Da New York a Passo Corese. Prove di lotta di classe in Amazon
È uscito nelle scorse settimane Da New York a Passo Corese. Conflitto di classe e sindacato in Amazon (PuntoCritico, 140 pp., 12 euro). Il volume raccoglie due saggi nati in modo autonomo: la traduzione italiana di Battling the Behemoth: Amazon and the rise of America’s new working class, di Charmaine Chua e Spencer Cox, pubblicato l’anno scorso sul volume 59 del Socialist Register americano, e Organizzazione del lavoro e conflitto di classe in Amazon, del nostro Marco Veruggio, coordinatore del progetto “Amazon, la società del futuro?”.
Amazon, come è noto, utilizza l’innovazione tecnologica non solo per fornire servizi di e-commerce e consegna a domicilio rapidi ed efficienti, ma anche per imporre livelli di produttività e di controllo sui propri dipendenti che hanno suscitato molte critiche. Di recente la UE ha vietato l’ingresso dei lobbisti di Amazon nel Parlamento europeo, dopo che l’azienda ha impedito più volte agli europarlamentari di ispezionare i magazzini e snobbato le richieste di Bruxelles di rispondere sulle condizioni di lavoro al loro interno. A maggior ragione il colosso americano mal sopporta il sindacato.
Nel 2020 Veruggio ha conosciuto, intervistandola, Charmaine Chua, ricercatrice al Department of Global Studies della University of California e collaboratrice di Amazonians United, l’organizzazione parasindacale di cui fa parte anche Spencer Cox, PhD alla University of Minnesota ed ex lavoratore Amazon. Da quel colloquio è nata l’idea di sviluppare una riflessione sui complessi processi di sindacalizzazione dentro e attorno alle “fabbriche dell’e-commerce”. Di tali processi gli Stati Uniti rappresentano una frontiera avanzata e ricca di spunti di riflessione anche per l’Italia, dove il sindacato, nonostante il maggior peso esercitato, è riuscito a strappare ad Amazon il primo riconoscimento ufficiale solo pochi mesi prima che, oltreoceano, ci riuscisse Amazon Labor Union (ALU) entrando ufficialmente nel magazzino di Staten Island (New York). A New York, come a Passo Corese (e in altri stabilimenti italiani), nel 2020 la pandemia ha spinto i lavoratori a lottare per chiedere ad Amazon misure di tutela della loro salute e innescato un processo al termine del quale la società è stata costretta a riconoscere il sindacato, negli USA in quel solo magazzino, da noi a livello nazionale.
I due contributi sono preceduti dall’Introduzione di Sergio Bologna, militante politico e tra i fondatori dell’operaismo italiano negli anni ‘60 e acuto studioso dei meccanismi e dell’evoluzione dell’organizzazione capitalistica del lavoro in Italia e nel mondo e dei loro riflessi sul conflitto di classe. È un lungo excursus, che aiuta a collocare il fenomeno Amazon in un più ampio contesto storico, sociale, politico e sindacale, nazionale e internazionale. Mentre le infografiche a colori di Emanuele Giacopetti (che per PuntoCritico ha già illustrato Amazoniade. Un anno nel magazzino di Passo Corese, di Massimiliano Cacciotti), sintetizzano efficacemente, in numeri e immagini, alcuni aspetti del “modello Amazon” trattati nel volume.
Scrive Bologna:
Definire Amazon un colosso è decisamente riduttivo, Amazon è un paradigma, così come lo sono stati gli stabilimenti Ford. Ambedue sono simboli di una civilizzazione, hanno segnato un’epoca. Non so se dopo aver usato il termine “fordismo” per indicare un modo di produzione e di consumo, gli storici useranno il termine “amazonismo” per caratterizzare la nostra epoca, forse no. E non tanto perché “amazonismo” suona male, ma perché la nostra epoca scorre sotto lo sguardo di altri pianeti, non solo Amazon, ma anche Google, Apple e magari qualcun altro, come Netflix. E tuttavia, tra i tre menzionati, è Amazon quello che più intensamente, tenacemente, ossessivamente, ha voluto creare un modello di gestione della forza lavoro. È sotto questo profilo che i due saggi analizzano il paradigma Amazon, per capire come mai la società di Seattle per la prima volta nella sua storia ha dovuto negoziare, riconoscendo implicitamente che i suoi dipendenti e tutti quelli che lavorano nei suoi centri, che siano dipendenti o meno, sono esseri dotati di una certa autonomia, cioè sono donne e uomini. E non un’unica indistinta commodity.
Insomma il “management algoritmico” del lavoro pone alla nuova classe operaia di Amazon un interrogativo che nei prossimi anni investirà sempre più lavoratori: nell’era dell’IA e dei Big Data è ancora possibile organizzarsi per difendere i propri diritti e come? Il volume prova a rispondere a questo interrogativo, mettendo a disposizione dei lavoratori di Amazon che vogliono organizzarsi nei loro posti di lavoro e delle loro organizzazioni sindacali spunti, ragionamenti ed esperienze pratiche per provare a consolidare il lavoro fatto sin qui, tra Stati Uniti ed Europa.
Tra le esperienze citate anche quella del comitato ex lavoratori somministrati di Colleferro, oltre cento magazzinieri reclutati da Amazon tramite agenzia all’apertura del grosso centro di distribuzione a sud di Roma (circa 2.000 dipendenti), nell’autunno 2020, e lasciati a casa dopo il picco natalizio, che hanno provato a mettere in discussione un modello lavorativo basato anche su un massiccio ricorso al precariato.
Pubblichiamo un breve estratto del libro, tratto dal saggio di Veruggio che si riferisce proprio a quell’esperienza.
Il caso di Colleferro
Il caso già citato di Colleferro riflette alcuni degli elementi di vulnerabilità di Amazon e allo stesso tempo conferma la centralità del fattore tempo. Comune di 20.000 abitanti a metà strada tra Roma e Frosinone, asceso agli onori della cronaca nel 2021 dopo la barbara uccisione del giovane di origine capoverdiana Willy Monteiro Duarte da parte di un gruppo di teppisti, Colleferro è un antico insediamento operaio sviluppatosi attorno agli stabilimenti Bombrini Parodi Delfino dagli anni ‘10 del ‘900. Diventa comune autonomo negli anni ‘30, quando, in vista della campagna d’Africa, le commesse belliche aumentano e la famiglia Parodi Delfino affida l’ampliamento del vecchio villaggio operaio a un giovane architetto romano, Riccardo Morandi, progettista dell’omonimo ponte genovese crollato nel 2018. Nel dopoguerra qui si insediano anche Alstom, Italcementi e nasce Avio, fiore all’occhiello dell’industria aero-spaziale italiana ed erede degli stabilimenti BPD. Fino agli anni ‘80 ai cambi turno le strade sono un fiume di tute blu. Poi la deindustrializzazione colpisce anche Colleferro e la logistica, come in molte altre realtà simili, diventa la possibile alternati-va. Il giovane sindaco di centrosinistra scommette su Amazon e all’inizio, secondo un copione collaudato, la scommessa sembra pagare. A Natale del 2020, pochi mesi dopo l’apertura, nel nuovo magazzino lavorano oltre 2.000 persone, ma, finito il periodo festivo, il 10% resta con un contratto a tempo indeterminato, mentre gli altri vengono lasciati a casa e in parte sostituiti da nuovi precari. È qui che si innesca la reazione.
A dicembre, quando si avvicina la fine del picco di vendite legato alle feste natalizie, i lavoratori, che sono stati assunti in autunno, cominciano a vedere una preoccupante sequenza di contratti non rinnovati e si rendono conto che non si tratta solo di una riduzione fisiologica dovuta, appunto, a una riduzione dei carichi di lavoro, ma di una sostituzione quasi integrale della manodopera del magazzino. «La Uil Trasporti aveva creato una lista whatsapp con quasi mille iscritti ed è qui che le avvisaglie di un’ondata di persone lasciate a casa cominciano a suscitare reazioni preoccupate, ansie, dubbi, richieste di fare qualcosa», mi racconta il futuro presidente del comitato ex somministrati di Amazon. «Inizialmente il sindacato ci assicura che parlerà con l’azienda per trovare una soluzione, ma poi i giorni passano, i lavoratori si rendono conto che non succede nulla e io mi convinco che ci vogliono iniziative più incisive. Così tra gli iscritti alla lista seleziono i colleghi che esprimono la mia stessa insoddisfazione e creo una nuova chat, con 150-200 iscritti». Se non avesse “colto l’attimo” quasi certamente non sarebbe più riuscito a contattare tutti quei lavoratori.
Nei giorni successivi gli iscritti alla nuova lista, che nel frattempo sono rimasti disoccupati, diventano il comitato ex somministrati Amazon di Colleferro e sollevano la stessa domanda che qualche mese prima era stata posta ai giornalisti dai loro colleghi di Castelguglielmo: va bene non rinnovare le assunzioni fatte per coprire i picchi, ma perché lasciare a casa chi invece fa il lavoro ordinario? Col sostegno dell’Unione Sindacale di Base (USB) il comitato a maggio organizza una triplice manifestazione: prima davanti al centro di distribuzione Amazon, poi davanti alla sede della filiale di Adecco (che si fa trovare con le saracinesche abbassate) e infine davanti al Comune, dove il sindaco scende in piazza a incontrarli, ascolta le loro ragioni, in particolare le lamentele per l’impiego massiccio di lavoratori delle quote protette per aggirare la normativa sui contratti a tempo, e promette di organizzare un incontro con la Regione e, possibilmente, uno al Ministero del Lavoro ed evoca anche un coordinamento dei sindaci dei comuni che ospitano magazzini Amazon.
La notizia ha ampio risalto sulla stampa locale. Poco tempo prima la stampa nazionale ha acceso i riflettori sull’analoga situazione degli interinali a Castelguglielmo, in particolare colpisce la storia di un lavoratore venuto dal sud, che, non potendosi permettere un affitto, vive in una roulotte vicino al magazzino. Nei giorni successivi alla pubblicazione delle sue dichiarazioni viene lasciato a casa, ma per Amazon tra l’intervista e il mancato rinnovo contrattuale non c’è alcun nesso. Tornando a Colleferro il tema dell’aggiramento delle normativa sul tempo determinato arriva in Parlamento grazie a una proposta di emendamento del PD al Jobs Act, la norma che regola la materia, e il portavoce del Comitato viene intervistato dalla trasmissione televisiva Report. Persino la Commissione per la pastora-le sociale e del lavoro della Diocesi di Velletri-Segni a un certo punto interviene, esprimendo «forte preoccupazione per la situazione riguardante gli ex lavoratori di Amazon Colleferro» e «disappunto per le modalità riguardanti i contratti di lavoro in essere».
Il Lazio in quel periodo è teatro di una “manovra di accerchiamento” della capitale da parte di Amazon. L’azienda gestisce già due grossi centri di distribuzione – Passo Corese e Colleferro, appunto, uno a nord e uno a sud di Roma – ma vorrebbe aprirne altri due – uno a Fiano, non molto distante da Passo
Corese, vicino al casello autostradale di Roma Nord, voluto fortemente dal sindaco ma bocciato dalla Città Metropolitana, e un altro molto grande a Fiumicino, attiguo all’aeroporto, operazione quest’ultima poi sfumata, pare per il mancato accordo tra gli americani e il comune sulle contropartite per il territorio. In quei mesi si parla anche dell’acquisizione di alcuni depositi ATAC nel centro di Roma da trasformare in magazzini, anche se poi anche quest’operazione si arena. Sicuramente siamo a uno snodo importante della “campagna d’Italia” di Amazon. Ed ecco che dopo la mobilitazione degli ex somministrati alcuni vengono richiamati da Amazon, sempre a tempo determinato, ma anche per periodi relativamente lunghi. Sono – mi raccontano i lavoratori – parecchie decine di colleghi che rientra-no in magazzino. La vertenza prosegue per qualche mese, ma finisce per arenarsi, probabilmente anche grazie alla contro-mossa aziendale, che punta a svuotare la protesta. La sensazione è che l’inedita e inattesa azione dei lavoratori e i suoi riflessi sul territorio abbiano indotto Amazon ad agire rapidamente per disinnescare una potenziale minaccia alla propria immagine e alle relazioni con le istituzioni locali in un momento cruciale. Quando in un piccolo centro vengono assunti e lasciati a casa migliaia di lavoratori in pratica tutti hanno un parente, un amico o un conoscente che ha subito quella sorte e ciò alimenta la solidarietà. Questa volta però è l’azienda che riesce a inserirsi tra l’elaborazione di una compiuta strategia sindacale e la sua concreta realizzazione.
Di fronte allo sciopero indetto da CGIL CISL UIL nel marzo 2021 Amazon mostra lo stesso pragmatismo. Non ci sono dati certi sull’adesione, ma, come ho accennato, la sensazione è che sia stata alta soprattutto tra i driver, molto meno nei magazzini e che l’impatto anche in questo caso abbia penalizzato l’immagine piuttosto che l’operatività aziendale vera e propria. Eppure Amazon decide di aprire per la prima volta un tavolo nazionale col sindacato e concede, pur unilateralmente (ma è chiaro che esiste un nesso con l’iniziativa dei lavoratori), degli aumenti retributivi. Una svolta che ha luogo in un altro snodo fondamentale, allorché Amazon tenta di consolidare l’avanzata compiuta grazie alla pandemia, che ha costretto milioni di consumatori a disertare i negozi e ha instillato in una parte di loro l’abitudine di fare acquisti online. E la scelta, che in qualche misura giunge di sorpresa e nel momento opportuno, coglie nel segno. Da quel momento la conflittualità scema.