Trova le differenze tra Bonaccini e Schlein
Il prossimo congresso del Partito Democratico può essere un Big Bang? L’evento che scatena forze capaci di mandare in frantumi l’attuale mondo politico per ricrearne uno diverso? Da più parti, nel parlare della competizione, si sprecano toni epocali. La speranza e insieme la paura di fondo è che, dopo il responso dei gazebo, niente potrebbe essere come prima.
Intanto, nel passaggio dalla fase di riscaldamento alla gara vera e propria si sono persi alcuni concorrenti. Matteo Ricci e Dario Nardella si sono ritirati per confluire su Stefano Bonaccini. Rimane invece in gara Paola De Micheli, nel ruolo di terzo incomodo. Sì, perché la competizione è di fatto a due: Bonaccini ed Elly Schlein.
Il confronto dei rispettivi programmi assomiglia pericolosamente al celebre gioco “Trova le differenze”. Sia per Bonaccini che per Schlein le priorità sono: combattere le disuguaglianze, sconfiggere il precariato, affrontare l’emergenza ambientale. Ma, ancora di più, rilanciare un partito sempre più in crisi d’identità. Anche qui, le ricette combaciano. Sia Bonaccini che Schlein hanno dichiarato guerra alle correnti, considerate un male assoluto. E questo anche se poi, le correnti si sono affrettate a prenotarsi un posto sul carro del possibile vincitore (gli ex renziani con Bonaccini, i sostenitori di Andrea Orlando e Dario Franceschini con Schlein).
Sia Bonaccini che Schlein si sono preoccupati di prendere le distanze da Matteo Renzi. Il primo con più garbo, la seconda senza risparmiare all’ex segretario scontri e schermaglie. Lo stesso Renzi, durante un incontro pubblico, ha raccontato che “il sindaco di una famosa città d’arte” – identikit nel quale è difficile non riconoscere Nardella – “mi ha fatto una confessione: nonostante il 15% di Italia Viva in Toscana, non avrebbe potuto dare un secondo assessore al mio partito. Perché farlo corrisponde alla certezza di perdere il congresso del Pd”.
Nel solito gioco delle differenze, quelle che saltano più agli occhi riguardano l’Ucraina e, soprattutto, il lavoro. Mentre Bonaccini è favorevole all’invio delle armi, Schlein, con abilità funambolica, non le condanna ma non le considera nemmeno utili per la pace. Il solco più profondo tra i due, tuttavia, è quello sul lavoro. Per Schlein il Jobs act comporta “l’errore di abbandonarsi al mantra neoliberista della disintermediazione”. Per Bonaccini, invece, non può esserci lavoro senza impresa”.
Insomma, se parliamo di programmi, il confronto è tra l’ipotesi di un Pd pragmatico e riformista e quella di un Pd più identitario, che ambisce a riconquistare gli spazi perduti a sinistra. Tra linea liberal e linea radical, ha sintetizzato Marianna Madia. Solo che nella politica di oggi i contenuti vengono spesso relegati in secondo piano. A contare molto di più sono le narrazioni, le percezioni. E dunque Bonaccini viene identificato come il garante dello status quo, della continuità – compresa quella dell’establishment – e Schlein col rinnovamento radicale.
Il primo, figlio di un camionista comunista, sarebbe il candidato ideale degli iscritti e dei meno giovani (la media anagrafica dei votanti alle primarie è 55 anni). La seconda, senza un passato, con genitori accademici e una tessera del Pd in tasca solo da ieri, è perfetta per favorire un’apertura verso l’esterno. I sondaggi attuali indicano in Bonaccini il probabile vincitore. Ma nessuno è in grado di prevedere il numero dei non iscritti che si presenteranno ai gazebo per votare Schlein.
Il risultato è aperto ma non interscambiabile. Con una vittoria di Bonaccini non ci sarebbero grossi scossoni. Il Pd continuerebbe a essere quello che è stato fin qui. Ma quando il sindaco di Bergamo Giorgio Gori dice che, in caso di vittoria di Schlein, potrebbe andarsene, non fa altro che dar voce a un malumore molto diffuso tra i liberal.
Molti degli ex renziani sembrano pronti a lasciare la casa democratica per traslocare verso un centro sempre più affollato, anche per la possibile convergenza dei leghisti ormai stanchi del sovranismo salviniano. A quel punto, al troncone di partito rimasto orfano dei riformisti verrebbe naturale congiungersi con i 5 Stelle di Conte e formare un partito di sinistra-sinistra?
La vittoria di Schlein potrebbe di fatto riportare la politica italiana allo schema tripartito di qualche decennio fa: con una sinistra radicale, una destra altrettanto radicale, e un centro moderato con il monopolio del governo. L’esito della rivoluzione innescata da Mani Pulite potrebbe essere la restaurazione dell’assetto politico tramontato trent’anni fa. Quello seguito all’esplosione del Big Bang democratico potrebbe essere il mondo dominato da una nuova Democrazia Cristiana.
[Nell’immagine del titolo: Stefano Bonaccini a Roma nel 2017 ed Elly Schlein a Bologna nel 2015. Le rispettive foto sono state diffuse su Flickr con licenza creative commons]