Francesco Alò, un critico in cucina
Nella sua cucina, con una fantastica vista su Roma che arriva fino alle montagne d’Abruzzo, dal 2018 sono passati una cinquantina tra registi, attori, montatori. Un’idea originale – un’intervista-chiacchierata a cuore aperto davanti alla telecamera, senza tempi predefiniti, montaggio e tagli – è diventata un format, che dal dicembre scorso va online tutte le settimane. È stata l’occasione per una chiacchierata con Alò, critico cinematografico che scorrazza tra Bad Taste, Infinity, Messaggero e social.
Prendi un regista, invitalo a casa, fallo sedere in cucina, da dove può ammirare la vista panoramica che offre l’attico finestratissimo al settimo piano di un bel palazzo del Tuscolano Nord, soprattutto tra le 11 e le 13, quando l’esposizione, la luce, sono praticamente perfette. Poi conversa con lui a ruota libera, di tutti i temi possibili, professionali e personali, davanti alla telecamera (che è già accesa da quando il regista ha suonato al citofono: citazione da un documentario di Martin Scorsese del 1978…) con l’inquadratura fissa, senza l’assillo del tempo che scorre. Infine, metti online il tutto, senza montaggio e soprattutto senza tagliare nulla. È quello che fa ormai tutte le settimane Francesco Alò, critico cinematografico, classe 1974, che ha trasformato la sua – bella – cucina in un set per BadTaste.it, un portale di informazione dedicato al mondo dell’intrattenimento ormai in pista da diversi anni. E che prende il nome dal primo film, assolutamente splatter e demenziale, di Peter Jackson, il regista del “Signore degli Anelli”.
Alò – che, sotto i capelli precocemente bianchi e spesso spettinati, ha sempre la stessa faccia da ragazzino che aveva a 20 anni – pubblica le sue recensioni sul Messaggero e presenta film su Mediaset Infinity, compare spesso su Twitch e in precedenza ha fatto un sacco di altre cose, tra cui insegnare alla Scuola di cinema e tv di Cinecittà, ma, pur non nascondendo la sua esperienza, non si considera un professionista arrivato. Laureato al Dams di Bologna con una tesi sui Monty Python, Alò è un giornalista specializzato, ma senza contratto a tempo indeterminato, alle prese con i tormenti della sua generazione, a partire dall’incertezza sull’effettiva possibilità di ottenere prima o poi la pensione. “Non ha una redazione, non appartiene all’editoria, non ce l’ha fatta anche se avrebbe voluto, è solo ed è ossessionato dalla solitudine e dall’autarchia”, dice parlando di sé in terza persona (e non sarà l’unica volta in cui lo fa).
Un precario – e un workaholic – che si guadagna da vivere guardando una ventina di film a settimana, senza contare le serie tv, per poi parlarne soprattutto su BadTaste, con recensioni video spesso passionali, che realizza da solo nel suo studio. Anche perché Alò – come lo chiamano gli amici – per sua stessa ammissione, passa quasi tutto il tempo a casa, a parte qualche rara uscita, come andare a correre in palestra la mattina presto per tenersi in forma (e qui la citazione potrebbe essere quella di “The Omega Man”, cioè “Occhi bianchi sul pianeta Terra”, di Boris Sagal, con Charlton Heston che esce dal suo palazzo-fortezza sfidando ogni tanto i mutanti sopravvissuti all’Olocausto batteriologico).
Ed è proprio a casa sua, dicevamo, che si è sviluppato questo format, che oggi è tra i prodotti “premium” di BadTaste. Il primo a passare di qui è stato il regista Paolo Genovese, nel 2018, reduce dal successo di “Perfetti sconosciuti”, uscito un paio di anni prima. Alò aveva stroncato due suoi film precedenti, “Immaturi” e “Immaturi – Il Viaggio”, ma Genovese non gli aveva serbato rancore, e si era prestato a un’intervista di un paio d’ore, inaugurando così una serie prolifica, che ha visto il passaggio di numerosi altri registi, attori, montatori e via cinematografando. Tutti italiani: perché, spiega Alò, il mondo del cinema straniero, e soprattutto quello angloamericano, è particolarmente complicato da raggiungere, al di fuori dei canoni posti dagli uffici stampa. E, dal punto di vista del mercato e dei numeri, è un’altra storia. Mentre in Italia, invece, possono essere proprio gli uffici stampa a chiedere se c’è un posto in cucina per il tale regista o attore.
Finora, l’unico a pretendere che fosse il critico a recarsi da lui, e non viceversa, è stato Luca Guadagnino, nel 2019. Per questo, Alò ha lasciato per una volta l’amata cucina ed è partito per Crema col suo operatore, dove ha registrato la bellezza di 2 ore e 42 minuti di Guadagnino-pensiero, per un video che conta circa 100.00 visualizzazioni. La più breve video-intervista, invece (un’ora circa) è stata quella con Fabio Di Luigi, che aveva fretta di partire da Roma per tornare a casa sua, in Romagna. Mentre Paolo Virzì, che aveva scommesso di ”stare poco”, si è comunque lasciato andare per circa 2 ore.
Poi, nel 2020, è arrivato il Covid, e le interviste dal vivo – molto seguite anche dalla gente del cinema e da aspiranti cineasti – hanno lasciato il passo al terrore che il cinema, che è fatto di persone e relazioni, potesse ricevere un colpo mortale dal virus. Finché, alla fine del 2021, il format è ripartito. Ma qualcosa è cambiato: da allora, infatti, il critico tocca, abbraccia, stringe, praticamente si spupazza l’ospite, alla fine dell’intervista. Perché lo fa? Per affetto, dice. “Voglio bene al cinema e alle persone che lo fanno. Non voglio perdere il cinema. Abbracciando loro, abbraccio il cinema”.
È un indizio, forse, che con l’età Alò è diventato anche più buono, meno incline allo scazzo e alla critica spietata? “Quando sei giovane, sei più ignorante e hai una forza iconoclasta, quando invecchi diventi più colto e ti vergogni. Stronchi sempre, perché devi farlo, talvolta, ma diventi più elegante. Hai più amore per il cinema che per te stesso, sei più indulgente”, dice lui. E ammette di avere qualche difficoltà a invitare “qualcuno che ho stroncato”, per non metterlo in imbarazzo.
In fondo, quello che fa nella sua cucina lo chef Alò è cinema (“La critica cinematografica, se è video, deve diventare cinema”, sentenzia, confermando un po’ il luogo comune sul fatto che i critici siano spesso cinematografari mancati) ma anche un qualche tipo di psicoanalisi: anche se non è sempre chiaro chi psicanalizzi chi, “c’è sempre un senso di liberazione” e “succede qualcosa di magico”, dice. Sicuramente, questo genere di intervista “esula dalla liturgia del mio lavoro, è originale e disorienta”, aggiunge il critico, secondo cui in questo modo e “si avvicina molto l’esperienza personale a quella professionale” e si stabilisce “un rapporto più onesto con chi usufruisce del mio lavoro”. Anche se, dirà più tardi, lui non sente, come critico, alcuna responsabilità nei confronti del pubblico: “Sarebbe pure demagogia: come posso arrogarmi il diritto di conoscere il pubblico, il popolo, la gente, i lettori? L’unica responsabilità che ho, è quella verso i miei editori”.
[Nella foto del titolo, Francesco Alò con Edoardo Pesce]