Caro utente romano, che Dio t’assista
Ora che i tassisti sono tornati sulle loro auto a raccogliere clienti, in attesa che il governo vari davvero (sarà così?) un nuovo provvedimento contro gli Ncc, bisogna provare a tirare un po’ di considerazioni, dopo quello che è successo a Roma in questi giorni. E mentre la città è di nuovo alle prese con scioperi del trasporto pubblico (oggi l’Atac, domani il Cotral).
Prima di tutto, bisognerebbe smettere di dire che il taxi è un servizio pubblico. Lo è formalmente perché è il Comune a fissare numero di licenze e tariffe. Ma i proprietari dei taxi sono privati che comprano (e vendono) licenze, come anche sono private le centrali radio, senza le quali i tassisti non avrebbero praticamente clienti, se non quelli intercettati di persona.
Tutte le volte in cui il Comune ha provato a mettere mano al numero delle licenze (uno dei più bassi in Europa) è sempre scoppiata la rivolta, perché la licenze perderebbero valore e diminuirebbe anche l’incasso dei tassisti. E questo “servizio pubblico” ha spesso scioperato in barba alle regole.
I tassisti hanno ragione o hanno torto sulle questioni di fondo, questione di punti di vista, d’accordo. C’è chi sostiene che siano un lobby e chi invece li difende come lavoratori autonomi davanti all’attacco delle multinazionali (Uber) o dei padroni delle società Ncc.
Però l’idea che appena il settore viene toccato da un qualsiasi provvedimento sgradito dobbiamo assistere a blocchi auto e a proteste violente nella Capitale, come è accaduto ieri (grazie anche alle proteste di certi ambulanti), rischia di giustificare il ricorso sistematico alla violenza.
Per questo, ha sbagliato la sindaca Virginia Raggi (che dovrebbe rappresentare gli interessi di tutti i cittadini, non quelli di bottega del M5s) a sostenere a spada tratta le ragioni dei tassisti e basta. E non basta che poi, tardivamente, abbia condannato le violenze.
Non solo anche gli autisti Ncc sono lavoratori – che spesso pagano care le licenze e che comunque stanno operando entro la legge – ma così facendo si incentiva chi ritiene che per affermare le proprie ragioni debba ricorrere alle maniere forti.
Il risultato è che in questa città da tempo si sgomberano senza casa, migranti, associazioni e senza casa, si caricano le manifestazioni di lavoratori e studenti mentre a un gruppo di violenti è consentito arrivare a tirare bombe carta a Montecitorio.
(Ovviamente, qui non si chiede di caricare tutti. Al contrario, deve prevalere una politica di dialogo, non di ordine pubblico cieco)
Poi c’è un’altra questione, che a Roma non è secondaria. Questa città ha un trasporto pubblico collettivo alla deriva. Due linee e mezzo di metropolitana (e non sappiamo che fine farà il resto della linea C). Bus in numero inferiore al necessario che saltano corse e non rispettano orari. Poche linee di tram. Servizi di car sharing in centro ma non in periferia. Nessun servizio di bike sharing, e poche piste ciclabili.
In questa condizione, non basta dire che la colpa è dei sindaci precedenti e difendere i tassisti. All’utente medio importa poco che abbiano ragione i tassisti o gli Ncc o Uber (a cui quest’ultimo sciopero ha fatto di certo gradita pubblicità). Gli interessa potersi spostare in città in tempi ragionevoli e in modo sicuro. Altrimenti prende l’auto privata, e contribuisce all’inquinamento. Oppure si affida a mezzi alternativi, cioè quelli che non piacciono ai tassisti, resi possibili soprattutto da Internet e dagli smartphone. O s’inventa forme di trasporto tra vicini.
In questi giorni i radicali stanno lavorando a un progetto di referendum cittadino sulla messa a gara del servizio pubblico. Il che significa liberalizzare – o privatizzare – il trasporto collettivo romano. Una soluzione che può non piacere, ma che diventerà sempre più pressante senza un intervento vero e in tempi rapidi per fermare il degrado di questo servizio pubblico. E questo dovrebbe essere un cruccio anche dei lavoratori dell’Atac e del Cotral, che continuano a scioperare ormai contro gli utenti.