“Al mio video scatenate l’inferno!”
La scuola italiana non versa certo in ottime condizioni: problemi di ogni tipo, scarsità di fondi, inadeguatezza dei plessi scolastici, sovraffollamento delle aule, due anni di DAD, riforme che spesso finiscono per complicare la vita a studenti e professori, anziché semplificarla. Però, per fare parlare di sé i giornali, locali e nazionali, cosa deve fare un insegnante? Toccare tasti che sfociano nel gossip, più che in questioni attinenti alla didattica e ai problemi della scuola.
Per esempio, se donna, può farsi dipingere come una mangiatrice di uomini, dalla conturbante e perversa vita sessuale, com’è stato per la preside del Liceo Montale di Roma, un caso che ha tenuto banco per mesi su giornali e tv, salvo poi sciogliersi come neve al sole. Sgonfiatasi quell’immaginaria vicenda a luci rosse, ecco però che a tenere banco ci pensa adesso un’altra insegnante – stavolta una maestra di scuola elementare – rea di aver toccato un tabù ben più inviolabile di quello erotico: il tifo calcistico.
È accaduto alla scuola primaria Caterina Usai, in zona Talenti, il giorno dopo la vittoria della Roma nella Conference League. Mentre Mourinho e i suoi giocatori si preparavano al grande bagno di folla del Circo Massimo, un’ingenua maestra, inconsapevole dell’inferno che stava per scatenare, spinta, a suo dire, dall’idea di creare un clima di festa fra i propri alunni, ha deciso di fare cantare a tutti l’inno della Roma.
È forse proprio questa sua scelta improvvida, la migliore prova della sua buona fede. La prova, soprattutto, che quella maestra non è certo un’ultrà giallorossa, sadicamente decisa a far soffrire gli alunni della Lazio. Ogni ultrà, infatti, sa bene quali forze demoniache si scatenino nell’umanità quando si tocca il tasto del tifo e avrebbe, dunque, evitato una scelta così rischiosa come quella di far cantare in classe un inno “divisivo”. L’ignara maestra invece no, non l’ha evitato. Anzi, ha pure rincarato la dose, mettendo il testo di “Grazie Roma” sulla lavagna.
La cosa sarebbe forse passata in cavalleria, senza strascichi polemici, se qualcuno non avesse ripreso ben otto secondi di quell’evento, postando poi il video sui social. Apriti cielo! Quel piccolo aneddoto è rapidamente diventato un “caso” nazionale, già paragonato da qualcuno ai più efferati episodi di sopruso sui minori, con titoli come “Una maestra costringe i bambini a cantare l’inno romanista”.
Per prima cosa, è subito spuntato il racconto del povero alunno “bullizzato”, un pargolo indifeso, che fa tanta tenerezza e identificazione nella vittima, tifoso della Lazio, obbligato a cantare l’inno “nemico” e uscito, perciò, in lacrime da quella feroce prova di sadismo, d’irrispettoso menefreghismo verso le minoranze – neanche poi troppo “minoranze” nella zona di Talenti, dove i sostenitori laziali sono storicamente numerosi – quali risultano essere, a Roma, i tifosi biancocelesti.
Dopo questa versione dei fatti fornita dalla stampa, nata in base al racconto del padre di uno degli alunni, subito è montata la polemica fra i genitori della classe. C’è chi ha cominciato a chiedere se il “fattaccio” fosse avvenuto durante le ore di lezione, anziché, come pare, durante la ricreazione, dichiarandosi pronto a denunciare la maestra, rea di fare la tifosa invece di occuparsi di didattica.
La maestra, dal canto suo, ha provato a gettare acqua sul fuoco, minimizzando l’evento, dichiarandosi tutt’altro che una tifosa e dicendo che, per riparare al misfatto, nei prossimi giorni avrebbe fatto cantare agli alunni anche l’inno della Lazio e quello della Juventus.
Così facendo, però, ha solo esacerbato ulteriormente gli animi. Vuole forse in tal modo discriminare i tifosi del Milan, freschi campioni d’Italia? E quelli dell’Inter? E gli alunni che non seguono il calcio ma sono appassionati di pallavolo? E quelli stranieri, che magari tifano per la Steaua Bucarest? Lo conosce, quella maestra, l’inno della Steaua Bucarest?
Gli argini, insomma, si sono rotti e la questione è strabordata ovunque, divenendo, immediatamente, un ampio dibattito a cui sta partecipando l’intera città e gran parte della comunità nazionale. Si tratta, ormai, di una questione di principio: l’inno di una squadra di calcio, può o meno essere equiparato a quello di un partito politico? È o non è altrettanto divisivo, o forse persino di più? La maestra, ha dunque compiuto o no un atto gravemente diseducativo e discriminatorio?
I toni – a qualcuno sembrerà strano – sono davvero diventati questi, al punto che alcuni esponenti politici di opposizione, hanno già annunciato, via social, l’intenzione di avanzare un’interrogazione formale su questo episodio, nei confronti del Presidente del Municipio competente per territorio: il Terzo. Che responsabilità possa avere un Presidente di Municipio su un fatto del genere, non è molto chiaro, ma tant’è.
Insomma, l’eterno paese dei guelfi e dei ghibellini, dei Montecchi e dei Capuleti, dei Coppi e Bartali o dei Saronni e Moser, non ha smentito se stesso. Laddove non era riuscita la crisi economica e la pandemia, le minacce di guerra e il declino della città, stanno riuscendo le note di “Grazie Roma”, capaci, con otto secondi di video, di suscitare proteste e rivolte tra gli abitanti dell’Urbe.
È la Roma eterna del “panem et circenses”, in cui i circenses sembrano contare anche più del panem. In sintesi, parafrasando un noto slogan pubblicitario, i romani sembrano oggi dire: “Toglietemi tutto, ma non il mio tifo”. Ma è così da una vita. Forse è così da sempre. Solo alcune maestre, purtroppo, ancora non lo sapevano.