Roma sotto il ricatto-sgomberi
Nei prossimi mesi Roma rischia di trovarsi con altri migliaia di senza casa in più sulle sue strade. Lo dice la prefettura della Capitale, in un documento reso pubblico a metà luglio, che per il momento non ha provocato particolari reazioni, se non le proteste del Comune perché l’immobile occupato dall’organizzazione di estrema destra Casapound non rientra nella lista.
Il Consiglio comunale non è riuscito per il momento a votare un documento del M5s, forza di maggioranza della città, che vorrebbe rallentare il piano di sgomberi e coinvolgere il governo. A favore della posizione più morbida sarebbe anche il Pd, partito che pure ai tempi del governo Renzi ha fatto approvare una legge per staccare la fornitura di corrente elettrica agli edifici occupati (per evitare malintesi: le forniture non erano gratuite, ma gli inquilini, anche se “arbitrari” pagavano regolarmente il servizio).
La parola d’ordine è “legalità”. Un concetto in teoria ampiamente condivisibile, se non fosse che poi viene declinato secondo interessi diversi. E a prescindere anche dalle necessità e dalle difficoltà di una città, Roma, che continua ad avere migliaia di appartamenti sfitti, edifici abbandonati e contemporaneamente migliaia di persone che vivono all’addiaccio. Un quotidiano come il Messaggero, che appartiene a una famiglia di costruttori, invoca la legalità per dare addosso al M5s (a cui fa la guerra da anni per la questione del controllo di Acea) e anche, magari, potrebbe pensare qualcuno, per piazzare qualche palazzina da affittare al Comune per le emergenze abitative. Esattamente come ha dato addosso al nuovo Stadio perché a costruirlo doveva essere il costruttore concorrente Parnasi.
Il problema è sempre lo stesso. Dopo aver ripristinato la “legalità”, dove si sistemano le persone sgomberate, che spesso hanno figli che vanno a scuola nel quartiere? Per strada? In un altro Comune? Oppure bisogna avere il coraggio di pensare a soluzioni diverse secondo i casi, prima e non dopo gli sgomberi? Le persone di solito occupano luoghi da abitare (e in questo caso non parliamo di appartamenti sottratti ad altri, ma di edifici diversi, spesso ex uffici, fabbriche etc) perché non hanno i soldi per pagare l’affitto. E spesso neanche i titoli per accedere a case popolari. O semplicemente non possono aspettare i tempi di assegnazione.
Nel documento prodotto dalla Prefettura sono indicate complessivamente 82 occupazioni abusive (arbitrarie, le chiama), per un totale di 11.000 abitanti circa. Un piccolo Comune italiano, insomma.
Solo 23 immobili sono destinati però a essere sgomberati in tempi brevi. Si tratta di casi in cui c’è stato già un decreto di sequestro, ribadito anche dal tribunale civile, e che dunque rischiano di costare salato alle casse pubbliche, dice il documento. Ma non basta.
La fretta dipende anche dalle “condizioni strutturali e di salubrità” degli edifici, e uno pensa subito alla paura che in caso di crollo qualcuno debba poi assumersi la responsabilità penale (il Comune? La prefettura stessa?). Però poi si scopre che la ragione sta nel” diritto alla vita ed all’incolumità della persona umana (che) deve necessariamente prevalere rispetto a qualsiasi altra situazione giuridicamente rilevante”. Insomma, si possono mettere per strada persone che rischiano di vivere in un immobile insalubre, per il loro bene. E il pensiero va, come ha scritto giorni fa l’urbanista ed ex assessore Paolo Berdini, alle case Armellini di Ostia, dove il Comune decenni fa ha sistemato (pagando l’affitto ai proprietari) gli abitanti delle varie baraccopoli romane nonostante la qualità delle costruzioni lasciasse a desiderare.
L’altra priorità è dovuta “alla presenza di accertate criticità sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica, soprattutto tenendo conto dell’eventuale impatto sul contesto ambientale derivante dalla stessa occupazione (ad es. incremento della delittuosità, presenza dei fenomeni di spaccio, prostituzione etc.)”. Frase che non vuol dire nulla di preciso, e che mette insieme come mele e pere cose diverse come delitti non meglio precisati, spaccio di droga e prostituzione. Insomma, si capisce solo che è il solito problema di “decoro”. Lo stesso che si può facilmente riscontrare, per fare solo un paio di esempi, sulla Cristoforo Colombo o sulla Salaria (prostituzione), o a Trastevere (droga) anche senza occupazioni “arbitrarie”.
Per avere un’idea dei problemi di ordine, ecco per esempio cosa dice la scheda di un immobile occupato in via Prenestina 944, dove abitano 600 persone, di proprietà di una banca: “La Questura di Roma segnala che il protrarsi dell’occupazione ha inevitabili ripercussioni sulla sicurezza delle aree circostanti”. Che vuol dire, esattamente?
O nel caso di un edificio di via delle Province: “L’occupazione svolge altresì un ruolo propulsivo all’interno del circuito antagonista”. “Antagonista”, per la questura, significa generalmente “centro sociale” e “autonomi”. Quindi? Chi vive lì va sgomberato perché ha un ruolo politico? O ancora, per quanto riguarda l’immobile di via Collatina 385: “La Questura di Roma oltre ad una generale situazione di degrado nelle zone circostanti l’occupazione, dovuta ad accumuli di rifiuti, segnala attività di spaccio di sostanze stupefacenti, furti, lesioni e prostituzione. Tra il 2006 e il 2008 sono stati segnalati 8 casi di TBC dalla ASL competente”. Verrebbe da dire che per gli accumuli di rifiuti, in certi periodi andrebbe sgomberata probabilmente mezza città. Mentre i casi di Tbc risalgono a oltre 10 anni fa.
Anche questa segnalazione, riferita a un immobile in via Roccagiovine, fa riflettere: “La Questura di Roma segnala che possibili criticità potrebbero derivare dalla vicinanza con altre occupazioni abusive presenti sul territorio di Roma est”. Il problema, insomma, che ci sono troppe occupazioni nei pressi.
C’è anche il caso del centro sociale Acrobax, che da anni è sorto nell’ex cinodromo, un impianto che appartiene ufficialmente al Comune. L’unico vero problema, si legge, è che “La Questura di Roma segnala criticità legate al disturbo della quiete pubblica in occasione di feste ed altri eventi organizzati nello stabile; inoltre l’occupazione svolge un ruolo propulsivo all’interno del circuito antagonista”. Curioso, perché l’Acrobax si trova in una zona praticamente non residenziale, un labirinto di stradine, depositi, centri sportivi etc.
O c’è il caso del Maam, un museo di arte contemporanea autorganizzato (nel senso che non è organizzato dal pubblico) che esiste da anni a via Prenestina 913, nell’ex stabilimento Fiorucci, e che fa un lavoro meritorio apprezzato da critici d’arte e pubblico.
Infine, tra le ragioni della fretta, “la garanzia dei diritti riconosciuti ai proprietari”, che è una questione seria, almeno se i proprietari hanno progetti fondamentali importanti da realizzare che le occupazioni stanno bloccando. Ma da questo punto di vista, nulla sappiamo. Sappiamo solo che tutti i proprietari hanno denunciato (anche perché se non denunci sei complice e rischi di assumerti la responsabilità se succede una disgrazia), mentre non abbiamo notizie su fondamentali progetti economici.
Insomma, il rischio nei prossimi mesi è che il ministro dell’Interno, il leader della Lega Matteo Salvini, voglia fare di Roma un campo di battaglia dove mostrare, non solo metaforicamente, i muscoli, e continuare a fare una campagna elettorale a doppio incasso: da un lato intervenire con la forza, dall’altra creare condizioni di insicurezza e disagio, che richiederanno altri interventi di forza.
Invece, bisognerebbe intervenire con intelligenza. Impedire sempre occupazioni di case popolari (e non è questo il caso). Distinguere tra proprietà pubblica e privata, e tra la presenza effettiva di progetti reali di investimento da parte dei proprietari e semplici azioni legali per cercare di ottenere solo risarcimenti dallo Stato per immobili che non serviranno mai a nulla (Roma è costellata di edifici abbandonati e senza futuro, lo ripetiamo, nonché di troppi appartamenti per una popolazione che è calata negli anni). Tornare a sostenere progetti di autocostruzione da parte di occupanti, che in passato hanno ristrutturato a proprie spese immobili pubblici abbandonati per trasformarli in abitazioni. Ovviamente costruire case popolari (o acquisire immobili da destinare al social housing) dove servono ed infine lanciare una vera agenzia che consenta l’affitto sicuro di appartamenti a canoni garantiti.
[La foto del titolo è di Angela Gennaro, e documenta lo sgombero di via Curtatone nell’agosto 2017]