Via Cavour
“Zona abitata sotto la città”: questo vuol dire il termine Suburra, di antica origine latina.
Quartieri bassi insomma, di fatto prima ancora che di nome: bettole e bordelli, sia pure a ridosso del Foro, periferia oggi centralissima della città che fu.
Al secolo Rione Monti, che si chiama così perché dei sette colli ne abbraccia quattro, anche se due solo in parte, ed è il quartiere più antico di Roma: sfidare per credere.
Resta da capire perché la vecchia “Subura” abbia col tempo guadagnato una seconda erre, proprio la consonante che fa eccezione alla romanesca attitudine al raddoppio.
Quante che siano le erre, rimane “sub”. Sotto. La rampa che scende da via Cavour a via Urbana, incastonando la fermata della metro tra due scalinate gemelle, rende precisamente l’idea.
Che infatti “immergersi nelle stradine”, qui, sembra una frase meno farlocca che altrove.
Appena scesi c’è uno slarghetto in cui si fronteggiano una lapide di marmo con scritto “Subura”, in pratica una didascalia, e l’ingresso della metro, che in omaggio allo spirito del luogo pare un cinema d’essai: il Cavour.
Tutto intorno una Roma bellissima che le macchine non c’entrano niente, e i posti per bere e per mangiare, e qualche ipotesi di arte che si mischia all’eco sordida e suadente dell’antico lupanare.
Come molti posti frequentati soprattutto col buio, il Rione Monti mostra il suo volto più bello in certe mattine di luce pulita.
Ma è al principio della notte – lasciata via Cavour, e gli autobus e i taxi – che l’imbocco febbrile nell’antico si intona alle promesse di primi incontri, di vino, amicizia, gioventù assoluta.
I pochi scalini delle rampe congiungono i due livelli: la loro simmetria magrolina è il filo che lega il borgo alla metropoli, e soprattutto viceversa.
[La foto è di Laura Crialesi]
Alessandro Mauro è l’autore di Se Roma fatta a scale (Exòrma, 2016) e Basilio – Racconti di gioventù assoluta (Augh!, 2019)