Civico de che?

Si avvicinano le elezioni comunali, a ottobre. Si stanno definendo i contorni dei contendenti nei diversi campi, finalmente: ma tutto appare concentrato sui nomi, i contenuti, i problemi e le opportunità di Roma sono e rimangono drammaticamente sullo sfondo.

In realtà ci sarebbero tre grandi linee di “finanziamento” e quindi di governo della cosa pubblica.
Il PNRR, il Giubileo del 2025 e la possibile, a questo punto, dotazione organica di risorse se l’iter Parlamentare sulla legge su Roma Capitale (non il codicillo del 2010 che è servito solo a far scrivere “Roma Capitale” sulle fiancate delle macchine dei Vigili Urbani, accordicchio di bassa lega del governo di destra ultimo Berlusconi regnante) dovesse vedere la luce. Magari tra due anni.

Ma il tema della governance di Roma, dei poteri della città e nella città è tema dal quale discendono in modo organico le altre questioni, anche moto pratiche: rifiuti, trasporti, servizi pubblici.

Foto pubblicata da “Ho Visto Nina volare” su Flickr.com con licenza creative commons

Raccontare o promettere che si faranno piste ciclabili come se piovesse significa non aver capito nulla della mobilità. Così come dichiarare di voler costruire un termovalorizzatore (inceneritore di ultima generazione…) significa voler eludere la questione e affrontare la politica della gestione dei rifiuti alla fine del percorso. Quando ormai i danni sono fatti.

Osservo i diversi campi e li osservo preoccupato. Nel campo del centrodestra mi pare sempre più chiaro che Roma è un pezzetto di una battaglia più grande. E che quindi si lavora per altri obiettivi. Su Roma quindi poco entusiasmo, e molta tattica.

La sindaca uscente Virginia Raggi deve arrivare al secondo turno. Se non ci riesce, si apre il diluvio e il possibile giorno del giudizio. Non avrebbe nessuna carta da giocare su nessun tavolo. Sono mesi che. legittimamente, ha lanciato un’operazione di “sfondamento” a sinistra puntando su alcune parole d’ordine: antimafia, piste ciclabili, antifascismo. Si dice che voglia fare una lista civica a supporto. Ha arruolato persone a iosa, ma altrettante sono andate via per motivi diversi.

Carlo Calenda è in campo da tempo e sta macinando km e dossier. Sa che arrivare al secondo turno potrebbe essere un segnale forte. Stona la dichiarazione – magari gli è sfuggita – che, se non vince, pensa di non fare il consigliere comunale. Ha aperto una feroce dialettica con il PD e eroderà probabilmente voti in quell’area. E potrebbe prenderne anche da elettori di centrodestra, vista la situazione di quella porzione di partiti. Potrebbe essere il “centro di gravità permanente”. Forza e debolezza allo stesso tempo. Rischioso ma possibile.

Il campo largo del centrosinistra, dopo mesi di stallo, si avvia verso le primarie che mi dicono, sono previste nello statuto del PD. Solo che in alcuni Municipi non si fanno. E i candidati a presidente di Municipio hanno seguito la logica, legittima, della segreteria di partito. Diciamo che qui la telefonata della segreteria non è prevista dallo statuto, ma conta di più.

È vero, sono primarie di coalizione. E quindi alla fine non mi scandalizzo se il candidato del PD non partecipa a eventi dove ci sono anche gli altri candidati alle primarie. Anzi, lo trovo del tutto normale. Sono altre le cose per le quali ci si dovrebe stracciare pubblicamente le vesti. Ma si ragiona solo di nomi. Mentre le opportunità corrono senza alcun governo apparente.

E veniamo dopo questo escursus al tema oggetto del titolo del pezzo. Si stanno formando possibili liste civiche di appoggio a questo o a quel candidato. Vi prego, cambiategli il nome.
Perché si vuole, con un’operazione lessicale, costruire una finzione tra quello che si sta facendo e quello che si è in realtà? L’aggettivo civico nella competizione elettorale vuole assumere un carattere di vicinanza al cittadino. Quasi che chi sta nella lista civica sia più cittadino, e quindi più vicino ai problemi delle persone rispetto al “candidato politico”, che invece sta nella lista di partito. E poi, se uno va a vedere, di solito nelle liste civiche ci trovi un pò di tutto: storie, impegni sociali, culturali. Ma c’è sempre uno che si scopre essere più civico degli altri. E non si sa come raccoglie da solo anche il 99% dei consensi di tutta la lista civica. E magari viene eletto.

Foto pubblicata da Gianni Dominici su Flickr.com con licenza creative commons

È strano che l’operazione inversa non sia accettata. Quando un’organizzazione civica (vera, non tarocca) dichiara di fare politica con modi e forme diverse da quelle dei partiti e, oltre a dichiararlo, lo fa concretamente tutti i santi giorni, tra mille difficoltà e problemi, ecco che non appena intende essere uno degli attori pubblici si trova davanti i “guardiani della rivoluzione”che alimentano tutte le possibili forme di disincentivo alla partecipazione della vita pubblica.
E non contenti di ciò usano la parola “civico” per alterare il senso comune del termine al fine di rendere la parola una sottospecie della radice “partito”.

Diciamo che a questo gioco anche le organizzazioni civiche, piccole, grandi, riconosciute, non riconosciute, comitati di quartieri veri e farlocchi, creati da singoli cittadini o da solerti segreterie di partito  – la lista è lunga ma il lettore comprende la natura complessa della specie – ci mettono del loro. Ci si accontenta di visibiltà. Qualche luce della ribalta ogni tanto. Una citazione qui e la.

In definitiva, il problema non è solo nei partiti e nella selezione della classe dirigente. Questo è un tema serissimo e drammatico del Paese intero. E a Roma abbiamo pagato dazio in modo impressionante. Il problema sta anche nella qualità del civismo, nella sua capacità di stare sulle cose, hic et nunc, qui e ora dicevano i nostri antenati romani.
Nella capacità di costruire percorsi, strade, opportunità nonostante tutto e tutti. Avere una visione di società dove ci sia spazio e futuro per ogni persona non a prescindere dal genere, dall’etnia, dall’età, dal grado di istruzione e via dicendo. Ma partendo proprio dalle diseguaglianze come mappa cognitiva per la costruzione di una città a misura di persona.

Esistono in realtà a Roma tantissime esperienze, piccole e grandi, che fanno la differenza, costruiscono futuro, alimentano speranze. Ma molte sono lontane dai radar della “democrazia rappresentativa”, non si riconoscono nei partiti e nelle loro proposte.
Da un lato è assolutamente comprensibile ciò: come dare torto a chi sta per strada tutti i giorni a “sistemare” le cose, mentre la liturgia della democrazia rappresentativa resta lontana, oscura e poco permeabile alle richieste che emergono dai cittadini?

Dall’altro però esiste una sfida che sta diventando sempre più ineludibile, e alla quale anche chi scrive non ha ancora trovato risposta. È il tema antico della “partecipazione”. Per i partiti politici il perimetro di riconoscimento risiede nel concetto di “rappresentanza”. I partiti attraverso le elezioni “rappresentano” una quota di cittadini, e grazie a questa quota partecipano alle istituzioni democratiche nei vari livelli di governo della cosa pubblica.
Le organizzazioni civiche hanno e trovano la propria legittimazione nelle attività di interesse generale che vanno ad esplicare nelle loro attività, hanno diverse leggi di settore confluite nel Codice del Terzo Settore, ma trovano ostacoli, più o meno insormontabili, nella concreta azione di “governance”delle politiche pubbliche.

È la virtù del fare, che contraddistingue le azioni civiche. Ma quando si tratta di tradurre questa virtù in azioni politiche quali scelte di sistema, di visione e quindi di spesa, di impegni per le politiche pubbliche magicamente ogni porta si chiude, esiste una soglia oltra la quale non si accede.
Esistono, grazie al cielo, esperienze di partecipazione attiva alle politiche pubbliche. Ma sono di solito nascoste, poco visibili, ritenute dai più marginali e/o residuali rispetto alle Scelte con la S maiuascola.

In sostanza, gli istituti di partecipazione sono presenti e frutto di una lunga stagione di attivismo civico ma restano marginali. E a breve, come Cittadinanzattiva, pubblicheremo un primo Report sugli istituti di partecipazione nel Lazio.

Ma, tornando al ragionamento la domanda è: le organizzazioni civiche devono candidarsi alle elezioni per avere voce in capitolo sulle diverse aree di intervento? O, invece, la politica dei partiti dovrebbe ogni giorno rispettare il ciclo delle politiche pubbliche con un costante scambio di informazioni, partecipazione attiva e promozione di percorsi partecipativi dei cittadini singoli e associati?

Foto pubblicata da Alessandro su Flickr.com con licenza creative commons

Personalmente ritengo che le forme della democrazia siano molteplici e che debbano tutte avere pari dignità. Sono un servizio alla comunità. Sia se fatto da dentro i partiti che fatto dentro le organizzazioni civiche.
È per questo, anche per questo, che utilizzare la parola civico nasconde ambiguità, timori e preoccupazioni da parte del mondo dei partiti che tentano, spesso, di utilizzare tale aggettivo per aumentare la quota di consenso che generalmente è scarsa.

E qui torniamo al problema della selezione della classe dirigente. Altro grande quesito al quale si fugge da oltre trenta anni. Questa città, nonostante tutto, grazie anche all’impegno dei cittadini, continua a essere una grande opportunità. Le organizzazioni civiche hanno vivacità, capacità di progettare il futuro e flessibilità negli imprevisti della quotidianità e nelle situazioni di crisi.
Se il mondo dei partiti facesse lo sforzo di crescere e di mettersi alla prova sui temi della partecipazione civica probabilmente scoprirebbe che la democrazia ha tante forme come l’acqua nei recipienti: è buona, fresca e vitale se viene lasciata scorrere.
Altrimenti se si imbriglia e si “impaluda” diventa fetida e fonte delle peggiori malattie. Riguarda tutti. Non solo un piccolo e privilegiato mondo.

Per questo vi chiedo: civico de che?

[Elio Rosati è il segretario di Cittadinanzattiva Lazio]

[La foto del titolo è stata pubblicata da “Ho Visto Nina volare” su Flickr.com con licenza creative commons]

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