Roma sia politica, non bassa cucina
“Onestà!”. Un’unica parola che doveva rappresentare il cambiamento a Roma e si è sgretolata nell’esercizio tattico delle lobby politiche e affaristiche che da decenni dominano la vita della Capitale. Un nuovo conformismo di facciata, così caro alla generazione – ampia e trans generazionale – che si nutre di semplificazioni e bufale sui social network, che in pochi mesi si sta dimostrando come un estremo tentativo dei gruppi di potere romano di riciclarsi dietro una presunta estraneità dal passato di chi oggi governa oggi la Capitale da quel mondo delle professioni – e di determinati salotti – che di Roma hanno fatto per decenni tavola imbandita.
Roma Report, che rinasce con lo slogan “Roma è politica”, non può che ripartire da qui, dall’evidenza che l’attualità e il vestito nuovo dell’anti-politica continua a nascondere l’antico corpaccione pacioso e brutale del potere reale del “sistema” città. Perché l’attuale svolta, se di svolta possiamo parlare, si è basata sull’illusione che si potesse amministrare e governare una capitale europea fuori dalla politica. Un’illusione che si sta rivelando tale ogni giorno che passa. Perché la presunta anti-politica dei Cinque Stelle, è un’abile travestimento per attirare, in un progetto profondamente politico di un determinato settore (quello rappresentato dai figli delle professioni e delle lobby dei professionisti), gran parte del voto disperso dopo anni di mal governo o di opportunismi al limite del casellario giudiziario di alcuni purtroppo ampi settori della classe politica romana (o meglio più in generale della classe dirigente di questo Paese).
Stupisce, ovviamente, che chi ha votato a giugno il M5S in gran parte, nonostante il concatenarsi freneticamente autodistruttivo di scelte amministrative palesemente errate e di immobilismo compiaciuto nella gestione dell’emergenza che rappresenta oggi Roma, continui oggi a dichiarare di voler continuare a votare il MoVimento e a sostenere la sindaca Virginia Raggi. Poco importa la morìa epidemica dei vari assessori per un giorno, non importano le relazioni se non pericolose certamente azzardate dell’assessora Muraro incomprensibilmente intoccabile e inamovibile, non importa che la crisi dei Cinque Stelle romani abbia rischiato – e rischi ancora – di far implodere a livello nazionale la creatura di Beppe Grillo e del recentemente scomparso Gianroberto Casaleggio. Non importa che la città stia continuando ad attraversare una crisi identitaria, amministrativa, culturale e politica che la sta svuotando di speranze e che patologia cronica rischi di farsi metastasi. Una fetta consistente dei romani, pur consapevoli della situazione che ogni giorno vivono sulla propria pelle, continuano a dichiarare di voler dare fiducia al M5S e alla sindaca.
E questo avviene anche quando, come stanno dimostrando da mesi L’Espresso e alcuni giornalisti freelance di razza come Nello Trocchia, sia ormai evidente quanto l’attuale amministrazione che siede al Campidoglio sia legata e condizionata a un segmento ben definito del sistema romano di potere, e in particolare a quegli ambienti della destra incarnata dall’ex sindaco Gianni Alemanno e dai suoi devastanti cinque anni di governo della città. L’ultima inchiesta de L’Espresso lascia poco spazio a qualsiasi illusione di estraneità dell’attuale amministrazione a un “continuismo” con il sistema di gestione del potere che congela e condizione la vita della città. Il settimanale è impietoso, e fa letteralmente “le lastre” al reale ruolo di Raffaele Marra prima e dopo l’avvento di Virginia Raggi e di quanto questo altro intoccabile – se si toccasse quali equilibri salterebbero in città? – che come la Muraro continua ad aver un peso sull’attuale amministrazione che in nessun’altra epoca o città sarebbe stato tollerabile. E infine chiarisce chi e come potrebbe essere davvero al comando della prima città italiana.
Contemporaneamente, la fragilità, ormai evidente, del “processone” a Mafia Capitale non garantisce certo quell’ondata di cambiamento anche se forzato – che in molti si auguravano – di ampi settori della classe dirigente capitolina degli scorsi anni che si riproporrebbe dopo un breve periodo di panchina sulla scena con tanto di patente di “estraneità dai fatti”. E tutto questo avviene nel momento di massima debolezza del centro sinistra nella Capitale e la dissoluzione per manifesta incapacità politica e organizzativa della “sinistra sinistra” purtroppo – per chi scrive – non solo a livello romano ma anche nazionale.
La tradizione incarnata dall’esperienza comunista che ha governato Roma, tirandola fuori da decenni di mal governo e ruberie e dagli anni di piombo (quella di Petroselli, Argan, Vetere), è stata del tutto dilapidata. Un capitale di rapporti fra realtà e persone e quartieri e settori sociali, politici, culturali e produttivi che è stato prima diluito nel ventennio dei governi Rutelli e Veltroni (che comunque molto di buono fecero vedere soprattutto nel primo mandato dell’ex radicale-verde-margherita). La sinistra – di tradizione e origine comunista o no – ha deciso o di scendere a patti fino a diventare parte del sistema di potere politico e affaristico, oppure si è imprigionata in un processo di esclusione dalla realtà esclusivamente narcisistico – nella sua connotazione più psichiatrica che caratteriale – che l’ha resa ancora più che marginale sfociando nell’inutilità.
Ma è proprio nella necessità di far riemergere quella prassi politica e culturale di quel pezzo di storia della città, di quello straordinario periodo fra la fine degli anni ‘70 e i primi ‘80 che permise Roma di campare di rendita perfino davanti agli assalti dei vari Giubilo e Carraro fino al crollo nel’93 rappresentato da Mani Pulite. Un percorso che può riaprirsi solo attraverso un modo di porsi verso la realtà: ricominciando a fare politica e non bassa cucina, pensare il futuro invece che affidarci a chi ci offre l’illusione che la politica sia finita.