Elogio del Vittoriano
“E poi dovevo convincere il partito a far distruggere l’Altare della Patria, per far posto a una comunità a cui avrebbero aderito tutte le piante e gli animali della zona. Avrebbero aderito spontaneamente”. In una famosa scena del film “Palombella Rossa”, uscito nelle sale a fine 1989, l’attore e regista Nanni Moretti racconta così il proprio rapporto col Vittoriano.
Ovviamente quella di Moretti è un’iperbole, ma in effetti, per alcuni decenni, è stato un po’ questo il rapporto fra molti italiani e la “macchina da scrivere” – uno dei vari soprannomi spregiativi affibbiati al monumento – inclusi autorevoli critici, architetti e maitre à penser come Bruno Zevi, o Giulio Carlo Argan, per non parlare dell’urbanista Ludovico Quaroni, che ne teorizzò la “ruderizzazione”.
Una reazione forse eccessiva, ma comprensibile, una sorta d’inevitabile contraccolpo, dopo i decenni di stucchevole propaganda patriottica, che già nell’Italia giolittiana – che lo inaugurò – e poi nel ventennio fascista, avevano pomposamente accompagnato quel monumento dedicato al primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II.
La scena di Palombella Rossa in cui Nanni Moretti parla dell’Altare della Patria
La nascita del Vittoriano
L’idea di un monumento intitolato al sovrano e al nuovo Stato italiano, nacque subito dopo la morte del “re galantuomo”, avvenuta nel gennaio 1878. Il 26 marzo di quello stesso anno, il parlamentare Francesco Perroni Paladini depositò alla Camera dei deputati un disegno di legge, il cui obiettivo era quello di erigere una sorta di “tempio laico”, dedicato a Vittorio Emanuele II.
Venne rapidamente indetto un primo bando di concorso, poi annullato, quindi un secondo bando, chiuso nel febbraio del 1884, infine un terzo, quello definitivo, che si concluse a giugno del 1884 e che fu vinto da un poco noto e allora piuttosto giovane architetto marchigiano – all’epoca ventinovenne – Giovanni Sacconi.
L’esistenza di tre diversi bandi è indice delle polemiche che fin da subito accompagnarono la nascita del monumento. C’era chi si preoccupava degli abbattimenti di palazzi e vestigia storiche che la costruzione di una tale struttura in pieno centro storico avrebbe comportato. C’era anche chi contestava l’apertura dei concorsi alla partecipazione di artisti stranieri, dato che si trattava di un monumento dedicato all’Italia, cosa che comportò l’annullamento del primo bando.
Il Vittoriano in un video del Ministero della Cultura
Il progetto di Sacconi
Il progetto vincitore si ispirava ai grandi santuari ellenistici, come l’Altare di Zeus a Pergamo ed era concepito come un vasto e moderno foro, aperto ai cittadini, situato su una sorta di piazza sopraelevata nel centro storico di Roma, organizzata come un’agorà su tre livelli collegati da gradinate, con cospicui spazi riservati al passeggio dei visitatori.
Quasi certamente, tra le ragioni delle successiva caduta in disgrazia del Vittoriano, ci sarà anche il fatto che un progetto concepito per diventare una sorta di grande piazza, che i romani avrebbero dovuto vivere e attraversare quotidianamente, un anello di congiunzione, capace di mettere in collegamento diverse aree cittadine, sia poi stato utilizzato, invece, come uno spazio riservato a pochi, chiuso, inaccessibile, avulso dal contesto cittadino.
Un errore grave – dovuto anche a motivi di sicurezza – che ne ha snaturato la funzione e che non ha mai permesso ai romani di prendere davvero confidenza con quel luogo, di conoscerne i segreti e i grandi spazi interni, spesso molto belli, dovendolo osservare sempre e solo a distanza, come una superflua scenografia, pomposa e quasi inutile, se non addirittura ostile.
Una raccolta di cartoline d’epoca raffiguranti il Vittoriano
L’inizio dei lavori
È il primo gennaio del 1885 che viene posta la prima pietra. I lavori presentano subito difficoltà. Non solo occorre abbattere numerosi edifici di epoca medievale che sorgevano nell’area – cosa che provocò vivaci discussioni e polemiche fra favorevoli e contrari – ma vengono scoperti anche numerosi cunicoli e gallerie di epoca romana, oltre a un tratto di mura serviane, che impongono alcune modifiche nel progetto originario.
Reperti, cunicoli e gallerie vengono inglobati nella struttura e resi visitabili. Sono le zone che attualmente ospitano le arre museali del Museo del Risorgimento, il Sacrario delle Bandiere e la cripta del Milite ignoto. La struttura complessiva viene poi modificata e resa più imponente, per aumentarne la stabilità, altrimenti non garantita data la friabilità del terreno.
Tutto ciò porta a uno dei primi casi di enorme lievitazione dei costi. Dagli otto milioni di lire stanziati inizialmente, si arriverà a oltre ventisei milioni. Anche i tempi si allungano, tanto che Sacconi – proprio come Gaudì con la sua Sagrada Familia – non vedrà mai l’inaugurazione della sua opera, che avverrà solo nel 1911, morendo nel 1905 a soli 51 anni.
Immagini dei lavori in corso al Vittoriano
Da Vittoriano ad Altare della Patria
La cerimonia ufficiale d’inaugurazione del monumento ebbe luogo nel giugno del 1911, davanti a una folla immensa. In realtà i lavori di completamento sarebbero durati ancora altri venti anni, ma l’occasione del cinquantenario dell’unità d’Italia, che cadeva per l’appunto nel 1911, era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.
Oltre all’enorme monumento equestre dedicato al primo re d’Italia, a caratterizzare fortemente l’opera era stata anche inserita una grande statua della Dea Roma. L’intento era quello di rendere il monumento un vero e proprio tempio laico dedicato alla nazione e alla sua Capitale. Un “Altare della Patria”, per l’appunto.
Lo scoppio della prima guerra mondiale e la decisione di tumulare lì la salma del “milite ignoto” – il corpo di un soldato senza nome, traslato all’interno del Vittoriano nel novembre del 1921 – trasformarono però il senso di quella scelta, che perse la sua iniziale connotazione classica e “romana”, per assumerne una più militaresca e nazionale.
Il trasferimento della salma del Milite Ignoto all’Altare della Patria
La scenografia preferita dal Duce
A seguito della marcia su Roma e della presa del potere da parte di Mussolini, il Vittoriano divenne uno dei principali palcoscenici per le manifestazioni del regime. A questo si aggiungeva il fatto che proprio dal balcone di Palazzo Venezia, cioè a pochi metri di distanza dal monumento, che faceva da sfondo, avevano luogo i più importanti discorsi del Duce.
L’edificio divenne una presenza costante nei filmati di regime. È stato calcolato che tra il 1928 e il 1943 il Vittoriano comparve in ben 249 filmati propagandistiche, con 168 di queste apparizioni legate a un omaggio al Milite Ignoto, e le restanti 81 come palcoscenico di manifestazioni fasciste organizzate tra le sue mura.
È chiaro che questo provocò, nell’immaginario collettivo, un abbinamento automatico dell’edificio con la boria del regime fascista, non permettendone più una visione artistica e architettonica scevra da pregiudizi politici e causandone la successiva caduta in disgrazia, nel momento in cui il potere di Mussolini fu travolto dal disastro della guerra.
Sfilata militare al Vittoriano in un Cinegiornale Luce
La decadenza
Con la fine della seconda guerra mondiale, per il Vittoriano iniziarono diversi decenni di oblio, se non di vero e proprio dileggio. L’attentato che subirà nel 1969 – in contemporanea con quello milanese di Piazza Fontana – porterà anche a una sua completa chiusura al pubblico per ragioni di sicurezza, che ne aumenterà il senso di estraneità al contesto cittadino, amplificando il disamore nei suoi confronti.
Tanto che nel 1986 fu istituito un vero e proprio processo contro di lui, a cui parteciparono non solo le più alte autorità nazionali in campo artistico e culturale, ma anche politici del calibro di Giulio Andreotti e Giovanni Spadolini. Il processo si concluse con una sorta di “condanna con la condizionale”, in cui ribadendo il giudizio negativo sul monumento, si stabilì comunque di tenerlo intatto quale testimonianza storica.
Paradossalmente, mentre gli italiani si vergognavano di quella “torta nuziale”, identificandola nel proprio senso di colpa per il proprio passato fascista e coloniale, all’estero – dove veniva visto con occhi più liberi da condizionamenti politici e storici – esso cominciava a venire esaltato, tanto che il regista britannico Peter Greenaway, sempre nel 1986 – lo stesso anno del “processo” – ne fece il protagonista di uno dei suoi film più belli ed importanti: “Il ventre dell’architetto”.
Una scena del film “Il ventre dell’architetto” di Peter Greenaway
La riscoperta
È solo con il nuovo millennio, soprattutto negli anni della presidenza Ciampi, caratterizzata da un forte spirito di riscoperta patriottica, che il Vittoriano comincia a perdere quell’aura totalmente negativa avuta nei cinquant’anni precedenti. Dopo un lungo e accurato restauro, nel settembre del 2000 avviene anche una parziale riapertura al pubblico, che comincia a riavvicinare i romani al monumento.
Si riscoprono così gli spazi interni, gli affreschi, i propilei, le statue allegoriche e quello spazio per anni troppo lontano e ostile, comincia parzialmente a prendere quel ruolo di “agorà” voluto dal suo ideatore, ma sinora mai realizzato.
La speranza è che un più equilibrato giudizio sul Vittoriano, libero finalmente dalla retorica patriottica e da quella antipatriottica, per apprezzarne alcuni aspetti oggettivamente pregevoli sul piano artistico e architettonico, pur non dimenticando alcuni aspetti imbarazzanti del suo passato, porti con sé anche un più equilibrato giudizio sulla nostra storia, la nostra città, la nostra nazione.
Un’intervista a Carlo Azeglio Ciampi sul senso dell’orgoglio per la storia nazionale
Il valore simbolico
Quel voler per forza vedere tutto o meravigliosamente puro, oppure orrendamente vergognoso, che abbiamo spesso quando ripensiamo al passato, è forse uno dei modi peggiori per eludere la necessità di farci davvero i conti con quel passato, relegato a un ruolo macchiettistico, dove tutto viene esaltato oltre il dovuto, come nel caso della propaganda patriottica, oppure rifiutato oltre il dovuto, per liberarci la coscienza, come nel caso contrario.
Ma la vita non è tutta luce, né tutta ombra, ha “cinquanta sfumature di grigio”, è contraddittoria, fatta di cose positive e negative mescolate insieme. Roma, l’Italia e anche noi stessi, siamo proprio come il Vittoriano. In parte eccessivamente pomposi e retorici, ma al tempo stesso, a guardare meglio, a entrare dentro le cose, sorprendentemente belli, affascinanti, coinvolgenti.
Per questo riscoprire il Vittoriano, significa riscoprire ciò che siamo, le nostre contraddizioni e le nostre idiosincrasie, i nostri difetti e i nostri pregi. Il nostro essere più complessi e articolati di come potrebbe apparire a prima vista, quando, semplicisticamente, si prova a ridurre tutto come se fosse solo una scenografica, oppure una orrenda e ampollosa “torta nuziale”.