Mobilità e gentilezza, a Roma e non solo
Che la gentilezza sia contagiosa – e menomale che parliamo di gentilezza – è un cosa certa. Purtroppo, pare invece che la mobilità urbana delle grandi città sia soprattutto fatta di piccole sopraffazioni, astuzie, genialità, trascuratezza e… mancati sorrisi.
Un mondo stradale sempre più caotico nelle grandi città, quelle con un tasso di turismo altissimo – Roma negli ultimi mesi, a mio avviso, batte Venezia – con i comportamenti delle persone che spesso sono tesi a schierarsi e a sentirsi parte di un gruppo secondo il mezzo di trasporto usato in quel momento.
Cosa vuol dire? Vuol dire che si può essere – perfino nella stessa giornata – automobilisti, scooteristi, pedoni, ciclisti, monopattinisti o fruitori di mezzi pubblici. E se ciò non capita nella stessa giornata, succede nel corso della settimana.
Dove sta la gentilezza in tutto ciò? Sta nel fatto che sentire le ragioni del proprio cuore battere solo nel gruppo al quale si appartiene in quel momento, è molto limitativo se non si comprendono le ragioni degli altri gruppi dai quali momentaneamente si è assenti.
Prendiamo l’automobilista, che spesso è additato come uno dei mali di questa nostra capitale, che sicuramente spesso rinuncia a fare due passi e spostarsi con altri mezzi per pigrizia e individualismo; chiuso nel suo abitacolo fatto di comodità, solitudine, musica, telefonate in santa pace che vede venirsi contromano un monopattino barcollante con due turisti (vietatissimo), o passare le bici (tutte quasi tutte col rosso). Se reagisce in modo sgarbato a questa situazione non è del tutto censurabile. Ma sicuramente è censurabile che lo stesso automobilista e tanti altri impediscano ad un altro automobilista di fare retromarcia da un parcheggio per accedere alla carreggiata, mentre un momento di stop che favorirebbe la manovra sarebbe sicuramente ricambiato da un gesto della mano, da un sorriso e da un ringraziamento – cosa non da poco – che ingentilisce la giornata.
Per non parlare del “doppiofilista” di professione, che nemmeno ci prova a trovare parcheggio e ama perdutamente l’altra macchina in doppia fila sul lato opposto fermandosi esattamente in modo parallelo all’altra creando un imbuto strategico. Misteri, ma forse le due auto in doppia fila così vicine fanno amicizia…
Pensate a come sarebbe bello che il primo incontro col traffico della mattina fosse l’incontro con un sorriso e un grazie, visto che non c’è l’abitudine a scambiarsi un buongiorno con gli sconosciuti nelle metropoli come si fa in montagna quando si incontra un escursionista che cammina.
È ben noto che i pedoni romani ringraziano l’automobilista che li fa attraversare sulle strisce: non è che sarebbe necessario perché è un diritto, ma è talmente fuori da ogni prassi di convivenza urbana, tale situazione di disponibilità dell’automobilista, che il primo impatto è un bel sorriso ed un grazie. Eppure, quello stesso pedone sarà presto un guidatore e forse dovrebbe ricordarsi di queste situazioni di incontro coi pedoni.
Certo, ognuno dovrebbe fare il suo per “scarognire” la metropoli mettendosi sempre dalla parte dell’altro.
Pensiamo ai ciclisti – dei quali mi sento appartenente di diritto, ma non sono unicamente ciclista – per ammettere che per gli stessi le regole del codice della strada sono inesistenti o quasi.
Ogni ciclista (e ripeto forse quasi tutti) non vuole perdere l’abbrivio e ripartire da fermo; quindi al semaforo uno sguardo a destra, uno a sinistra e via… finché gli va bene. Oppure una bella pedalata su un marciapiede sfiorando le persone che camminano ignare di spalle creando giustamente disappunto e improperi. Oppure un po’ di gentilezza verso sé stessi e la propria vita non guasterebbe se si evitasse di girare di notte senza luci, giubbetto fluorescente, o qualsiasi elemento di visibilità.
È vero, Roma non è mai stata una città per ciclisti, ma oggi le piste ciclabili sono diffuse anche se ancora non ben integrate e spesso carenti di manutenzione; in definitiva a lamentarsi si ha sempre diritto, ma le cose sono un po’ cambiate (vedi il mio articolo Perché Roma in Bici non è un’utopia), le stesse ciclabili a volte però sono ignorate dagli stessi ciclisti perché nell’ambiente si dice che ciclabili e campanello (spesso assente) “sono un cosa da vecchi”. Oppure le stesse risultano a volte amate anche dai pedoni e passeggini, che si sentono piacevolmente attratti dalla striscia pitturata arancione. Ecco che riemerge la parola gentilezza e magari uno “scusi” da parte di entrambi ed un educato deviare un attimo con un sorriso è meglio di mandarsi a quel paese con gesto inequivocabile del braccio.
Ma ora eccoci ai pedoni e per iniziare ricordo un mio amico piemontese che ha un motto, “ fin dove puoi arrivare a piedi, vai a piedi”. Benissimo: può essere una scelta di gusto, tempo, bellezza, armonia, comodità e perfino velocità. La città può essere attraversata anche così per piacere e per necessità (vedi il mio libro “Roma, guida insolita per esploratori urbani”) ma anche qui, qualche volta, gli stessi pedoni non sono assenti da “leggerezze” con attraversamenti a rischio e assolutamente improbabili.
È vero pure che la città non è spesso una città per pedoni: marciapiedi assenti, malridotti con buche e avvallamenti e semafori dove “ci si invecchia” o si fanno amicizie. Ne cito spesso uno divenuto un mantra nelle mie conferenze, ma potrei aggiungerne degli altri: quello davanti alla Feltrinelli di Largo Argentina, di fronte a “Tiger”, nota catena di tutto quello che può servire o non servire per niente. Bene, quel semaforo che si riempie di turisti nel giro di un attimo ha una durata di ben 180 secondi (tre minuti) al quale si alterna un verde di 18 secondi. Cosa succede di solito, se non sempre? Che la gran parte dei turisti e cittadini “dopo essersi conosciuti” decidono di affrontare l’attraversamento tra una pausa di traffico e l’altra con qualche tassinaro che inveisce pesantemente creando quel clima di “energia vitale” che a tutto serve meno che a ingentilire la città.
Ecco una mancata forma di gentilezza della città e dei suoi regolatori del traffico: quella di pensare solo alle auto con 3 minuti di viabilità e dimenticarsi dei pedoni (che devono anche essere giovani e scattanti) che a quel punto decidono di rischiare, convinti che ci sia un guasto. Ma lo stesso dicasi di Via Quattro Novembre, di fronte al palazzo della Provincia.
Nella stessa zona (Piazza Venezia) esiste un altro modo per mandarsi a quel paese a ripetizione: l’attraversamento della piazza è senza semafori e con numerose “zebre”. In questa zona circolano un mondo sconfinato di turisti che attraversano “a catena” e sono inesauribili. Cosa sarebbe necessario? Un vigile – ma non vorrei scomodare la categoria – che alterni il traffico veicolare a quello pedonale. Mai visto, troppo logico. Cosa succede? Alla fine le auto, forse anche giustamente, si fanno largo fra la “fiumana” di turisti interrompendo il flusso con decisione creando quel clima di “leggera tensione” fra il turista e l’automobilista stanco di non intravedere una pausa. Qualche insofferenza o insulto probabile si potrebbe evitare….
Arriviamo ai monopattini, che a parte gli utenti, non credo riscuotano grandi simpatie (vedi referendum a Parigi). Barcollanti, insicuri (anche per le condizioni delle strade romane), allegri, con un clima di “leggera euforia” che circonda il conduttore in preda (soprattutto se turista) a una sorta di gioia incontenibile. Svicolano, anche contromano, ma soprattutto con due passeggeri, senza regole, nell’assoluta indifferenza di qualsiasi addetto alla viabilità, che ovviamente non può inseguirli col rischio di farli cadere, né prendere la targa. Ovviamente senza casco ma, ripeto, in due, con “lei” spesso avvinghiata in punta di piedi e senza spazio, come una novella Audrey Hepburn in “Vacanze Romane”.
Penso che la cosa più pericolosa di questi mezzi sia il clima di festa che li circonda e la prassi del 2×1, paghi uno e viaggi in due. Eppure, a mio modesto avviso, da incompetente, una possibilità di intervenire su questo ci sarebbe: basterebbe un relè elettrico che lo spegne se il peso supera i 100/120 chili. Non credo che questa trovata sia impossibile o troppo avanzata tecnologicamente. Anzi le aziende produttrici di questo businnes degli ultimi anni ci guadagnerebbero ancora di più. Così tutti affitterebbero più monopattini e due persone ne noleggerebbero due.
Ora toccherebbe agli scooteristi e rischierei di ripetere cose già dette per gli automobilisti, a parte che soprattutto loro hanno un’insana voglia di essere primi al semaforo. Per cui svicolare fra le auto è una prassi nemmeno troppo censurabile, ma se questa voglia di avanzamento prevale facendosi 20 metri sul marciapiedi solo perché non c’è spazio sulla carreggiata, non siamo certo nel campo dell’educazione e del fairplay !
E per ultimo, se proprio li si parcheggia sul marciapiede per assenza di spazi dedicati, almeno che questo sia fatto non raso i palazzi, perché li passano i non vedenti e le persone insicure che si aiutano rasentando il muro dei palazzi.
Tutto sembra scontato e praticabile, ma la nostra capacità di confrontarsi con gli altri in città deve crescere con la gentilezza e la fiducia che è un’altra parola poco utilizzata. Fiducia in sé, negli altri e sicuramente qualcosa potrebbe migliorare. Buona parte di questo spetta anche a noi.
[Le foto sono di Carlo Coronati]