In nome del “Papa Minga”
Il 7 ottobre del 1956, dopo una causa di beatificazione lunga e controversa, durata per ben tre secoli, Pio XII elevava al ruolo di beato il comasco Benedetto Odescalchi, divenuto papa nel 1676 col nome di Innocenzo XI, anche se ben presto ribattezzato dai romani “Papa Minga”, ovvero il papa del no, sia per la sua propensione a vietare tutto, sia per il suo fortissimo accento del nord.
“Minga”, a Milano e dintorni, infatti è un avverbio che significa “no”, “non”. Nel Novecento, anche grazie a una famosa pubblicità, la parola divenne celebre, con l’espressione “dura minga”, cioè non dura. I romani della seconda metà del Seicento quel termine dovettero impararlo lo stesso, anche se non c’era ancora “Carosello”, perché nei sacri palazzi cominciò a risuonare quello che allora nell’Urbe era considerato quasi una lingua straniera: il dialetto lombardo.
Dal conclave del 1676, infatti, dopo mesi di schermaglie, era uscito eletto, un po’ a sorpresa, un candidato di compromesso. Veniva dalla nobile famiglia Odescalchi, era lombardo e aveva subito deciso di assumere il nome di Innocenzo, per riconoscenza nei confronti di Giovan Battista Pamphilij, il papa Innocenzo X, che l’aveva nominato cardinale quando aveva soltanto trentaquattro anni.
Il “carosello” del dura minga
Il Papa e i suoi molti “minga”
Uomo integerrimo, morigerato e parco in tutto, il novello Pontefice si dedicò fin da subito a una moralizzazione dei costumi romani, con un piglio non molto apprezzato in città. Il primo “minga” lo riservò al teatro di Tor di Nona, trasformato in granaio, mentre agli altri teatri cittadini impose di tenere soltanto concerti di musica sacra, abolendo ogni altro spettacolo, perché considerato frivolo e tentatore.
Non fosse bastato questo, proseguì sulla stessa lunghezza d’onda, con altri “minga” poco apprezzati dai romani: vietò le possibilità di giocare al lotto, abolì il carnevale romano, una delle più amate tradizioni della città, amate in tutto il mondo, vietando infine la tradizionale regata che si teneva sul Tevere nel giorno di San Rocco.
L’animo dei cittadini di Roma nei suoi confronti era sempre più ostile. Persino la cattolicissima regina Cristina di Svezia, talmente cattolica da aver rinunciato alla corona di un paese protestante per trasferirsi a Roma, trovò eccessive le scelte pontificie, cercando di far valere la propria influenza per fare cambiare idea al papa. Il pontefice, ovviamente, le rispose con un “minga”.
Un “Papa Minga” anche per i familiari
A onore di papa Innocenzo, c’è però da dire che egli non faceva distinzioni fra nemici e amici. I suoi “minga” viaggiavano urbi et orbi e, disgustato dagli eccessi di nepotismo dei suoi predecessori, non solo non aiutò in alcun modo, né diede cariche di prestigio ai propri parenti, ma proibì loro persino di mettere piede a Roma.
Dopo aver detto “minga” anche all’uso del tabacco da parte dei sacerdoti, nei confronti dei quali fu attivato un novo divieto, nel giugno del 1689 papa Innocenzo XI si ammalò. Fu per lui un’estate sempre in bilico fra la vita e la morte, che arrivò il 12 agosto di quell’anno.
Undici anni fa, per l’esattezza l’8 aprile 2011, il corpo di Innocenzo XI è stato traslato dalla cappella di San Sebastiano a quella della Trasfigurazione per fare spazio al feretro di papa Giovanni Paolo II, lì sepolto dopo la beatificazione del papa polacco, avvenuta in quell’anno.
Chissà se quel rigoroso papa lombardo, rispetto a questa scelta, sarebbe stato d’accordo o, anche in questo caso, avrebbe forse voluto dire il suo ultimo “minga”?