Opere Vive alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna
Presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea a Roma è ancora in corso Time is out of Joint una mostra che sondando l’elasticità del concetto di tempo prova a ribaltare la tradizionale linearità storica di una esposizione, concependo tutte le opere come sedimenti dinamici della lunga vita di un museo.
Fino a domenica scorsa, è stato possibile visitare nelle ampie sale laterali Gnam, anche Sensibile Comune, una rassegna che pur calandosi concettualmente nei temi e i contenuti della conferenza del C17 (la conferenza a Roma sul comunismo a cent’anni dalla rivoluzione russa) ha proposto modelli di spazio ed estetica con una certa attinenza con le visione di tempo e forma rappresentati nell’allestimento centrale, mantenendo oltretutto la sua autonomia e singolarità.
Ilaria Bussoni una delle curatrici del progetto espositivo assieme a Nicolas Martino e Cesare Pietroiusti (con la consulenza di Serena Soccio per Teatro e Danza) ci ha spiegato di persona come è nato il progetto espositivo, pensato ed ideato soprattutto in relazione ad un evento come la Tavola rotonda internazionale sulle eredità de Il Manifesto di Marx. La mostra guarderebbe a quell’opera seminale elaborando e attuandone anche una possibile quinta parte, dal titolo Comunismo del Sensibile. L’idea di partenza così è stata quella di interrogare le condizioni di convivenza tra estetica e politica e l’analisi su come ciascuna delle due dimensioni possa influenzare l’altra.
Il lavoro, frutto di due seminari, uno strettamente legato al programma della Conferenza e l’altro portato avanti con un gruppo di artisti poi presenti al Gnam ha cercato di mettere sullo stesso piano la diversità delle pratiche, sia che esse siano filmiche, performative, di arti plastiche o più legate alla parola.
Le opere in mostra (tra cui ricordiamo quelle di André Breton, Alberto Burri, Marcel Duchamp, Lucio Fontana, Juan Genoves, Emilio Isgrò, Ketty La Rocca) ha ribadito ancora la Bussoni, hanno mantenuto il principio di uguaglianza nonostante le loro differenze implicite. Il percorso può sembrare disorientante, ma il risultato è sempre quello di un sentire comune che riconosca ogni lavoro come vivo soprattutto se può sviluppare una nuova destinazione e almeno una seconda forma di relazione. Visto il successo di pubblico ci auguriamo che anche il progetto resista e trovi nuove forme di espressione anche aldilà dell’esperienza del C17.