Addio Fiorenza, punto esclamativo!
“A stronzo, punto esclamativo!” Sono passati quarant’anni da quando, per la prima volta, venne proiettato nelle sale “Un sacco bello“, film d’esordio di Carlo Verdone. Durante questi quarant’anni, Isabella De Bernardi aveva cambiato vita, lavoro, città. Ma per tutti – in fondo anche per se stessa – lei era rimasta per sempre Fiorenza, la ragazzina hippie che “ciancica” la gomma e risponde in modo sfrontato: “Guarda che io a mi padre j’ho già sputato in faccia, attento, fascio, che nun ce metto gnente!”.
Era figlia d’arte, Isabella. Suo padre, Piero De Bernardi, era uno dei più noti sceneggiatori del cinema italiano. Fu proprio a casa del padre – in quel momento occupato a buttare giù scene e battute per “Un sacco bello” – che Verdone notò quella ragazzina diciottenne e decise di affidarle un ruolo nel suo film.
La richiamò ancora qualche tempo dopo, per assegnarle una parte in “Borotalco” e poi ancora ne “Il bambino e il poliziotto”. Isabella lavorò anche con Alberto Sordi, ne “Il marchese del Grillo” e in “Io so che tu sai che io so”. Infine la partecipazione alla serie tv “I ragazzi della terza C”, prima del definitivo abbandono delle scene.
Perché, verso la fine degli anni ottanta, Isabella, improvvisamente decise di cambiare vita. Andò via da Roma, si trasferì a Milano. Lì, quella ragazzina indomabile, senza tetto né legge, finisce per sposarsi, per avere due figli. Inizia a lavorare nel mondo della pubblicità: prima come grafica, poi, passo passo, a crescere nella carriera, fino a divenire direttrice artistica dell’agenzia Young & Rubicam.
Così distante da casa e dal personaggio di Fiorenza, Isabella voleva scrollarsi un po’ di dosso quel cliché della ragazzina che ciancica la gomma, come spiegava lei stessa in alcune interviste.
Non ci è riuscita. Anche a Milano, per chiunque la incontrasse, Fiorenza le restava appiccicata addosso.
Ma in fondo era giusto così, perché quella ragazza senza casa, quella fricchettona che nascondeva la propria fragilità dietro l’arroganza di una gomma da masticare, non era solo il personaggio di un film: era un archetipo, un mito fondante della nuova femminilità post sessantottina, dunque patrimonio dell’intera società.
E così, ora che lei se n’è andata, a soli 57 anni, siamo rimasti tutti senza un pezzo del nostro passato, della nostra coscienza, del nostro immaginario. E, soprattuto. senza la possibilità di sfogarci, di risponderle arrabbiati, aggressivi e arroganti quanto lei. Eppure in fondo, proprio come lei, enormemente impauriti, preoccupati. E incapaci di non mascherare, dietro un linguaggio apparentemente rude e violento, le nostre paure.
Esattamente come fece Mario Brega, in una delle scene più memorabili dell’intera storia del cinema italiano.