Roma in scala
A molti sarà capitato di imbattersi sui social, nei giorni scorsi, nella foto di una scala mobile romana ricoperta di vegetazione, magari rilanciata sul profilo di qualche amico o conoscente. L’immagine era stata postata originariamente su Twitter da un corrispondente della Reuters, Crispian Balmer, accompagnata dalla frase (in inglese nel tweet originale): “Uno dei progetti di Roma che non ha funzionato”.
È una foto che ha colpito molto la fantasia, così simile a quella di tanti film e reportage, quelli in cui, in una foresta equatoriale, si scoprono le vestigia di una qualche civiltà scomparsa. E perciò, in un battibaleno, quella scala mobile ha fatto il giro del mondo, diventando virale e contribuendo a dare l’idea di una Roma ormai allo sbando e in pieno degrado, anche e soprattutto per colpa dell’inadeguatezza dell’amministrazione comunale in carica.
A qualcun altro, forse meno di quelli che hanno visto la foto, sarà poi anche capitato di leggere la nota con cui l’Assessore alla Mobilità del Comune di Roma, Pietro Calabrese, si è affrettato a spiegare che, no, il Comune di Roma c’entra ben poco, perché quelle scale sono gestite da decenni da una società privata e risultano chiuse da ben prima dell’avvento della sindaca Virginia Raggi: “La manutenzione delle scale mobili di Villa Borghese vicino il Galoppatoio – scrive Calabrese – è di competenza di Saba Italia, gestore del parcheggio sotto Villa Borghese. Si tratta di scale mobili per l’accesso al parcheggio, in disuso da oltre 30 anni. L’area antistante è stata delimitata per ragioni di sicurezza”.
La vicenda è finita così? Neanche per idea, poiché nel frattempo, moltissimi politici, sia locali che nazionali, hanno approfittato di quell’immagine per lanciare la propria personale frecciatina velenosa contro Virginia Raggi e la sua giunta.
Persino un Cinque Stelle come Enrico Stefàno, vicepresidente dell’assemblea capitolina – ma ultimamente in rotta con la sindaca – ha sferrato il suo attacco: “Dire che Roma Capitale non c’entra nulla con il degrado in cui versa il parcheggio di Villa Borghese è una profonda mistificazione della realtà, dato che è stata Roma Capitale a dare in concessione una struttura di sua proprietà a Saba Italia”.
Per non parlare dei Verdi, che pure dovrebbero essere felici di vedere una natura così florida e rigogliosa nel pieno centro della Capitale: “Assolutamente a favore di una Roma green – hanno ironizzato – ma non fin dentro le scale mobili”. Per poi aggiungere: “Gli scatti della scala mobile invasa dalla vegetazione a Villa Borghese sono un vero e proprio trailer sulla Roma del futuro in stile Virginia Raggi. Purtroppo però non si tratta di Star Trek, ma della realtà post apocalittica di Mad Max”.
D’altronde ci si prepara alle elezioni comunali, con una campagna elettorale per il nuovo sindaco che, in teoria, dovrebbe ufficialmente partire già fra poche settimane – covid permettendo – dunque nessuno vuole farsi sfuggire un’occasione tanto ghiotta per screditare quello uscente e ciascuno prova a tirare l’acqua al proprio mulino. Questa, a oggi, la cronaca di una piccola ma molto significativa vicenda, in estrema sintesi.
Perché ne parlo come di una vicenda molto significativa? Per prima cosa, perché questo è uno di quei casi esemplari in cui, nella polemica che ne è sorta, tutti, in fondo, hanno perfettamente ragione, ma tutti, paradossalmente, hanno anche al tempo stesso torto. E poi perché in quella foto e nelle successive dichiarazioni che ne sono scaturite, è contenuto molto, su un piano sia concreto che simbolico, di ciò che Roma è oggi e della difficoltà di poterla amministrare in modo efficace, chiunque ne sia alla guida.
Il corrispondente della Reuters ha lanciato un sasso nello stagno, ma ha ragione l’assessore Calabrese nel dire che quell’acqua ristagna da oltre trent’anni e non per colpa dell’attuale giunta Raggi, bensì di un privato. Quindi è forse colpa di “quelli di prima”? Ma quelli di prima chi? E quelli di prima quando? Le amministrazioni comunali precedenti che hanno dato la concessione? La giunta Marino? Alemanno? Veltroni? Rutelli? O forse, visto che sono passati trent’anni, quelli di prima ancora di quelli di prima? Il sindaco Carraro? La Democrazia Cristiana? È chiaro che messa così diventa solo un comodo scaricabarile all’indietro nel tempo. Per questo Calabrese ha perfettamente ragione. Ma anche torto.
Quindi, se Calabrese ha torto, ha ragione Stefàno a dire che ora il Comune di Roma non può cavarsela così facilmente e lavarsene le mani? Però il partito di Stefàno è quello che si è appena dichiarato “liberale e moderato”. E la teoria liberale non auspica più mercato e meno stato? Cosa sono quelle scale mobili se non proprio un perfetto esempio di più mercato (una ditta privata che le gestisce e che ha, in pieno diritto, deciso di abbandonarle al loro destino) e meno stato (l’amministrazione pubblica che non può intervenire)? Quindi per risolvere quel problema, Stefàno sta dicendo che c’è bisogno invece di più stato (un’amministrazione pubblica più forte e interventista) e meno mercato, in contraddizione con la recente svolta del suo partito. Anche in questo caso, dunque, Stefàno parrebbe avere ragione da vendere, ma al tempo stesso torto, cadendo in contraddizione con se stesso.
Contraddizione in cui cadono anche i Verdi. Perché il loro sarcasmo su quelle scale mobili green è efficace e anche divertente. Però non c’è una parte del loro elettorato, quella che auspica un ambientalismo più pauperista, una decrescita più o meno felice, che ha come obiettivo proprio quello di una città a immagine e somiglianza di quelle scale mobili? Cos’è la cosiddetta decrescita felice se non abbandonare sprechi energetici e tecnologie non indispensabili? Quelle scale mobili, a ben vedere, non sono indispensabili: ci sono altri accessi per recarsi nei parcheggi di Villa Borghese. Perciò bene si è fatto, in questa logica, a non sprecare inutili energie per tenerle aperte e in funzione. Una scala mobile funzionante ha bisogno di elettricità, di manutenzione costante, di soldi, di lavoro, di fabbriche inquinanti per costruirla, insomma di cose che potrebbero fare male al pianeta. Per questo i Verdi hanno ragione a criticare, ma criticando quelle scale abbandonate, hanno anche torto, perché così facendo rinnegano una parte di loro stessi, della loro identità e della loro ragion d’essere.
Questo è uno di quei casi esemplari in cui, nella polemica che ne è sorta, tutti, in fondo, hanno perfettamente ragione, ma tutti, paradossalmente, hanno anche torto
Il punto su cui poi non mi pare si metta a sufficienza l’accento – ma che è, a mio avviso, il punto centrale della questione – è che quelle scale mobili abbandonate evidenziano con chiarezza cosa Roma stia diventando, a causa di quella commistione di pubblico e privato che caratterizza sempre di più molti dei servizi essenziali cittadini e interi quartieri della città.
Oltre alla scala mobile di Villa Borghese, ci sono strade, piazze, aree anche importanti e sempre più ampie e numerose della Capitale, in cui non è più il sindaco a poter intervenire, a poter decidere cosa fare e quando, a poter aprire o chiudere un sottopassaggio, a poter portare luce, acqua, fogne, a poter riasfaltare una buca, o accendere un lampione la notte. Deve farlo il privato che ha ottenuto la concessione su quell’area. Proprio come per la manutenzione e la cura delle scale mobili fotografate dal corrispondente della Reuters.
Proprio come per quelle scale mobili, possono poi passare anche più di trent’anni prima che qualcuno si accorga della questione e segnali il problema all’opinione pubblica. A quel punto, però, visto che la soluzione è quasi sempre difficile, se non impossibile, scatta solo una sterile rissa verbale e un rimpallo delle responsabilità. Per concludere che, in fondo, è forse responsabilità di tutti, ma anche colpa di nessuno e che quindi, di fatto, nonostante la buona volontà, tutto resterà com’è, ostaggio di ruggine, di muschi, di felci e di licheni.
L’imminente campagna elettorale che sta per iniziare, mi auguro allora che riesca ad approfittare della foto del corrispondente Reuters e della polemica che ne è scaturita, per cominciare a parlare in modo serio dei rapporti, non sempre efficaci e ottimali, fra gestione pubblica e gestione privata degli spazi e dei servizi cittadini.
E mi auguro inoltre che, nel fare questo, non si limiti ai battibecchi fra contendenti alle varie poltrone, scatenati solo per prendere un voto in più e primeggiare.
Anche perché, chiunque primeggi, se non si affronterà questo nodo, sarà sì il più visibile, ma anche il più profondamente impotente, nonostante il suo ruolo formalmente importante di primo cittadino. Un primo cittadino oggi impossibilitato a riaprire una scala mobile a Villa Borghese, perché di competenza privata, domani, per ragioni analoghe, altrettanto impossibilitato a risolvere i mille problemi di Roma.