L’indagine scatologica: cap. 19
Diciannovesima puntata del romanzo giallo d’appendice “Mario Marco e l’indagine scatologica”. Ovviamente, questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.
20 DICEMBRE
Si era alzato con una buona idea. Sarebbe tornato al lavoro, tanto ormai stava bene. Poi avrebbe chiesto a Paolini a quale officina poteva portare la macchina, per fargli dare una controllata. Chissà.
– Non mi aveva detto che s’era comprato una macchina, dottore. Bisogna festeggiare – aveva risposto il sovrintendente alla sua richiesta di un’officina di fiducia.
– No, è che è una macchina usata, niente di speciale.
– E che ha preso di bello?
– Una Honda Civic, il modello vecchio. Ma prima di comprarla voglio farla vedere da uno che ci capisce.
– C’ha ragione. Guardi, io non c’ho un meccanico fisso, però c’è quello dove va sempre il dottor D’Artibale…
Yes, pensò Mario Marco.
– Si chiama Claudietto. Sta vicino al Supermercatone, ce l’ha presente? Claudietto, l’ex ladro. Un mago.
– Cioè?
– Claudietto faceva il ladro, prima. Rubava le macchine, ma ha guidato anche in un paio di rapine grosse. È il dottore che l’ha fatto arrestare, le ultime due volte, qualche anno fa.
– E poi?
– E poi quello ha rigato dritto. Sono diventati amici. Bella storia, no?
– Eh, sì – fece Mario Marco. Di mezzo c’era anche un pregiudicato. Di bene in meglio.
– Vado a nome del dirigente, che dice?
– Ma sì, che magari le fa pure lo sconto.
…
Aveva controllato con il terminale la posizione di Claudio Rinaldini, Claudietto per gli amici. Un bel pregiudicatone, senza dubbio. Sarà pure diventato onesto, pensò il vicecommissario – che anche sulla questione del ravvedimento dei pregiudicati si era scoperto un po’ più reazionario di quando era entrato in polizia – ma intanto di cose ne ha fatte, questo qui. Carmela Villa, diceva la scheda, era la convivente di Claudietto.
Nel frattempo, aveva chiesto a un collega di un altro commissariato, per precauzione, di controllare i numeri di targa delle auto parcheggiate nell’officina. Una era intestata alla stessa Carmela. Altre due appartenevano ai lavoranti dell’officina. Tre erano sicuramente di proprietà di clienti: una era di una srl, società a responsabilità limitata, “Immedia Res”, due di persone fisiche. Dai nomi, però, non venne fuori nulla, nessun precedente.
…
– Noi e voi facciamo un lavoro abbastanza simile, in fondo – disse Mario Marco. Era appena finito il primo tempo di Italia-Spagna. Zero a zero e brutto gioco in campo. Ma era un’amichevole. Mica si potevano ammazzare gratis, i giocatori.
– Noi e voi chi? – chiese Galletti, abbassando il televisore.
– Noi poliziotti e voi giornalisti, intendevo.
– Nel senso che cerchiamo tutti la verità?
– Macchè. Facciamo tutti e due i servitori di professione. Voi servite i vostri editori e gli amici loro, o i vostri. Noi, lo Stato o chi per lui, di solito qualcuno interessato ai cazzi propri, e magari amici degli amici vostri. Solo che a voi, almeno, vi pagano un po’ meglio.
– Non sono d’accordo. I giornalisti cercano le notizie, o almeno dovrebbero cercarle, e i poliziotti fanno di tutto per tenergliele nascoste.
– Stai dicendo cazzate. Ti hanno mai davvero impedito di cercare qualcosa che volevi trovare davvero? Pensaci. C’è sempre qualcuno che parla, che dice una mezza parola, c’è sempre una porta mezza aperta, qualcuno che si dimentica di togliere un verbale dal tavolo. Eccetera, eccetera, eccetera. La polizia mica è perfetta.
– Non lo so. Non mi viene in mente. Non mi ricordo se c’è stato qualcosa di veramente importante da cercare – rispose il giornalista, senza togliere gli occhi dallo schermo.
– Vedi che ho ragione? Invece, adesso che stai cercando qualcosa di cui ti importa, è diverso.
– Dimentichi che non abbiamo ancora trovato niente.
– Invece c’è qualcosa. Lo sai anche tu.
– Senti – disse Galletti, stavolta guardandolo in faccia. – non lo so perché stiamo facendo questa cosa. È stata un’idea tua, e mi hai convinto. Ma non so perché hai cominciato. Se sei esaurito, se ce l’hai con D’Artibale per qualche motivo, se stai solo giocando al bravo poliziotto. Non lo so. Non so neanche che cazzo me ne faccio di questa storia, ammesso che sia vera. Se lo è, comunque, nessuno la pubblicherà. Perché non hai una prova che sia una. Se non altro, mi sto divertendo. Ecco, faccio il giornalista sul serio, come dici tu. Poi tornerò a occuparmi delle cose per le quali sono pagato, e abbastanza male, per essere un giornalista. Contento? Adesso non mi scassare la minchia perché è ricominciata la partita.
21 DICEMBRE
– Avevo pensato di andare alla Camera di commercio o al Tribunale civile, poi m’è preso un attacco di pigrizia. E poi mi sono ricordato oggi è sabato. Allora mi sono attaccato a Internet. È stato un po’ complicato, perché di siti Immedia o simili ce ne stanno un casino. Però, alla fine, ho trovato un po’ di cose. Le ho stampate. Vuoi vedere? – Galletti sventolò un elenco in faccia a Mario Marco.
– Allora, qui ci sono cinque item collegati. In due, compare semplicemente il nome della società, all’interno di un festival di produzioni televisive. Altri due sono cataloghi di vendita, in cui si cita di sfuggita la stessa società. Uno è un articolo della “Repubblica”, ed è quello più interessante. Leggi qua.
Il commissario diede una veloce scorsa al pezzo. Curioso, pensò Mario Marco. Si parlava di cartoni animati e di mafia giapponese, della rapidità di penetrazione dei “manga” del Sol Levante sul mercato europeo e italiano, molto molto sospetta, almeno secondo il giornalista, che citava anche l’opinione di alcuni esperti del settore, secondo cui era la stessa Yakuza a controllare almeno una parte della produzione – direttamente o attraverso una sorta di racket – e che le varie mafie europee avevano cominciato a investire nel settore dei fumetti e dei videogiochi per riciclare denaro sporco.
La società “Immedia Res” faceva capolino un paio di volte nell’articolo. Una piccola società, a prima vista, che però dal nulla si era guadagnata l’esclusiva di alcune grosse, grossissime produzioni giapponesi – soprattutto nel caso dei manga porno – per poi rivenderle ad altri. Senza dirlo espressamente, era chiaro che il giornalista stava indicando la “Immedia” come una delle società sospette. C’era anche una piccola biografia di quello che si riteneva essere il proprietario – attraverso il solito sistema di scatole cinesi – della società: un imprenditore che aveva fatto fortuna tanti anni prima con l’abusivismo edilizio, poi con i prefabbricati, infine con l’allevamento di lombrichi per la produzione di terriccio fertilizzante (merda, pensò Mario Marco, gira che ti rigira è sempre merda) e che ora viveva in una villa superprotetta a Nizza, in Francia.
– Il nome non mi dice niente – disse Mario Marco. Poi, per un istante pensò a quella cartolina che aveva visto frugando tra la posta del Geometra. Da Nizza.
– Sei sicuro che non abbiamo sbagliato strada? È questa, la società che ci interessa?
Galletti gli strappò il foglio di mano. – Augusto Feroci. No, non ci stiamo sbagliando. È lui. È uno di qui. Ne ho sentito parlare, ha anche due o tre nipoti, fanno tutti i commercianti. Con i soldi dello zio. Pare che zio Augusto sia uno potentissimo. E anche se abita a Nizza da vent’anni, si interessa molto del posto dove è nato. Ha svariati interessi in società locali, una finanziaria, una ditta che costruisce piscine, una che installa macchinette automatiche caffè-cappuccino.
– Hai fatto anche una ricerca Internet su ‘sto zio Augusto? – Chiese il vicecommissario.
– Le cose che ti ho detto le ho sapute chiedendo un po’ in giro. Piuttosto, su Internet ho trovato questa, per caso, digitando Feroci.
Il giornalista estrasse un altro foglio dalla cartellina che aveva con sé. – L’ho trovata su un sito di un’associazione australiana di allevatori di vermi. Questa è l’unica foto che ho trovato, e deve risalire a qualche anno fa, secondo me. Ecco zio Augusto, anche se a me sembra il gemello di Cesare Previti.
Mario Marco guardò la foto. Era una stampa laser in bianco e nero, abbastanza sgranata. Due uomini di mezz’età, uno sorridente, l’altro con un paio di occhiali scuri, capelli bianchi. Quello che sorrideva teneva in mano un lombrico. Giornata assolata. Alle spalle un albero.
– Mi ricorda qualcuno – disse Mario Marco – Aspetta… Previti… Me l’ha ricordato anche a me, la prima volta che l’ho visto.
– Hai già visto zio Augusto? E dove?
– Su una foto, a casa di Bordone. Torna tutto, cazzo, te l’avevo detto.
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