Eravamo comunisti al bar
C’era una volta un bar in via dei Delfini, a due passi da Botteghe Oscure e dalla storica sede del PCI. Per chi passava da quelle parti era quasi impossibile non buttarci l’occhio: anche da fuori pareva una macchia rossa nel centro della città, tante erano le bandiere e i cimeli di partito appesi alle pareti.
A gestirlo, dal 1969, c’era Vezio Bagazzini. La sua storia e quella di quel luogo, sembrano essere quasi una metafora perfetta dell’ascesa e successiva scomparsa del PCI prima e della sinistra poi, che proprio in quel bar aveva preso l’abitudine di darsi appuntamento per un caffè e per due chiacchiere.
E dire che, quando rilevò il locale, Vezio non era nemmeno comunista. Però ci mise poco ad assumere una più netta coscienza politica. Appena qualche mese. L’attentato di Piazza Fontana – era il dicembre del 1969 – fu una bomba anche per il suo animo. Prese subito la tessera del PCI, quella che poi avrebbe esposto per anni, con orgoglio, sulle pareti del locale.
Fu proprio in quel momento che iniziò il suo legame indissolubile con Botteghe Oscure. Nel clima dei giorni immediatamente successivi all’attentato, l’economo del PCI chiese a Vezio di portare nella sede del partito le colazioni e i caffè, evitando rischi per i dirigenti. Così cominciò la sua quotidiana frequentazione del Bottegone, piani alti inclusi.
Quando, qualche mese dopo, il rischio di attentati cominciò ad essere meno imminente e la necessità di farsi portare in sede cornetti e cappuccini non fu più così impellente, il legame fra Vezio e il partito si era ormai già saldato in modo indissolubile. Furono a quel punto i dirigenti a scendere giù al bar, per confrontarsi e discutere in quei pochi metri quadri. Spesso si mettevano in fondo, nel retrobottega, ad un tavolo di marmo al quale non tutti potevano accedere.
È da quel momento che il bar di Vezio cominciò a trasformarsi in una sorta di vero pe proprio museo della sinistra. Le mille fotografie appese ai muri, spesso con dedica, conservavano la memoria di Petroselli e di Pajetta, di Berlinguer, di D’Alema, d’Ingrao. Oltre a Togliatti e Che Guevara, o a volti dello spettacolo come Roberto Benigni, Nanni Moretti, Gian Maria Volonté.
E poi mille bandiere. E trofei della Roma di cui Vezio era tifosissimo: da Roberto Pruzzo, a Falcao, fino a – in tempi più recenti – Francesco Totti. Vezio Bagazzini era appassionatissimo di calcio ed era anche diventato l’arbitro ufficiale delle partite di calcetto fra dirigenti e personale del PCI, che avevano luogo ogni settimana.
A volte, in quelle partitelle, si univa a giocare anche Ciccio Cordova, l’ex capitano della Roma prima e della Lazio poi, nonché marito di Serena Marchini, rampolla di quei Marchini “calce e martello”, la famiglia di costruttori che aveva tirato su il palazzo di Botteghe Oscure.
La Roma, la politica, il calcetto, erano passioni che accomunavano Vezio ad uno dei giovani dirigenti del partito, destinato a una carriera importante e con cui nacque fin da subito una solida e profonda amicizia: Massimo D’Alema.
Poi però, con gli anni novanta, le cose cominciarono a cambiare. All’inizio pare una trasformazione positiva. Mentre Achille Occhetto cambiava nome al partito e metteva in piedi la sua gioiosa macchina da guerra, anche Vezio Bagazzini viveva un cambiamento gioioso nella propria vita, avendo incontrato una giovane archeologa, Maria Arcidiacono, con cui si era felicemente sposato, dividendo con lei anche le sorti del bar.
Ma dopo pochi anni la storica sede di Botteghe Oscure chiuse per sempre. Il partito – che nel frattempo mutava molte volte nome e anima – si trasferì altrove e, con il trasloco, anche il locale di via dei Delfini cominciò a risentire di una profonda crisi, nonostante nel frattempo fosse stato nominato dalla Giunta Capitolina come “locale storico”, Dunque, un luogo da preservare.
Con il nuovo millennio i costi di affitto e di gestione del locale si fanno via via sempre più insostenibili e Vezio infine dunque di abbassare le serrande. La notizia genera sgomento. Si crea una sorta di gara di solidarietà, non solo fra gli ex esponenti comunisti e i romani di sinistra, ma fra tutti gli avventori e gli abitanti del quartiere.
Si narra che Gelasio Caetani, noto rappresentante dell’aristocrazia nera, saputo della chiusura imminente, sia rimasto talmente colpito da decidere di offrire subito il suo aiuto a Vezio e alla sua consorte, in modo ruvido ma sincero: “Io so’ solo fa a pugni, ma se ve serve…”
Per il locale di Vezio – grazie anche all’aiuto del Comune, allora guidato da una vecchia conoscenza di Bagazzini, come Walter Veltroni – viene comunque trovata una nuova collocazione, in via Tor di Nona. Il “museo della sinistra” viene così trasferito rapidamente nei nuovi spazi, a due passi dal Lungotevere e da Piazza Navona.
Però, senza più quel legame vivo e quotidiano con la dirigenza del partito, senza la vicinanza con Botteghe Oscure, il bar di Vezio, nella sua nuova location, sembra ormai solo una scenografia troppo retrò, un museo delle cere, privo di una reale vitalità e di un fascino autentico. Inoltre per Vezio cominciano problemi di salute sempre più seri, che lo porteranno a una scomparsa prematura nel 2011.
Oggi di quel bar resta solo il ricordo. Esattamente come di quel glorioso partito che fu il PCI.