Scappo da Roma (ma solo per le feste)
Lascio questa mia città caotica, densa di contrasti, immersa nella schiuma del Natale alle porte. Ubriacata da una festività ricorrente – ma stavolta ancora più festa; domani sera la Porta Santa. Lascio alle mie spalle i luccichii di una gioia apparente offuscata soltanto da due guerre che si scambiano i titoli di prima pagina a giorni alterni.
Lascio alle mie spalle i cantieri e le promesse più volte ripetute di date ed impegni rituali tutti da confermare. Abbiamo fiducia e pazienza, i romani ne hanno tanta. Si inciampa senza volerlo in giubilei, campionati del mondo, a volte ma molto raramente in Olimpiadi, G7, visite di capi di stato, auto blu (Rino Gaetano docet) manifestazioni e cortei, giustamente la gran parte a Roma.
Roma accoglie tutti con la sua fragilità e vuole svelarsi nuova ed accogliente per la massa di fedeli e non del 2025.
Tutti attendono con fiducia, ed eventuale sarcasmo di riserva, le date annunciate per vedersi liberati dai cantieri e ripasseggiare per Roma felici e stupiti. Così è stato l’11 dicembre per Via Ottaviano. Ci sono passato per caso un’ora dopo le forbici e il nastro di Gualtieri. Bella, indiscutibilmente bella, ariosa e ben lastricata, e così sarà forse Piazza Risorgimento, Piazza Pia, e tanti altri luoghi che col cronometro in mano i romani aspettano per vedersi liberati. Così non sarà per i lavori del PNRR che andranno avanti, credo purtroppo, senza cronometro in mano.
Lascio tutto ciò per la mia abituale fuga in Valle d’Aosta (Emarèse), che tanto fuga più non è, visto che riesco a starci, a scrivere e passeggiare, come oggi, per un terzo di un anno. Non raggiungerò i luoghi che sanno di città e purtroppo la imitano nei tempi e nelle voglie. Non sfiorerò nemmeno per un attimo Cervinia, Courmayeur, Pila, il Monterosa Ski. Non ci andrò perché non ho bisogno di cercare la folla e i ritmi delle metropoli. Le stesse sopraffazioni, furbizie, code, caccia ai parcheggi.
Sarò qui in piacevole compagnia e anche poi da solo a 1.000 metri a sentire il vento, ad appannare col fiato i vetri in attesa della neve, a sostenere con gesto lento una stufa che va affievolendosi, con un altro ciocco.
Sarò qui a camminare con le ciaspole con gli amici toscani, pugliesi, siciliani alla ricerca di quel rifugio che ci aspetta fumante con la sua polenta concia. Rispolvererò gli sci d’alpinismo per cercare la curva giusta e lenta in telemark, quel mezzo compasso di felicità e ginocchio abbassato.
Il palato tornerà valdostano con ginepy, boudin (salsiccette di barbabietole e patate) fontina e relative fondute, seupa (minestra valdostana) e faremo visita, come sempre, all’ultima “piola” trattoria Alpina di Eresaz tenacemente operaia grazie a Egidio e Anna “en dehors des règles”, dove vincono tradizione e sapori e non le normative. Il chiacchiericcio in “patois” (antica e sempre presente lingua valdostana) ci escluderà dalla conversazione con gli altri restituendoci qualche riminiscenza del francese ma anche molta estraneità non voluta e non addebitabile.
Mi tornano in mente le parole di Paolo Cognetti (vedi mio post sul suo ultimo film “Fiore Mio”, adesso, che da alcuni giorni rilascia a fatica qualche intervista sul suo più recente disagio psichico che lo ha portato a un TSO, lui che rappresenta per molti un’icona del cambiamento che dalla città conduce alle Alpi (quelle occidentali). Valli dure, severe, sicuramente meno “cittadine” del Trentino e dell’Alto Adige dove è molto facile imbattersi in “anvedi o datte ‘na mossa” lì dove quasi mai c’è bisogno di spiegare “me cojoni e sti cazzi”.
Cognetti dice che “la montagna non è sempre salvifica…il problema più grande è quello delle relazioni umane. Magari ci trovi due o tre amici, il rifugista, il pastore come è successo a me, ma l’integrazione con la comunità è pressoché impossibile….”
Parole dure, veritiere, forse per alcuni, che sono a un “passo dal grande passo” per poi ritrovarti nuovamente a interrogarti, come sempre. Così nel mio caso che mi chiedo se la vera umanità non è nelle tue radici mescolata alle tante brutture della città. Interrogativi tosti al di là di ogni formula preconfezionata e adattabile a tutti. Cognetti ancora dice “è meglio andare a vivere in montagna in coppia: perché se ci vai da solo rischi di trovarti davvero solo. Una famiglia è già una piccola comunità, che ti porti dietro…. Amore e amicizia sono le cose che salvano dall’ostilità della montagna…”
Ogni miele può avere il suo difetto, non è mai tutto dolce, tutto sereno, e i dubbi sulle scelte giuste e irreversibili sono quelle che angosciano e pongono molti interrogativi in quei momenti dove i luoghi “salvifici” ti diventano indifferenti, quasi ostili. Può succedere a me, a molti, magari non a tutti; nel cedimento inciampano le persone normali, ma anche i grandi registi, attori, campioni, scrittori e forse la prima cosa è svelarsi, parlarne e non nascondersi per paura del giudizio. Ci sarà sempre qualcuno, magari raro, ad allungarti una mano e aiutarti nei tuoi incerti passi di risalita.