Raggi chiuderà davvero i campi Rom?
Natale ha portato quella che potrebbe essere una buona notizia per la città e soprattutto per i tanti che vivono ai margini: la decisione del Campidoglio di varare entro la fine di gennaio prossimo un piano per la chiusura graduale delle baraccopoli che per abitudine chiamiamo campi rom o campi nomadi, ma che spesso ospitano persone di varia provenienza, che non sono più nomadi da un pezzo e che sono rimaste senza tetto .
In realtà, la decisione è stata presa dalla giunta prima delle feste, il 16 dicembre, ma solo ieri, il 27, se n’è avuta notizia. La delibera non indica una data definitiva per la chiusura dei campi, ma pone l’obiettivo dell’inclusione di Rom, Sinti e Camminanti (cioè, quelli che impropriamente chiamiamo nomadi e mettiamo tutti insieme in un unico gruppo).
Si tratta di un atto importante, anche se il tentativo era già stato fatto dalla Giunta Marino (almeno a parole, e comunque senza risultato) ed è da tempo che l’Italia viene ammonita per le condizioni di vita imposte ai rom (il gruppo più numeroso). L’ultima volta, solo pochi giorni fa, era stato il Comitato Onu per l’Eliminazione della Discriminazione razziale a chiedere al governo italiano di bloccare la costruzione di campi di vera e propria “segregazione”.
L’associazione 21 luglio, che da alcuni anni si occupa di difendere i diritti delle comunità rom e sinte in Italia, ha espresso ieri soddisfazione per la presa di posizione della Giunta, e ha ricordato che il Campidoglio ha sospeso nei giorni scorsi i bandi per l’affidamento dei servizi nelle baraccopoli esistenti e per l’individuazione di una nuova area dove realizzarne una nuova (per una spesa complessiva di 8 milioni).
Tutto bene, quindi? Per il principio, sì. Ma come sarà possibile superare davvero la logica dei campi, che da decenni sono più o meno tollerati a Roma, nonostante le precarie condizioni di vita di chi ci abita (almeno 5.000-7.000 persone quelle censite)? La delibera parla, senza fornire dettagli precisi, di accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria, all’occupazione e all’alloggio. Perché questi non restino principi sulla carta bisognerà che il Comune sia in grado di agire sul serio, sia superando la burocrazia sia le inevitabili proteste. Perché ce ne saranno, eccome, di proteste. Perché il razzismo contro i “nomadi” è forse quello più diffuso, attraversa tutte le latitudini sociali e politiche, e si traveste di solito da protesta dei cittadini onesti contro “chi delinque”.
Per dare un tetto a tante persone, per esempio, servirà non solo trovare appartamenti nelle case popolari (che sono poche), ma anche edifici da assegnare a gruppi, perché li ristrutturino con l’aiuto dell’amministrazione. E poi bisognerà proteggere queste persone dalle prevedibili proteste dei residenti, e da chi soffierà sul fuoco per motivi politici.
Per fare in modo che i bambini e i ragazzi vadano a scuola regolarmente bisognerà che possano abitare regolarmente in un luogo, che non siano respinti dagli altri ma anche che le loro famiglie siano incentivate a mandarceli: perché se non hanno soldi per vivere, rovistare tra i rifiuti, fare accattonaggio o peggio resterà una necessità.
Il compito sarebbe difficile per qualsiasi giunta. Per quella di Virginia Raggi potrebbe esserlo ancora di più, sia per le condizioni politiche in cui si trova oggi l’amministrazione M5s, sia per la mancanza finora di collaborazione con le altre istituzioni (in questo caso serve tantissimo il governo), sia perché il rischio di perdere consenso, soprattutto nelle periferie, è altissimo.