Se la periferia è più viva del centro

Negli ultimissimi anni a Roma, la Galleria Albero Sordi sembra vivere un ridimensionamento oscuro, silenzioso e inesorabile. A pochissimi metri da Palazzo Chigi e proprio nel cuore di via del Corso, quel passaggio al coperto potrebbe essere uno degli angoli più affollati e visitati di tutta la città. Eppure, stretto dalle bancarelle di abusivi che lo circondano fuori e abbandonato da molte delle attività commerciali che provano a sostenerlo da dentro, è come se non riuscisse ad intercettare in modo coordinato e adeguato il flusso sterminato di passanti che la sfiorano ininterrottamente.

In generale, tutto il tratto tra il Pantheon e Piazza del Popolo è letteralmente invaso da turisti, ma è come se Roma si ostinasse a volerli ricevere in modo sciatto o dare sempre la sensazione di esserne quasi infastidita.

A essere ottimisti magari, si ha la sensazione che prima o poi la nostra città possa anche trovare un modo più lungimirante o almeno più commercialmente raffinato per accogliere i pellegrini del terzo millennio. Nessuno può toglierci la convinzione però che ormai la maggior parte di quelle vie centrali siano irrimediabilmente perse al senso concreto di urbanità o appartenenza civica di ogni semplice cittadino romano.

Partiamo dal centro per arrivare però in periferia. In questi giorni sono arrivati in libreria due testi che trattano in modo esauriente due argomenti diametralmente diversi: Contro le mostre di Tomaso Montanari e Vincenzo Trione e Borgate di Pasquale Liguori. Oltre a elaborare nello specifico dei punti di vista esaurienti ed illuminanti su temi ben delineati come la condizione del circuito museale italiano e lo stato delle nostre periferie, queste due opere sembrano fornire tasselli ulteriori e complementari per formarsi un’idea generale sul nostro rapporto più generale con la cultura e la città.

Seguendo forse l’idea dietro al celebre pampleth Contro L’architettura di La Cecla (2008), Montanari e Trione nel loro libro non muovono certo critiche a nessuna opera d’arte, ma propongono una feroce disamina su come il circuito delle mostre italiane si sia trasformato in un’industria del trasloco sciatto e denigrante di quello che rimane dei più grandi capolavori della nostra storia.

Facendo nomi e cognomi, misurando come hanno inciso gli interventi del ministro della Cultura Dario Franceschini e stimolando egregiamente la nostra curiosità su alcuni tesori artistici di Roma e non solo, gli autori riescono a illustrare in poche pagine come l’intero polo museale sia intrappolato nelle mani di pochi curatori, che non solo ripropongono e si scambiano sempre le solite opere, ma che hanno ridotto al minimo la proposta di ricerca e approfondimento che potrebbe valorizzarle.

Oltre a farci rendere conto di come, nel nostro rapporto con la cultura, ci stiamo trasformando sempre più da cittadini a consumatori, stretti in corridoi che ci consentono al massimo di scattare un selfie o esprimere al massimo un mi piace come davanti ad un paio di scarpe, senza alcun giudizio critico più elaborato, Trione e Montanari dicono molto anche sullo stato e il senso di appartenenza dell’arte.

Nel Cinquecento, quando Caravaggio produceva forse le più grandi opere di sempre, molte dei lavori dei suoi colleghi erano esposti nelle chiese, luoghi di culto e socialità più radicati nel territorio. Ora i grandi nomi dell’arte contemporanea vengono esposti su parquet asettici senza alcun collegamento con l’esterno o l’intervento di curatori che possano spiegare adeguatamente il loro rapporto con la realtà.

Osservando gli splendidi scatti del libro fotografico “Borgate” di Liguori, è come se le considerazioni di Trione e Montanari prendessero immediatamente forma.

Lo sguardo dell’autore in questo caso non è solo sulla street art di Tor Marancia, Trullo e San Basilio, ma su tutta l’estetica di alcuni quartieri popolari che pur nella mancanza endemica di servizi e strutture riescono a esprimere una vitalità e un senso di appartenenza che va oltre le differenze e le contraddizioni che allo stesso le tempo dividono dall’interno.

Difficilmente vedremmo i cittadini insorgere in difesa di un museo d’arte contemporanea, mentre in molte città d’Europa succede che la comunità si preoccupi della sorte dei murales delle proprie strade.

In questo senso la morte commerciale che sta uccidendo uno spazio del livello architettonico della Galleria Alberto Sordi, lascia quasi indifferenti molti romani perché ormai da anni quel corridoio è destinato solo alla vendita di beni di Lusso senza alcuna funzionalità sociale e vitale.

Liguori al contrario dimostra con pochissimi scatti, pur nella desolazione dei suoi spazi alle prime luci del mattino, esprime una forza e una luce che Palazzo Colonna non avrà mai più.

 

[Foto di (Waiting For) Godot, diffusa su Flickr con licenza Creative Commons il 10 maggio 2015]

 

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