Se 30 all’ora vi sembran pochi
I primi ad inventarle, all’inizio del secolo, sono stati gli olandesi, seguiti poi da diverse località europee. In Italia, la prima grande città a sperimentarle, con un progetto pilota avviato nel 2009, fu Torino. Da qualche tempo anche a Roma e in altre località del Lazio, esistono strade che hanno adottato quel limite.
Stiamo parlando delle cosiddette “Zone 30”, cioè di quelle vie, in alcuni casi intere aree della città, in cui il limite di velocità è stato ridotto dagli abituali 50 ai 30 chilometri orari. Una soluzione invocata da alcuni, detestata da altri, in entrambi i casi non senza alcune ben motivate ragioni.
C’è innanzi tutto da dire che la soluzione originaria olandese, non nasceva come provvedimento tampone in alcune via particolarmente problematiche o dissestate, ma come un riassetto urbanistico complessivo che, accanto alla riduzione del limite di velocità, prevedeva interventi nella zona per il miglioramento delle piste ciclabili, del trasporto pubblico e del design urbano.
In questa chiave fu attivato anche il progetto torinese, in un rettangolo non distante dalla zona di Mirafiori, Dati alla mano, dopo i primi mesi di sperimentazione, i promotori cominciarono a cantare pubblicamente vittoria. Le statistiche sembravano confermare la positività delle “Zone 30”.
Furono pubblicati alcuni numeri molto incoraggianti: riduzione del traffico del 15% e del 30% per i mezzi pesanti; riduzione del 74% dei giorni di prognosi per incidenti avvenuti in zona; riduzione di 2 decibel dell’inquinamento acustico. Il tutto con una percezione migliore del quartiere da parte dei residenti, rispetto a prima dell’introduzione della “Zona 30”.
Di fronte a questi dati, sia altre zone di Torino sia la amministrazioni di altre città italiane pensarono di adottare questo tipo di soluzione. Anche a Roma si cominciò a parlarne. Però a quel punto, un po’ a sorpresa, anche moltissime voci contrarie iniziarono a sollevarsi. E nacquero veri e propri movimenti contrari.
Alcuni cantieri per la trasformazione in “Zona 30” di aree cittadine vennero boicottati e bloccati dai residenti. Alcune amministrazioni fecero marcia indietro e ripristinarono i limiti di velocità abituali. Come mai? Cos’era successo? A cosa era dovuta questa crescente ostilità?
Dalla teoria alla pratica
Il principale problema è che, via via che l’adozione di “Zone 30” si allargava a diverse aree e diverse città, il provvedimento, da idea di riassetto urbanistico, ben studiato, con il coinvolgimento dei residenti nella fase progettuale, ben monitorato per permettere aggiustamenti in corso d’opera laddove necessario, si andava trasformando in una comoda opportunità, per le amministrazioni, di attuare soluzioni tampone su strade dissestate, scaricando sugli automobilisti le proprie negligenze di manutenzione di vie lasciate al proprio destino.
In pratica, detta in soldoni, laddove una strada appariva piena di buche e avvallamenti, dissestata, o con problematiche che necessitavano interventi, si sceglieva di non intervenire per risolvere il problema strutturale di quelle vie, adottando il più semplice e sbrigativo sistema di ridurre i limiti di velocità.
Anziché un utile intervento urbanistico, la cosa si trasformava in un comodo scaricabarile delle amministrazioni, che si lavavano le mani da eventuali responsabilità per danni provocati dal dissesto delle vie, addossando l’onere su chi non rispettava i limiti.
Magari riempiendo la zona di autovelox – anziché di costose pattuglie di polizia stradale che meglio avrebbe potuto valutare il concreto impatto dei nuovi limiti – che in tal modo finivano per apparire come vessatori e che spesso finivano.
Dunque lo spirito dell’iniziativa era così totalmente stravolto. La positiva teoria veniva trasformata in una pessima pratica, priva di migliorie urbanistiche, priva di monitoraggio, priva anche di effetti positivi sul traffico, sui decibel e sul numero d’incidenti, con accelerate e inchiodate improvvise degli automobilisti in prossimità degli autovelox.
Quando nelle ordinanze che istituivano i nuovi limiti si leggevano frasi come: “l’Amministrazione comunale è sollevata da qualsiasi responsabilità per eventuali danni a veicoli a persone o a cose derivanti dalla inosservanza della presente ordinanza” la sensazione non di una visione strategica per la città, ma di una semplice manleva per sollevare i sindaci da cause per danni causati da strade dissestate, era inevitabile.
Nel Lazio questo tipo di soluzioni tampone è avvenuto in diverse città e quartieri della Capitale. Non solo su strade dissestate, ma anche, ad esempio, nelle zone con una forte presenza di cinghiali. Tutto questo ha finito per mettere in cattiva luce anche i veri progetti di “Zona 30” nati con l’autentico spirito originario, che hanno finito per essere comunque malvisti dai residenti.
È la logica di chi grida molte volte a vuoto “al lupo al lupo” e non viene più creduto neanche quando il suo grido d’allarme è reale. E questo è uno dei principali problemi di fondo italiani, che riguarda un po’ tutti gli ambiti d’intervento pubblico, non solo la “Zona 30”. Anzi mi verrebbe da dire “il” problema di fondo nazionale. Quello che trasforma anche potenziali soluzioni efficaci nel loro contrario.
Tanto che, limitandoci al problema specifico delle “Zone 30”, personalmente, seppure nella teoria sono assolutamente favorevole, perlomeno alla loro versione “olandese”, nella pratica sono fortemente contrario alla loro espansione nelle città, sapendo in cosa si trasformerebbero nel concreto. Ed è la realtà che conta, non le belle parole.