Canale dei Pescatori
Una vera risposta, alla domanda su dove comincia Roma – o dove finisce – magari non c’è.
Non dopo che le mura hanno smesso di delimitarne in solido il perimetro, o la Garbatella di essere campagna, o l’Eur di costituirne avamposto futureggiante, lasciandosi superare di parecchio.
Che poi su uno dei palazzi canonicamente bianchi di romanità travertina c’è proprio scritto: “La terza Roma si dilaterà sopra altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle spiagge del Tirreno”.
Resta da fare i conti con la parte opposta, ma da questa è addirittura facile: Roma finisce – o comincia – col mare.
Le spiagge, a quest’altezza qui, vogliono dire Ostia, che è città di suo, e al tempo stesso è Urbe. Il fiume sacro la sfiora, puntando invece a Fiumicino, e il destino le consegna, nel mezzo del suo lungomare, un canaletto civile denominato “dei Pescatori” in omaggio alla sua essenza, come il borghetto
poco distante.
Risalendolo di qualche decina di metri se ne scopre la natura di ricovero per barche oggi varie, superate le quali l’acqua assediata dal verde si tramuta in un paesaggio da cinema, anche nel senso che potrebbe spacciarsi credibilmente per un sacco di altrove.
Ma è nel punto in cui il canale, passato sotto al lungomare, si consegna al Tirreno, tra un pezzetto di spiaggia libera e un ristorante d’eccellenza, che due scalette simmetriche scendono verso l’acqua per ragioni che il tempo ha reso quasi incomprensibili.
Oppure risalgono, vera e primissima porta della città aperta a naufraghi, sirene, portatori di messaggi in bottiglia, lupi di mare, mostri marini che arrivano da lontanissimo e le percorrono con calma e perfino classe, e una volta emersi si guardano intorno gocciolanti e nella loro lingua lontana pensano, o forse addirittura dicono, “Bello qui”.
[Alessandro Mauro è l’autore di Se Roma fatta a scale (Exòrma, 2016) e Basilio – Racconti di gioventù assoluta (Augh!, 2019)]