Pinsa: quella tradizione inventata
Da qualche tempo, a Roma, la pizza non va più tanto di moda. Per carità, uscire con gli amici per una margherita e una birra è ancora possibile, ma vuoi mettere quanto sia più trendy andarsene in qualche buona “pinseria”, cioè quella nuova tipologia di ristorazione, che offre ai clienti la tradizionale “Pinsa romana”?
Strano che di questo antico piatto tradizionale nessun romano abbia mai sentito parlare fino a una dozzina di anni fa. Ma pare, che ciò sia – almeno a quanto dicono alcuni siti specializzati e a quanto si può leggere sui menù delle più rinomate pinserie – solo perché la ricetta è stata dimenticata a lungo e poi rivisitata in tempi recenti.
Cos’è la pinsa?
Apparentemente è un piatto che si differenzia poco da una normale pizza alla pala, molto diffusa nei forni del Centro Italia. Si tratta di una focaccia o schiacciatina che viene preparata con farina di riso, frumento, soia e pasta madre, cioè lievito naturale fatto seccare, tutti ingredienti ad alta digeribilità. Tra le particolarità più vistose è la sua forma ovale anziché tonda.
Seguendo le indicazioni fornite anche da un’importante azienda alimentare come la Buitoni, questa differenza con la rotondità della pizza, affonda le sue radici nella storia: “Tale scelta è legata alle sue origini, risalenti all’Impero Romano. A quei tempi la pinsa era utilizzata come vassoio e sulla stessa si adagiavano alcune preparazioni culinarie piuttosto sugose, in primis le carni in umido. L’impasto, infatti, cotto su pietra, risultava eccessivamente duro per poter essere mangiato da solo”.
La pinsa nell’Eneide
A dare un maggiore sostegno a questa versione che ritiene la pinsa come un’antichissima tradizione culinaria dell’antica Roma, ecco che pare venire in soccorso nientemeno che il libro settimo dell’Eneide di Virgilio.
Qui si narra dell’arrivo di Enea nel Lazio, stremato e affamato dal lungo viaggio, che viene accolto dal re Latino e dalla figlia Lavinia e rifocillato con alcune focacce, che hanno proprio tutta l’aria di essere delle pinse:
Enea col figlio e co’ suoi primi duci a l’ombre d’un grand’albero in disparte degli altri a prender cibo insieme unissi. Eran su l’erba agiati; e, come avviso creder si dee che del gran Giove fosse, avean poche vivande; e quelle poche gran forme di focacce e di farrate in vece avean di tavole e di quadre, la terra medesima e i solchi suoi ai pomi agresti eran fiscelle e nappi. Altro per avventura allor non v’era di che cibarsi.
Le focacce nell’antichità
Come avete potuto leggere anche voi, Virgilio, in questo passo dell’Eneide parla di focacce, ma non fa nessuna menzione del termine “pinsa”, né elenca gli ingredienti che occorrevano per la preparazione.
Che le focacce di varia foggia e forma, fossero tra i principali cibi conosciuti fin dalla notte dei tempi, questo è un dato di fatto.
Già nell’antica Grecia esisteva la “pita” – un piatto ancora oggi molto diffuso nella cucina ellenica e mediorientale – cioè una focaccia arricchita da vari ingredienti che venivano adagiati sopra e gustati insieme, proprio come avviene nella pizza o nella pinsa.
La pita si diffuse rapidamente in tutta l’area del Mediterraneo, venendo arricchita in vario modo e assumendo forme diverse in base alle tradizioni culinarie locali delle varie zone di diffusione. Pare che il termine “pizza” sia una corruzione proprio della parola “pita” e lo stesso potrebbe valere per la parola “pinsa”.
Il fornaio latinista
Ma c’è chi fa notare che la parola “pinsa” in latino significa letteralmente “schiacciata”, dato che pinsère in latino vuol dire proprio “pigiare”, “schiacciare”. Questo parrebbe essere un elemento a favore dell’origine antica e latina della pinsa. Un elemento forse decisivo.
Tutto parrebbe tornare, se non fosse che alcuni anni fa, Corrado Di Marco – erede di una famiglia di fornai attivi a Roma, fin da inizio Novecento – non abbia “confessato” in un’intervista di essere stato lui ad avere inventato di sana pianta la storia delle antiche origini della pinsa.
Appassionato della lingua latina e della storia dell’Antica Roma, Di Marco cercò di studiare un sistema per dare maggiore successo ad una ricetta di pizza più digeribile, inventata nell’azienda di famiglia e denominata inizialmente “Pizzasnella”.
L’idea di pizza dietetica non otteneva il successo previsto e perciò si studiò una diversa strategia di marketing. L’aura antica, il nome di origine latina, la citazione dell’Eneide, tutto poteva contribuire a dar eun valore aggiunto al prodotto e così, Di Marco, nel 2001 lanciò sul mercato la “pinsa”.
Il successo della pinsa
Tradizione latina o invenzione moderna che sia, le caratteristiche che distinguono la pinsa, oggi sono raccolte da una serie di regole scritte: la forma ovale, il mix di farine, il peso del panetto e l’alta idratazione dell’impasto, tra il 75 e l’80 per cento.
È addirittura nata un’associazione denominata “Originale Pinsa Romana” che ha stabilito un disciplinare di produzione, per quanto non ancora riconosciuto a livello nazionale. In pratica, al momento, anche chi non si attiene a questo insieme di regole può chiamare il suo prodotto “pinsa”, ma non riceve il certificato di originalità che l’associazione conferisce,
Il successo della pinsa romana è stato rapido non solo a Roma, ma anche fuori dai confini della Capitale. Tanto che tra le aziende produttrici di basi per pinsa, la più grande non ha sede a Roma, bensì a Reggio Emilia.
La crescita annua del settore è stata valutata nell’ordine del +180% annuo. Numeri impressionanti, soprattutto considerata la crisi generale dell’economia romana e nazionale. Un successo che riguarda non solo le pinse consumate nei locali di ristorazione, ma anche le basi da cuocere vendute nei supermercati.
E se, nel mangiare una pinsa, ci darà comunque più gusto pensare che la ricetta sia stata ideata ai tempi di Virgilio e non pochi anni fa all’interno di un azienda alimentare romana, pensiamolo pure, vero o falso che sia. Nessuno se ne avrà a male.