“L’albergo dei poveri”, grande vascello shakespeariano
“L’albergo dei poveri” al Teatro Argentina di Roma. Regia e interpretazione (‘Luka’) di Massimo Popolizio. Fino al 3 marzo.
Portato in scena per la prima volta nel 1947 da Strehler, che inaugurò il ‘Piccolo’ di Milano con l’opera tratta da “Bassifondi” di Maksim Gor’kij (1868-1936), “L’albergo dei poveri” potrebbe essere definito come rappresentazione ‘corale’ che esprime tutto e nulla.
Grazie alla scenografia essenziale di Marco Rossi e Francesca Sgariboldi, le tavole dell’Attore messe ad arte, esaltano la peculiarità del dramma vissuto da ogni personaggio nello scantinato in cui, per scelta o per necessità, esso si ritrova a vivere. La povertà incide graffi di rivolta e di apertura dell’animo, i sedici protagonisti contemporaneamente in scena, cercano giustificazioni a ciò che si è diventati e aspirano al contempo a una redenzione. Ecco che entra in scena ‘il pellegrino’ (Popolizio) vestito come un russo dell’Ottocento ma con una radio sintonizzata sulle note di “Midnight The Stars And You” (1934) di Ray Noble: indicazione del periodo in cui è ambientata la messa in scena, più che riferimento al Kubrick di “Shining”? In realtà i personaggi di questo ‘grande vascello shakespeariano’ (Emanuele Trevi, riduzione teatrale) per raggiungere la complessità e la ‘tridimensionalità’ devono raccontare qualcosa che prescinde dalle parole, devono usare il gesto, il corpo, la voce.
Unico personaggio non dannato è un principe africano moderno, figura anacronistica in quanto attuale, che esorta gli altri, in questo atipico girone dantesco verso l’inferno, a avere fiducia e credere nell’animo umano. Luka, il ‘pellegrino’, è carattere poliedrico e soltanto l’efficacia, l’esperienza di Popolizio riescono a conferire al personaggio, tra santo e truffatore, il potere di comprendere la storia di ciascuno degli abitanti il ‘sottosuolo’, inteso metaforicamente e realisticamente.
Nell’intrecciare le vite e la ragioni di ciascun soggetto, appaiono lancinanti nel dramma le riflessioni sulla vita (‘Il mondo è meglio immaginarselo che viverlo’); sulla verità (‘A che serve la verità? La verità non è sempre un bene’); così da scoprire, forse, ‘la nube delle tenebre’. A dispetto della condizione umiliante in cui si muovono i personaggi, risalta l’esagerata, rabbiosa autostima degli stessi, per oltre metà della rappresentazione, fin quando l’azione chiama la tragedia e, con essa, il dubbio su sé stessi.
La violenza psicologica, grazie alla capacità maieutica del ‘pellegrino’, divampa utilizzando il vero linguaggio teatrale: mossi l’uno contro l’altro, il precipizio è rappresentato dalla morte o dal ridicolo, prettamente di stampo russo o, peggio, dalla permanenza nei ‘Bassifondi’ narrati da Gor’kij e portati in scena nel 1902 da Stanislavskij.
La potenza espressiva dell’opera si avvale dei costumi di Gianluca Sbicca, dai toni prevalentemente grigi o marroni, delle luci drammatiche di Luigi Biondi e delle scelte musicali, per lo più di origine balcanica e slava, di Alessandro Saviozzi.
L’impegno profuso da ciascun artista, permette di creare un’opera d’insieme, in cui ogni singolo ruolo è, di fatto, un ruolo primario, permettendo la totale immersione dello spettatore messo a confronto con la miseria umana.
Date e orari: martedì, giovedì, venerdì ore 20.00; mercoledì e sabato ore 19.00; 15 febbraio e ogni domenica ore 17.00. Biglietteria: 06 684000314.