Rispettiamoci in strada
Di traffico si vive. Roma, secondo un’analisi molto commentata sui social nei giorni scorsi, sarebbe la seconda città al mondo per tempo passato in auto, dopo la capitale della Colombia, Bogotà.
Per TomTom, l’azienda olandese che produce sistemi di navigazione, nella Città Eterna si trascorrono nel traffico 5 ore e mezzo a settimana, vale a dire 22 ore al mese e 11 giorni in un anno. Ma Roma è comunque al 31esimo posto della classifica mondiale del tempo trascorso nel traffico, ben al di sotto di Mumbai, ma anche di Mosca o Dublino.
Ma di traffico si muore, anche.
Sono quasi 60 i pedoni morti sulle strade della Capitale nel 2018 – secondo i dati Aci-Istat – calati nel 2019 a 47 stando ai dati preliminari del ministero dei Trasporti. Sempre tanti, rispetto a città come Oslo o Helsinki, dove l’anno scorso non si sono registrate vittime né tra i pedoni né tra i ciclisti.
Non è questione di numero di abitanti, ma di politica stradale. Nelle città nordiche – Copenaghen e Stoccolma incluse – ridurre fortemente o azzerare il numero dei morti sulle strade è stato possibile grazie ad un insieme di interventi, nel corso degli anni, che hanno ridotto la velocità di circolazione nelle aree urbane, dando priorità agli spostamenti sui mezzi pubblici, creando spazi sicuri e continui per i ciclisti e ampliando progressivamente le aree pedonali in tutti i quartieri.
Per questi obiettivi si batte anche un cartello di oltre 200 associazioni che domenica 23 febbraio, dalle 11, si ritroveranno ai Fori Imperiali per #rispettiamocinstrada, la manifestazione nazionale promossa da Vivinstrada.
In Italia, nonostante le esperienze virtuose sperimentate in alcune regioni, c’è ancora molto da fare, almeno per le grandi metropoli, come indica anche la classifica di Ecosistema Urbano 2019 di Legambiente, che vede nelle ultime posizioni Torino (88°), Roma (89°) e Palermo (100°).
Le associazione hanno chiesto “un incontro urgente” al presidente della Repubblica Sergio Mattarella “al fine di promuovere con ogni istituzione competente gli interventi necessari per fronteggiare l’emergenza stradale che sta rendendo sempre più mortali e invivibili gli spazi pubblici viari del nostro amato Paese”.
Tra le priorità chieste al governo, l’impiego maggiore delle forze dell’ordine in area urbana (“l’Italia conta 475 agenti ogni 100.000 abitanti però con scarsi impieghi operativi per la prevenzione sulla strada”) per un controllo più stringente sui comportamenti di guida più a rischio, come l’eccesso di velocità, il mancato rispetto delle utenze vulnerabili, la sosta vietata e l’uso del cellulare alla guida.
Ancora, la diffusione delle zone pedonali e delle aree a 30 km orari nelle città, con particolare attenzione per i disabili, gli studenti, le persone anziane. E ovviamente incentivare il trasporto leggero e sostenibile – bici, bici elettriche, monopattini etc – e disincentivare invece il mezzo privato, con la sosta a pagamento, le ZTL, l’aumento del fisco sui carburanti.
Per le associazioni servono anche strumenti tecnologici spesso invisi agli automobilisti, come autovelox (non più segnalati), sistemi Tutor, T – Red (cioè semafori con telecamere), e l’avvio della sperimentazione Intelligent Speed Adaptation: si tratta di sistemi elettronici che riducono automaticamente la velocità dei veicoli ai limiti previsti nelle varie zone.
I ciclisti chiedono di aprire alle bici le corsie dei bus e la legalizzazione del doppio senso ciclabile nei sensi unici, ma anche di essere equiparati ai pedoni sugli attraversamenti pedonali, di avere una posizione più avanzata davanti ai semafori e di introdurre una distanza minima per il sorpasso delle bici da parte di auto e moto.
E non va trascurata infine, la comunicazione, soprattutto la formazione ed educazione stradale, già a partire dalle scuole.
[La foto del titolo è di Francesca Frakokot ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]