La Roma dell’Austerity
C’è chi dice che fu una grande occasione persa per ripensare il nostro modello di sviluppo energetico e culturale. Forse qualcosa di vero in questa critica c’è. In concreto, infatti, di quel grande shock collettivo che fu l’Austerity del 1973, ci è rimasto un unico risultato tangibile: l’anticipo dell’orario d’inizio dei TG alle 20. Per il resto, già sei mesi dopo, a partire dall’inizio di giugno del 1974, tutto tornò come prima e su quella crisi scattò subito l’oblio.
Era la notte fra il 22 e il 23 novembre del 1973, quando a Palazzo Chigi, dopo una riunione fiume del Consiglio dei Ministri, vennero approvate con effetto immediato le misure di contenimento per la crisi petrolifera scoppiata nei mesi precedenti.
Fra queste misure, quella di maggiore impatto era sicuramente il divieto di circolazione per tutte le auto private nei giorni festivi, incluse anche la auto blu. Le uniche eccezioni venivano accordate ai mezzi pubblici, ad ambulanze e mezzi di soccorso, alle auto della polizia e dell’esercito.
La crisi petrolifera del ‘73
La crisi a cui si cercava di fare fronte con quelle decisioni, era in corso già da diverso tempo, causata dalla contingenza internazionale. Il Canale di Suez era da tempo impraticabile, a causa delle ripetute guerre arabo-israeliane che coinvolsero anche l’Egitto. Le petroliere dovevano perciò circumnavigare il continente africano, con un gigantesco aumento dei costi.
I paesi arabi avevano inoltre attuato un embargo petrolifero ai danni di Europa e Stati Uniti, divenuto più stringente dopo la guerra dello Yom Kippur, scoppiata a ottobre del 1973, che aveva visto Israele, sostenuto dai paesi occidentali, combattere contro Egitto e Siria, sostenuti dal blocco sovietico.
Questa situazione internazionale aveva provocato in Italia dei costi insostenibili per l’approvvigionamento energetico, in quel momento quasi esclusivamente incentrato sulle forniture di petrolio. Da qui l’esigenza di varare misure urgentissime per tamponare la situazione.
Roma a piedi
Le scelte fatte dal governo italiano, ebbero subito un forte impatto sullo stile di vita degli italiani. Il prezzo dei carburanti schizzò alle stelle, fu introdotto l’obbligo di ridurre la pubblica illuminazione del 40% e di tenere spente insegne e scritte pubblicitarie. Bar e ristoranti dovettero chiudere entro la mezzanotte, mentre ai cinema e ai teatri veniva imposta la chiusura entro le 23 e in alcuni casi entro le 22.
La disposizione di maggior impatto, come detto, fu sicuramente il divieto di circolazione nei giorni festivi dei mezzi motorizzati privati. La multa prevista per i trasgressori era esorbitante: un milione di lire, praticamente quasi un anno di stipendio, visto che l’entrata media di un italiano, all’epoca, si aggirava sulle 150 mila lire al mese. Inoltre era anche previsto l’immediato sequestro del veicolo.
E così, domenica 2 dicembre 1973, Roma si risvegliò in uno scenario quasi irreale, con le strade attraversate da pattini e biciclette, carretti a cavallo, oltre che da una marea di romani a piedi. Per molti la cosa fu vissuta quasi in un clima di festa, come il ritorno a uno stile di vita antico e più a misura d’uomo. Non tutti, però, la presero con altrettanta serenità.
La carrozza del Presidente
Per sottolineare la severità della norma, venne diramata una circolare del ministero dei Trasporti a tutti i corpi di polizia, che precisava come fossero assoggettate al divieto anche le automobili delle massime autorità, comprese quelle dei ministri e persino del Presidente della Repubblica. Queste autorità, in caso di indifferibili necessità di servizio nei giorni festivi, potevano muoversi solo su mezzi del trasporto pubblico o dotati di targa militare.
Il problema si presentò molto presto, quando l’otto dicembre 1973, l’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, si trovò a dover presenziare alla tradizionale festa dell’Immacolata a piazza di Spagna. Per potersi recare in loco, venne perciò tirata fuori dalle vecchie scuderie del Quirinale, un’antica carrozza a cavalli appartenuta ai Savoia.
L’arrivo in carrozza del Presidente della Repubblica, contribuì a incentivare quel clima “vintage” che l’Austerity pareva aver generato. Sembrava come se l’orologio della storia e della società fosse tornato indietro di un secolo, ai tempi della belle époque, quando i veicoli a scoppio erano ancora una rarità.
Passata la festa, gabbato lo santo
Inizialmente la crisi pareva aver sensibilizzato tutti sull’eventualità non troppo remota dell’esaurimento delle risorse energetiche, al punto da paventare un ritorno alla civiltà preindustriale e da stimolare numerose idee e progetti per cominciare a programmare un diverso tipo di sviluppo della società.
Ma, pochi mesi dopo, le premesse che avevano provocato il blocco di Suez e l’aumento vertiginoso dei costi del petrolio cominciarono a venire meno. La situazione internazionale mutò e già ad aprile del 1974, il divieto di circolazione per i mezzi privati fu sostituito da un molto più “soft” obbligo di circolazione a targhe alterne.
All’inizio di giugno del 1974 ogni restrizione venne abolita. Di quei mesi di shock, come detto, rimase solo l’orario dei TG fissato alle 20 – com’è ancora oggi – oltre alla carenza di soluzioni stabili per affrontare efficacemente le inevitabili crisi energetiche provocate dalle tensioni politiche internazionali. Un problema che, a cinquant’anni di distanza, è tornato prepotentemente di attualità.