Il problema di Ostia è il traffico
Mafia Capitale non era mafia, cioè non era un’organizzazione in grado di controllare il territorio, di intimidire imprenditori e amministratori con la minaccia della violenza, di controllare certi settori economici.
Lo ha stabilito ieri, dopo due quasi due anni di processo, un tribunale di primo grado, che comunque ha condannato a pene pesanti i capi e i gregari e i collaboratori di quella che è stata riconosciuta in ogni caso come un’associazione a delinquere.
Tra di loro, c’era anche l’ex presidente del X Municipio, quello di Ostia, Andrea Tassone, condannato a 5 anni per corruzione.
Il X municipio è commissariato da due anni, cioè dall’indomani dell’arresto di Tassone, giovane promessa del Pd (area Margherita) che vinse le elezioni nel 2013 contro il centrodestra. Si tratta di un commissariamento straordinario per infiltrazioni mafiose, come si dice di solito; il primo che riguarda non un Comune, ma un municipio, cioè un pezzo, di una grande città.
Nel decreto del presidente della Repubblica che ha disposto la “gestione straordinaria” non si cita direttamente la mafia, ma si indicano, come vuole la procedura in questi casi, “forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività municipale”.
La sentenza di ieri ha subito dato fiato a coloro che contestavano la scelta di commissariare il municipio: siccome non sono stati riconosciuti né l’associazione mafiosa né il metodo mafioso, dicono, Ostia non andava commissariata. Casomai, si sarebbe dovuto commissariare il Campidoglio.
LA MAFIA NON ESISTE
Non è la prima volta che accade.
Quando, nell’estate del 2016, la corte d’appello di Roma cancellò l’articolo 416 bis, cioè il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso, dalla condanna contro una serie di “boss” ostiensi implicati nell’inchiesta Nuova Alba (e che sono stati comunque condannati per vari reati), alcuni dissero: allora, se non c’è la mafia, Ostia non andava commissariata.
Nel febbraio scorso, però, al processo per la gestione delle concessioni balneari a Ostia (nato da un’altra inchiesta battezzata Tramonto) la maggior parte degli imputati sono stati condannati in primo grado con l’aggravante di aver agito col metodo mafioso. Quindi? Non c’è mafia, ma c’è metodo mafioso?
E anche se l’organizzazione guidata da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi non era mafiosa, potremmo dire che quello che è successo a Roma negli ultimi anni non era grave?
Ma non voglio farne una questione di parole. Mi interessa la sostanza. E cioè: a Ostia c’è (c’è stata) davvero la situazione di allarme-criminalità che ha portato allo scioglimento del Municipio? Il commissariamento, che va avanti da due anni, e che dovrebbe concludersi a ottobre, ha prodotto risultati? E perché ci sono tante polemiche?
Ostia non è solo quella che raccontate voi giornalisti!, ci dicevano. Certo, ma era anche quella
I motivi del mio interesse per Ostia e quello che succede lì, in quel pezzo di Roma sul mare, sono numerosi. A Ostia sono cresciuto. A Ostia ho cominciato a fare politica (dai collettivi studenteschi al Pds passando per Dp e i Verdi arcobaleno) e a lavorare come cronista, scrivendo per esempio dell’inchiesta sulla corruzione che fece scalpore poco prima della Tangentopoli nazionale. O della serie di aggressioni da parte di “naziskin” – così li chiamavamo all’epoca – che fecero finire Ostia sulle cronache nazionali e che provocarono a un certo punto polemiche simili nei toni a quelle odierne.
Ostia non è solo quella che raccontate voi giornalisti!, ci dicevano. Certo, ma era anche quella.
Come se qualcuno pensasse che Ostia oggi sia solo quella di Suburra, il film di Stefano Sollima tratto dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo (che non a caso è anche l’autore di Romanzo Criminale, il libro sulla banda della Magliana). Sì, Ostia è così. Ma è anche altro. E chiudere gli occhi non fa un buon servizio a nessuno.
LUNGOMARE D’ORO
A Ostia torno regolarmente anche oggi che non ci abito più da vent’anni, perché ci vive mia madre, ci abitano molti miei amici, ci vado al mare. Ed ero in spiaggia il pomeriggio di sabato 21 luglio 2012, quando fu ritrovato un pacco-bomba davanti a uno stabilimento balneare, il Capanno, dove andavo da bambino.
Ero con la mia famiglia al Delfino, lì accanto. All’improvviso il lungomare fu chiuso, il suono delle sirene era dappertutto.
“Ostia, nello stabilimento accanto (il Capanno), mi dicono abbiano appena trovato e disinnescato una bomba, dopo una telefonata”, scrissi in un tweet quel giorno.” Bomba confermata, ma ho dettagli informali e non confermati, solo voci, su proprietari stabilimento e dinamica. Pare avvertimento…”, scrissi subito dopo.
Poi scoprimmo che l’ordigno, segnalato da una telefonata anonima e lasciato nel parcheggio antistante, non sarebbe potuto esplodere perché il telefonino a cui era collegato non aveva la Sim, quindi non poteva essere innescato da una chiamata.
Ma era comunque una bomba, usata come avvertimento.
Fu anche da quell’episodio che prese le mosse la già citata inchiesta Alba Nuova, che portò poi nel 2013 all’arresto di una cinquantina di persone e a due processi. L’ultimo dei quali, nel giugno 2016, in appello, con la condanna di 10 imputati. Anche se i giudici non riconobbero il 416 bis, appunto. Ora si attende il giudizio della Cassazione.
Ostia non è una città (se lo fosse sarebbe la seconda o la terza più grande del Lazio, e tra le 15-20 più grandi d’Italia), non è solo un quartiere, non è neanche solo periferia. È uno strano incrocio tra tutte queste cose, nel bene e anche nel male. Ostia poi non è solo Ostia: è Ostia (e Ostia Nuova), Ostia Antica e Saline e Stagni; è Acilia, Dragona, San Giorgio Casal Bernocchi, Centro Giano; è Casal Palocco, Infernetto, Axa, e altri posti ancora.
Ostia è un posto che ha i vizi del paese, dove tutti si conoscono e dove si parla alle spalle.
Nata grazie ai braccianti romagnoli mandati a bonificare il litorale alla fine dell’800 (anche per evitare che creassero disordini sociali in Romagna, in anni di crisi), Ostia è sempre rimasta una dependance della Capitale, anche se si trova a 25 km dal Campidoglio. A Ostia non si dice: vado in centro, si dice: vado a Roma.
A inizio ‘900 Ostia ha sviluppato un’industria della balneazione simile a quella di altri litorali italiani (la Versilia, la Romagna, le Marche), ma meno blasonata, più popolare. Gli stabilimenti balneari sono diventati la fonte di ricchezza locale. Anzi, più precisamente degli imprenditori locali.
L’industria balneare di Ostia è sopravvissuta all’inquinamento, all’erosione delle spiagge, alle crisi economiche. Dagli anni 90 ha anche sconfitto Fregene come luogo di divertimento notturno, soffiando all’ex reginetta del Tirreno le discoteche
Semplificando, gli imprenditori si sono accaparrati per poche lire spazi pubblici e grazie a concessioni dalla durata quasi illimitata sono diventati i padroni locali. Hanno eretto muri e strutture in muratura, contribuendo direttamente all’erosione delle coste (a cui poi ogni tanto si cerca di porre argine con il ripascimento pagato dalle casse pubbliche). Hanno tessuto parentele e dato vita a dinastie, hanno assunto anche un peso politico (spesso trasversale) accanto a quello economico.
Il capitale accumulato con lo sfruttamento delle spiagge è servito anche ad acquistare altre attività commerciali, mentre il Lido cresceva grazie ai pendolari (che oggi lavorano in gran a Roma e all’aeroporto di Fiumicino).
L’industria balneare di Ostia è sopravvissuta all’inquinamento, all’erosione delle spiagge, alle crisi economiche. Dagli anni 90 ha anche sconfitto Fregene come luogo di divertimento notturno, soffiando all’ex reginetta del Tirreno le discoteche.
Nel corso dei decenni, le imprese balneari sono moltiplicate, allargandosi dagli anni 70-80 anche a Capocotta e a Castelporziano. Con modalità diverse – stabilimento, chiosco con bar, solo noleggio sdraio – hanno finito per occupare praticamente tutti gli arenili, saturando il mercato.
Leggendo non dico gli atti giudiziari, ma anche soltanto gli articoli che parlano dei processi su Ostia degli ultimi anni si capisce che la questione riguarda proprio la sua ricchezza, le spiagge (e il verde, non dimenticate il verde: la pineta di Castelfusano, la riserva del Litorale, le aree verdi terra di conquista dell’abusivismo edilizio, specie negli anni 90).
Perché su quella ricchezza potenziale hanno messo gli occhi, da tempo, gruppi criminali, con le mani in pasta soprattutto nel traffico di droga e nell’usura. E, anche grazie al decentramento dei poteri al municipio (che da pochi anni gestisce direttamente le concessioni balneari), sono riusciti ad accaparrarsi alcuni arenili.
Il processo nato dall’inchiesta Tramonto ha fotografato una situazione da (Italian) Far West, con i banditi che si accordano con lo sceriffo. I giudici di primo grado hanno condannato, tra gli altri, l’ex capo dell’ufficio tecnico, Aldo Papalini; un luogotenente della Marina, Cosimo Appeso; Armando Spada, esponente di una famiglia considerata un “clan” e nota per i legami criminali; Ferdinando Colloca, già esponente locale di Casapound, candidato nel 2013 al Campidoglio, e fratello di un ex consigliere municipale), nonché amico della famiglia Spada. Tutta la vicenda ruota attorno a una concessione balneare particolarmente redditizia, ottenuta con l’intimidazione, secondo gli inquirenti.
“Vale la pena aprì. Qua non ce sta la crisi, c’è tanta vita e specie d’inverno c’è da investire”, dice in un’intercettazione Spada parlando dello stabilimento “Orsa Maggiore”, a Castelfusano, riportata tempo fa dai media. Una spiegazione chiarissima.
E nella richiesta di condanna il pm Mario Palazzo sintetizza così la situazione: “Papalini incarna quello che è stata Ostia per anni: un malefico intreccio tra vertici della pubblica amministrazione, rappresentanti della comunità criminale, spregiudicati politici locali e imprenditori paganti”.
GLI INCENDI
Per un processo chiuso, poi, ci sono tante inchieste aperte. Quelle sugli incendi e sui raid negli stabilimenti balneari, per esempio. Che negli ultimi anni sono aumentati (anche se ricordo, nel 1982, la notte d’estate in cui l’Italia vinse il Mundial, il rogo del chiosco sulla vecchia Spiaggetta), con tutta la potenza evocativa che il fuoco sprigiona. C’è appunto una scena d’incendio sulla spiaggia, nei primi minuti del film Suburra, che fa capire quale sia il clima.
Nel giugno del 2012 vanno a fuoco quasi 30 cabine dello stabilimento Battistini, uno dei più antichi di Ostia. Nell’aprile 2013 un rogo distrugge il chiosco Glam. A maggio c’è un incendio all’Anema E Core, e un altro nel ristorante del Nuova Pineta. A giugno va a fuoco il tetto del Faber Beach.
A ottobre del 2014 va a fuoco un ufficio del municipio, nella zona dell’Infernetto, in cui sono conservati i documenti di alcune concessioni di spiagge. Il rogo è chiaramente doloso.
Nel maggio del 2016 (cioè quando il commissariamento straordinario è già iniziato) va a fuoco un ristorante sul lungomare, il Mare In Vista. A giugno, in pieno pomeriggio, un incendio distrugge alcune auto nel parcheggio di uno stabilimento, l’Oasi.
E per tacere dei roghi di locali e negozi che si sono succeduti negli anni, attribuiti sempre al racket.
IL PORTO
Poi c’è il capitolo del Porto di Ostia. E qui la storia è complessa. Nell’estate del 2015 Mauro Balini, il patron del porto, colui che ha fortissimamente voluto quello scalo, mentre sul vicino Tevere esisteva (ed esiste) già da anni il più grande porto turistico abusivo del Mediterraneo, come lo definiva la stampa, viene arrestato per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta e altri reati. È accusato, in sostanza, di aver fatto fallire nel 2012 la società che gestiva il porto dopo averne rilevato i fondi, utilizzati per scopi privati ma anche per finanziare altre attività di cui non risulta direttamente titolare.
Balini fa parte di una famiglia storica di Ostia, proprietaria di vari stabilimenti, tra i suoi cugini c’è un campione mondiale di surf. Un suo zio è noto per aver venduto a Silvio Berlusconi, decenni fa, i diritti su un vasto parco di film e serie tv americane. La leggenda vuole che lo scarno accordo originario fosse scritto su un pacchetto di fiammiferi, in riva alla spiaggia, durante una notte di bagordi.
Balini ha sempre avuto buoni rapporti con tutto il mondo politico locale e romano, a destra, al centro e a sinistra. Ed è riuscito a far approvare il progetto del porto nonostante i dubbi sull’ulteriore erosione che avrebbe potuto provocare, sull’eccesso di strutture similari sul litorale laziale, sui costi e sui problemi di mantenimento (per esempio, l’insabbiamento, come già successo qualche secolo fa con il primo porto romano, quello voluto dall’imperatore Claudio…).
Nel 2016 poi il porto viene – nuovamente – sequestrato insieme a due stabilimenti balneari e a conti correnti vari, per un valore complessivo di 450 milioni di euro. Poi, pochi mesi dopo, altro sequestro di immobili, per un valore di circa 50 milioni.
Di Balini, gli inquirenti scrivono che tra i suoi molti amici ci sono anche “ambienti malavitosi” ed “elementi di notevole spessore criminale”, tra cui un narcotrafficante a cui aveva dato in gestione uno stabilimento e i servizi di sicurezza del porto.
Fino al 2015 direttore tecnico del porto di Ostia è Paolo Solvi, un ingegnere ostiense. Ex esponente locale Udc (me lo ricordo, in Circoscrizione, negli anni 90), poi Margherita, poi Pd, legato al presidente del municipio Tassone. E con Tassone finisce arrestato (ai domiciliari) per la vicenda della corruzione legata agli appalti per il verde pubblico. Qualche giorno fa è stato condannato a due anni in appello in un processo-stralcio di Mafia Capitale, lo stesso che ha visto la condanna dell’ex assessore alla casa della giunta Marino, il Pd Daniele Ozzimo.
SUBURRA
Torniamo allo scioglimento del municipio per criminalità organizzata. O per mafia. C’erano motivi? Secondo me, sì. Fatta salva la presunzione d’innocenza di tutti, il fatto che alcune inchieste non si siano concluse (per esempio quella sul Porto) e che i processi non sono arrivati ancora in Cassazione, le vicende che ho riassunto qui indicano che la situazione sembrava finita fuori controllo: il presidente del municipio arrestato per presunte tangenti, il capo dell’ufficio tecnico alla sbarra per associazione a delinquere, le irregolarità sulle concessioni balneari, il crac pilotato del porto, i rapporti tra criminali e amministrazione, i sospetti di incroci illegali tra imprenditori e politici.
Da questo punto di vista la decisione di commissariare – che è una decisione basata sempre su una valutazione di esperti, non su un processo in tribunale – è stata giusta, insomma.
La decisione di commissariare Ostia – che è una decisione basata su una valutazione di esperti, non su un processo in tribunale – è stata giusta. Ma è servito a qualcosa?
Ma, domanda da un milione di dollari, tutto questo è servito a qualcosa? “A poco”, mi dice un’amica, ex consigliere del municipio, mentre siamo ai tavolini di un bar, la sera, dalle parti dell’Axa, circondati da decine di ragazze e ragazzi che chiacchierano, bevono, fumano. “Un sacco di amministrativi su cui avevamo sospetti, su cui circolavano voci, sono rimasti lì”.
Nel frattempo, Ostia sembra in stato di abbandono (ma è pur vero che si può dire lo stesso di ampie zone del resto della città, e da molto prima dell’arrivo della giunta Raggi). Basta farsi un giro dalle parti di via Costanzo Casana, che sembrano preda del bradisismo, con ampi tratti delle strade circostanti sprofondate e chiuse al traffico da mesi. O ai ritardi nella raccolta dei rifiuti (o alle discariche abusive). O alla situazione della pineta di Castel Fusano, di nuovo andata in fiamme dopo il grande rogo del 2000 (giunta Rutelli) e quello più contenuto del 2008 (giunta Alemanno). O al disservizio sistematico della ferrovia Roma-Lido.
L’intervento del commissario straordinario, il prefetto Domenico Vulpiani (uno che nella sua lunga carriera si è occupato molto di terrorismo e pirateria informatica, mai di mafia o criminalità organizzata, comunque) e della sua task force di tecnici sembra invece aver avuto qualche effetto soprattutto sulle spiagge, con chiusure e demolizioni a Capocotta e con l’annullamento delle concessioni su un certo numero di spiagge libere di Ostia Ponente. Spiagge che però sono ora prive di un servizio di salvataggio, dato che la gara che il X Municipio aveva organizzato è andata deserta. Perché? Ufficialmente per mancanza di società interessate a un compenso, 200.000 euro, ritenuto troppo esiguo. Visti gli interessi che in questi anni si sono concentrati sulle spiagge, però, è possibile anche che si sia trattato di un boicottaggio vero e proprio.
Ma l’obiettivo di abbattere il lungomuro, cioè la barriera di muratura che impedisce la visione della spiaggia per quasi per tutta la lunghezza del lungomare di Ostia, per quanto annunciato ripetutamente da Vulpiani nei mesi scorsi, non è stato raggiunto.
In compenso sul lungomare, e anche in pineta, capita di vedere passare i veicoli dell’esercito. Certamente per dare l’idea che lo Stato c’è, i cittadini debbono avere fiducia. Ma a me, e credo non solo a me, quei mezzi mimetici danno più l’impressione di uscire dall’Aspromonte, o dalla Sicilia dell’operazione Vespri Siciliani. Quando invece sarebbero serviti più vigili urbani e netturbini e giardinieri, e poliziotti di quartiere, oltre a esperti di reati contro la pubblica amministrazione.
(post scriptum: non che siano mancati i tentativi, nel corso degli anni, di abbatterlo, il lungomuro, strappandolo prima di tutto al controllo dei balneari: ci avevano provato, a fine anni 80, i giovani del Pci locale, che avevano lanciato la proposta di referendum regionale proprio sul tema, pur se ostacolati da altri militanti comunisti, vicini però ai concessionari delle spiagge. Ma l’iniziativa di sciogliere il Pci da parte di Achille Occhetto, con le polemiche interne che si trascinarono ovviamente fino a Ostia, fece saltare tutto, anche il referendum).
POLITICA E POLEMICA
Poi c’è la politica. Soprattutto quella parlata.
E torniamo dunque a Tassone, ora condannato (in primo grado, e non dimentichiamo che i gradi di giudizio sono tre). Prima di essere indagato e finire arrestato a giugno del 2015, Tassone, incredibile dirlo oggi, è per un po’ di tempo il simbolo della Ostia onesta che si ribella alla mafia. E viene sostenuto dal suo partito, il Pd, che nel frattempo ha commissariato i circoli romani e ha affidato il X municipio alla cura del senatore Stefano Esposito, piemontese, fiero sostenitore della linea Tav Torino-Lione (per questo ai ferri corti con il movimento No Tav), della stessa corrente del presidente Ps Matteo Orfini, membro della commissione parlamentare antimafia. Più tardi, per qualche mese, Esposito diventerà anche assessore ai Trasporti nella giunta Marino-bis.
Che fa a un certo punto Tassone, dopo che è scoppiato il casino di Mafia Capitale (che coinvolge soprattutto la ex giunta Alemanno ma lambisce anche quella Marino)? In una conferenza stampa nella sede nazionale del Pd minaccia le dimissioni, spiegando che la giunta comunale non ha fatto abbastanza per il municipio, chiedendo in sostanza rotazioni e sostituzioni di dirigenti, a partire dal nuovo – è lì da un anno – comandante dei vigili urbani.
Non è esattamente un atto di protesta contro la mafia, quanto piuttosto contro il Campidoglio e il sindaco Ignazio Marino – che è del Pd ma che col Pd non ha un gran bel rapporto, come si sa – che lo avrebbero lasciato senza armi.
Poi però, pochi giorni più tardi, su evidente pressione del partito, Tassone si dimette. E poco dopo, il 4 giugno 2015, viene arrestato.
In un’audizione alla commissione antimafia, Orfini spiegherà che in un primo momento ignorava che Tassone fosse indagato, e che il Pd premeva per azzerare la giunta municipale (dopo averne parlato anche con Marino) e nominare assessori alcune figure nazionali, da Livia Turco a Marco Causi per dare un segnale. Poi, accortisi che Tassone “non era la persona giusta per fare quella battaglia”, i dirigenti del partito gli chiesero di dimettersi. Una scelta, dice Orfini, che non piacque a Sel, il partito di sinistra alleato del Pd, e che gli stessi militanti democratici presero malissimo, dopo che la sinistra era finalmente riuscita a tornare al governo del municipio.
A fine agosto scatta il commissariamento di Ostia. A fine ottobre, poi, il sindaco Marino viene “dimesso” dalla sua maggioranza.
Per gli avversari del Pd, ovviamente, è una pacchia. L’accusa è di aver cercato di difendere Tassone fino all’ultimo e poi di aver chiesto il commissariamento per coprire gli errori. E per il Pd è oggettivamente difficile difendersi, nonostante le ricostruzioni a posteriori di Orfini.
Alle elezioni comunali, nel giugno 2016, nel X municipio Virginia Raggi ottiene la percentuale più alta di tutta la città, la cifra di quella che viene letta come una protesta contro il Pd. Ma a differenza di altri gruppi politici, il Movimento Cinque Stelle non si affanna poi a chiedere che il commissariamento di Ostia finisca.
Su questo fronte i più attivi sono invece il movimento di estrema destra Casapound (che sul litorale è particolarmente attivo e aggressivo, come dinostra il raid in spiaggia di qualche giorno fa contro i venditori ambulanti, che guarda caso sono stranieri, asiatici o africani), un comitato di cittadini che non ci stanno, a vedere trattata Ostia come fosse Platì, ed esponenti di sinistra in scazzo con il Pd, che organizzano una manifestazione a inizio anno contro il commissariamento.
L’accusa al Pd è di aver cercato di difendere Tassone fino all’ultimo e poi di aver chiesto il commissariamento per coprire gli errori
Oggi, che la fine dell’amministrazione straordinaria sembra vicina – a ottobre – e con le elezioni che si terranno probabilmente nel 2018, le manifestazioni sono finite. Ma le polemiche volano soprattutto sul web, tra le pagine di vari gruppi Facebook e quelle di singole persone ed personaggi politici più noti, o giornalisti.
Ed è ripartita anche, per l’ennesima volta, la battaglia per fare di Ostia un comune autonomo. Come se la separazione fisica da Roma garantisse di per sé una buona amministrazione. Mentre la vicenda delle concessioni balneari indica piuttosto che è stato proprio il trasferimento di alcuni poteri al municipio, negli ultimi anni, a favorire indirettamente la corruzione.
Nel 1989 il primo referendum per la scissione della XIII Circoscrizione (quello che poi sarebbe diventato il X municipio) da Roma non passò. Dieci anni dopo non passò neanche il secondo. Oggi l’intenzione è di staccare dalla Capitale solo Ostia e Ostia Antica, quindi di fatto la spiaggia (siamo sempre lì, alla spiaggia), abbandonando tutto l’entroterra, che ha sempre votato no.
IN CERCA DELLA LEGALITÀ
In realtà, non è la prima volta che il consiglio municipale di Ostia viene sciolto. La prima volta fu 26 anni fa, ma non per mafia.
Nel 1991 la Circoscrizione fu sciolta dopo un’inchiesta sulla corruzione che prese avvio, banalmente, da una serie di irregolarità nell’assegnazione di banchi di frutta e verdura.
Quando ancora la Tangentopoli nazionale non era scoppiata, i carabinieri arrestarono diverse persone e Ostia finì sulle cronache nazionali. Anche allora si disse che la corruzione vera era quella che regnava a Roma (era l’epoca morente del pentapartito anche al Campidoglio), e che il Lido era una specie di specchio per allodole.
A far decadere il consiglio circoscrizionale, con l’arrivo di un commissario prefettizio, furono le dimissioni in massa dei consiglieri di opposizione e di alcuni transfughi della maggioranza che speravano di ribaltare la situazione, imputando a democristiani e socialisti la responsabilità politica della corruzione. Alle elezioni del 1992, però, vinse di nuovo la Democrazia Cristiana, anche se non riuscì a formare una maggioranza.
Per 100 giorni, allora, Ostia fu governata dallo scomparso leader radicale Marco Pannella (fu l’unica sua esperienza di responsabilità istituzionale, quella), alla guida di una maggioranza composita che ottenne dal Campidoglio per la circoscrizione poteri speciali portò avanti un programma di legalità. Legalità soprattutto contro l’abusivismo edilizio, attività economica fiorente nell’entroterra. Pannella chiamò l’esercito, dato che nessuna azienda privata voleva schierare le ruspe contro gli abusivi (anche perché almeno in un caso erano stati sparati colpi di pistola come avvertimento). Fu un bel momento. Come fu un gran momento l’arrivo della Giunta Rutelli. Ma la verità è che non durò molto, perché l’oro di Ostia, le sue spiagge, oltre ad arricchire i soliti noti, iniziava a fare gola anche ai banditi, quelli veri.
[Tutte le foto, diffuse con licenza creative commons, sono tratte da Flickr.com. La foto del titolo è Night Dreams (Explored), di Riccardo Cuppini, ed è del 14 giugno 2008]
Un buon articolo, hai saputo intrecciare bene i fatti del presente con quelli del passato. Complimenti! Quel che resta oggi sono le ceneri… Ed un bel nulla di fatto…Perché a parte il capitolo delle spiagge senza baywatch, i Balini restano, i clan pur se azzoppati sin sopravvissuti e Ostia commissariata è abbandonata a se stessa in una sorta di Terra di mezzo.
ottimo (e abbondante)
Complimenti, articolo molto lucido. Come accade spesso ci troviamo difronte a delinquenti impuniti, pubblica amministrazione collusa e al non sapere come fare per migliorare la situazione. Il mio pensiero che purtroppo mi stringe il cuore è che se Ostia fosse in Romagna sarebbe un gioiello.
bel pezzo! si respira l’atmosfera del posto