L’indagine scatologica: cap. 18
Diciottesima puntata del romanzo giallo d’appendice “Mario Marco e l’indagine scatologica”. Ovviamente, questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.
18 DICEMBRE
Se D’Artibale si fosse fatto accompagnare dalla scorta, sarebbe stato magari più difficile. Invece no. Il vicequestore ci teneva, a salire da solo sulla sua auto e ad andarsene in giro senza protezione. Per lui era un punto d’onore, una dimostrazione di virilità. “Tanto, se c’è qualcuno che mi vuole male, mi acchiappa lo stesso, scorta o non scorta”, ripeteva.
La Bmw di D’Artibale era partita rombando, ma ora il vicequestore se la prendeva comoda. Mario Marco lo seguiva su una Golf color grigio-topo. Il telefonino cominciò a squillare. Era Galletti.
– Ce l’ho davanti. Per il momento è abbastanza facile. Tu resta dove sei – disse il commissario, e riattaccò.
Era un’idea semplice ma poteva funzionare. Aveva telefonato da una cabina, camuffando la voce, al diretto di D’Artibale. Di regola le chiamate dagli apparecchi pubblici che funzionavano ancora con le monete non venivano registrate, a meno che la Telecom non sospettasse che qualcuno telefonava a scrocco.
So che cosa hai fatto con quelle lettere – aveva detto Mario Marco. Aveva dovuto ripetere la frase almeno tre volte. Galletti aveva insistito per fargli usare un microfono computerizzato per deformare la voce al punto da renderla irriconoscibile, uno di quegli aggeggi che vendevano nei negozi per patiti dello spionaggio; ma sembrava che il vicequestore, un po’ sordo, non riuscisse proprio a capire la frase.
Poi aveva riattaccato, in attesa che D’Artibale, allarmato, facesse qualcosa, uscisse dal commissariato.
A bordo dell’auto noleggiata da giorni, il commissario si era piazzato in una via da cui si vedeva l’ingresso del garage del commissariato. Era lì seduto da tre ore, ormai. Per fortuna, aveva portato con sé un panino e una bottiglietta d’acqua.
Galletti aspettava in un’altra auto – una Clio che si era fatto prestare dal cugino – a poca distanza, sul tratto di strada che D’Artibale percorreva sempre, o quasi, all’uscita dal commissariato. Il giornalista non aveva preso nulla da mangiare e a un certo punto, vinto dalla fame, aveva chiamato Mario Marco sul cellulare per chiedergli il permesso di andare a comprare qualcosa in un alimentari lì accanto.
– Ci vai se poi posso scendere io a pisciare.
– Ma tu da lì controlli l’uscita del garage.
– Sì, ma mentre piscio tu mi puoi sostituire qui.
Galletti era entrato nel negozio di alimentari, e dopo un minuto Mario Marco l’aveva richiamato al cellulare.
– Che è successo? Sta uscendo? – aveva risposto quello, allarmatissimo.
– Non succede niente. Volevo solo provare se il telefono pigliava, lì dentro.
Poi era stata la volta di Mario Marco. Il vicecommissario era entrato in un bar dove l’avevano subito riconosciuto, con suo immediato e malcelato imbarazzo. Con un po’ di agitazione, si accorse che nel bagno non c’era campo per il telefonino. Fece più in fretta che poteva, e tornò correndo all’auto.
– Niente?
– Niente – rispose Galletti. Non vorrei che stessimo qui ad aspettare inutilmente. Magari D’Artibale non ha abboccato, ha capito che era un bluff. Oppure si è solo attaccato al telefono.
– Sono sicuro che è preoccupato. E comunque, alla fine farà qualcosa. Magari andrà da Bordone.
– Vabbe’, il poliziotto sei tu – Galletti tornò alla sua macchina.
Cinque minuti più tardi, dal garage uscì la Bmw di D’Artibale. Ormai era buio.
– Lo vedi? – Mario Marco aveva chiamato Galletti al cellulare.
– Sì. Allora, vai avanti tu. All’incrocio, tu giri a sinistra e fai la parallela, io continuo. Esatto?
– Sì. Poi io lo riprendo un chilometro dopo. Se invece ti faccio due squilli, continui tu.
Mario Marco, che voleva evitare di dare nell’occhio, imboccò a sinistra, ma tagliò malamente la strada a un furgoncino. Strombazzamento di clacson, sfarettamenti incazzosi. Ora toccava a Galletti. Sulla parallela c’era un po’ più di traffico del previsto. Un camion della nettezza urbana stava svuotando i cassonetti. Proprio adesso, pensò Mario Marco, eccheccazzo. Decise di cambiare strada. C’era un’altra parallela, per fortuna. Non chiamò Galletti per avvisarlo, si sarebbe agitato di più sennò. Incominciò a pensare che stavano facendo una cazzata, che magari il vicequestore era semplicemente andato a trovare un conoscente, l’amante, o che era uscito per fare la spesa. Anche i vicequestori mangiano, scopano, cacano.
Il telefonino squillò.
– Non so dove sta andando. Sicuramente non va verso casa di Bordone – disse Galletti. – C’è un supermercato con parcheggio e distributore, ci arriviamo tra… quattro-cinque minuti, direi. Ah, un’altra cosa ho visto un vigile urbano che mi faceva la multa. È per il telefonino, mi sa.
– Tranquillo, te la faccio togliere – rispose Mario Marco.
Era una bugia. Ancora si ricordava l’ultima litigata con il padre, perché non aveva voluto chiamare quel vigile che conosceva bene per far annullare una multa per eccesso di velocità.
Guidando un po’ a culo, perché ancora non era troppo pratico della zona, Mario Marco era arrivato quasi davanti al supermercato. Né la Bmw né la Clio erano in vista. Chiamò Galletti.
– Dove siete?
– Io, io sono ancora sul viale, sto arrivando.
– Come io? E D’Artibale?
– L’ho perso. C’era un Tir davanti, quello s’è stufato ed è passato, e io invece sono rimasto imbottigliato come un deficiente.
Minchia, pensò Mario Marco. E adesso? Con il buio, poi, è ancora più difficile.
Il commissario entrò nell’area del supermercato. Il parcheggio correva intorno a tre lati dell’edificio. C’era un po’ di fila. Mario Marco completò il giro e si fermò di nuovo davanti al supermercato. Niente, nessuna Bmw in vista. Il telefonino era muto, chissà dove cazzo era finito Galletti.
Si guardò intorno. Un grande distributore di benzina, e quasi alle spalle un’auto-officina. Vabbe’, valeva la pena di guardare. Avanzò un poco con la Golf. Dal benzinaio, niente. Guardò all’interno dell’officina. La Bmw, eccola lì. Un meccanico stava trafficando con il motore. Abbiamo perso tutto ‘sto tempo e questo è solo venuto dal meccanico, pensò Mario Marco. Fece il numero di Galletti.
– L’ho trovato.
– Dove sei?
– Il meccanico vicino al supermercato. Vado a dare una guardata.
Il commissario lasciò la macchina in sosta vietata, con le quattro frecce accese. Andò prima verso il distributore, poi avanzò in diagonale. In testa s’era messo un berretto di lana nera, di quelli che fanno molto rapper americano. Al posto della solita giacca, un giubbotto grigio scuro, che non gli era mai tanto piaciuto ma che quel giorno poteva tornargli utile.
Vide D’Artibale. Il vicequestore stava parlando con uno dei meccanici. Brutta faccia, pensò Mario Marco, che però spesso si vergognava dei suoi giudizi lombrosiani da personcina perbene.
Il commissario, voltandosi verso la strada, tirò fuori un block notes, segnandosi il nome e il telefono dell’officina. Poi annotò i numeri di targa delle auto posteggiate lì intorno. Poteva tornare utile.
Il giorno dopo, non c’era voluto molto a sapere chi fosse il proprietario, anzi la proprietaria dell’officina. Era stato sufficiente controllare il numero telefonico con la Telecom. Carmela Villa, via Scaparro 33. Un nome che a Mario Marco, ma anche a Galletti, non diceva nulla. E poi, chi era il tizio con cui aveva parlato D’Artibale? Avrebbe potuto chiedere a quel funzionario di banca a cui si era rivolto l’ultima volta, insieme a Paolini. Ma il commissario scartò subito l’idea. Paolini fa parte di questa cosa, pensò. E il tizio della banca potrebbe parlare con lui, o con D’Artibale. Ecco il mio piccolo vicolo cieco quotidiano, pensò ancora, cercando di prendere sonno.
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