserire dentro una singola bottiglia, una lattina, un foglio di carta. Un po’ meno adatte per chi le bottiglie o le lattine usate negli ultimi giorni, le ha raggruppate in un sacco di plastica. In quel caso, la misura del foro risulta essere ideale nella teoria, ma ristretta nella pratica, un po’ come quei jeans aderenti che avevamo provato a indossare, con fatica, subito dopo il pranzo di Natale.
Beh, si dirà, ma questo serve ad evitare che vengano inseriti nei cassonetti dei rifiuti troppo ingombranti, o materiali industriali. E poi basta togliere dalla busta il contenuto, gettare le singole lattine una ad una e il gioco è fatto.
Sì, ok. Anche se a volte le lattine, prese una ad una, possono ferire le mani, sporcare il tailleur o la cravatta che abbiamo indosso, oltre a far perdere tempo prezioso al volenteroso bravo cittadino che ha portato fuori la spazzatura.
Il risultato concreto, è che molti di questi bravi cittadini, al terzo inutile tentativo di fare entrare la busta della spazzatura nel piccolo orifizio, sentendosi frustrati come le sorellastre di Cenerentola quando provano a calzare la scarpetta di cristallo, decidono di lasciare a terra l’immondizia, con buona pace del decoro urbano e della raccolta differenziata.
Nei casi più virtuosi, la busta viene invece collocata, mezza dentro e mezza fuori, proprio dentro l’orifizio, riuscendo così a evitare di gettare in terra i rifiuti, ma al tempo stesso ostruendo del tutto il cassonetto e rendendolo in tal modo inservibile per i successivi avventori.
Trattandosi di cassonetti nuovi di zecca, viene da chiedersi chi li abbia ideati e chi approvati così, se costoro abbiano mai buttato un sacco dell’immondizia in vita loro, se conoscano la pratica oltre alla teoria del proprio lavoro e perché non abbiano scelto di ampliare quei fori di appena cinque o dieci centimetri di diametro, una misura sufficiente a non creare problemi nell’eventuale inserimento di sacchetti.
Tra l’altro, questo è un problema annoso, che più di qualcuno avrebbe dovuto conoscere. Tanto più che, già una dozzina di anni fa, il noto comico romano Enrico Brignano, ne fece l’argomento centrale di un proprio divertente sketch. Evidentemente, i designer dell’Ama non amano e non seguono Enrico Brignano.
Tempo fa, mi trovai a incontrare alcuni lavoratori Ama. Gente coi capelli bianchi, che ne aveva viste di cotte e di crude. Buttai lì il discorso sul problema dei rifiuti, chiedendo loro, vista la loro esperienza, se Roma avesse bisogno o meno di nuove discariche, d’inceneritori, di porta a porta.
Con mia sorpresa, tutte le risposte si concentrarono su ben altra natura di problemi: la fornitura di nuovi mezzi Ama con bracci meccanici di misure sbagliate, l’organizzazione dei turni e dei reparti disattenta ai problemi concreti. Cose così. Piccole questioni del lavoro quotidiano, apparentemente di poco conto, ma che rendevano impossibile un lavoro ben fatto, anche per chi provava a mettercela tutta.
E tutti lamentarono il fatto che, se un tempo dirigenti e amministratori dell’azienda venivano dalle fila della società e, dunque, avevano sperimentato i problemi pratici e concreti del lavoro, da alcuni anni la dirigenza veniva sempre cooptata da fuori, tra chi poco o nulla sapeva di rifiuti, tra persone infarcite di teorie, ma assai scarse nella pratica.
A quel punto mi è rivenuta in mente una vecchia frase, sempre valida, di Leo Longanesi: “Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione”. E mi è venuta anche in mente questa nostra società del ventunesimo secolo, che tende ormai a virtualizzarsi in tutto, a compiere le scelte più importanti sulla base solo di dati teorici, d’informazioni generiche, analisi matematiche, algoritmi.
E così, a proposito di teoria e di algoritmi, mi sono andato a riguardare un vecchio articolo di un noto sito sportivo che, qualche mese fa, pubblicò la classifica finale della Serie A, realizzata in base alle proiezioni di un raffinato e infallibile algoritmo. Il risultato definitivo era il seguente: trionfo dell’Inter con cinque punti di vantaggio sulla seconda classificata e ultimo posto per la Salernitana, retrocessa in Serie B.
All’infallibile algoritmo, adesso, chi glielo va a dire che lo scudetto, nella realtà concreta, l’ha vinto il Milan e che la Salernitana ha rimontato ed è rimasta in serie A? Mi viene il sospetto, probabilmente infondato, che chi ha deciso la forma e le dimensioni dei fori dei nuovi cassonetti romani, abbia usato proprio quello stesso, davvero infallibile, algoritmo.