Se l’area giochi è senza giochi
C’era una volta… mi piacerebbe iniziare così questo breve racconto. Perché quando si inizia così, di solito, poi si finisce con un bel “e tutti vissero felici e contenti”. E non vorrei portare iella a nessuno e a metterlo per iscritto ne ho quasi paura, però questa vicenda potrebbe avere davvero un happy end.
Dunque, c’era una volta, in un quartiere lontano lontano, ai confini del Grande Raccordo Anulare, chiamato Colle Salario, una piccola area giochi per bambini. Che già a chiamarla area giochi era farle un grande complimento, perché l’avevano piazzata in una sorta di spartitraffico.
Ma i bambini, si sa, quando giocano si accontentano di poco. Era l’unica area di quel tipo di tutto il quartiere e, alla fine, che intorno sfrecciassero le macchine importava poco. L’importante era giocare, sulle altalene, sugli scivoli, sul dondolo.
Ma un brutto giorno del 2018, la presidente di quel Municipio, a guida grillina, disse che quei giochi non erano a norma. Alcuni li fece rimuovere, altri li incartò per bene con le strisce di plastica di Roma Capitale, per non permettere l’accesso. “Questione di poche settimane – disse – poi verranno sostituiti con altri nuovi di zecca”.
Peccato però che pochi giorni dopo quella presidente di quel Municipio venne sfiduciata e si dimise dal suo ruolo, prima di portare a termine il lavoro. Passarono alcuni mesi, furono indette nuove elezioni, finché un nuovo presidente – stavolta di centrosinistra – si insediò. Si chiamava Giovanni Caudo.
Tutto l’iter andava ricominciato da capo, fra le proteste dei cittadini e le interrogazioni dell’opposizione. Intanto quell’area giochi continuava a non avere più giochi, tranne quelli impacchettati nelle strisce gialle e rosse di Roma Capitale. Com’è, come non è, dopo qualche tempo dei cittadini tagliarono quelle strisce per rendere nuovamente fruibili i pochi giochi rimasti.
Quei pochi giochi rimasti che, ovviamente, continuavano a non essere a norma, anzi si erano ulteriormente deteriorati, senza ricevere più alcuna manutenzione. Anche il parco si era deteriorato: panchine rotte, sporcizia ovunque, reti divelte, terreno sconnesso. Insomma, una roba come se ne possono vedere a migliaia, in tutti i quartieri di Roma, ma come ci auguriamo tutti di non dover vedere più, in nessun angolo della città.
Intanto il tempo passa, i bimbi crescono, le mamme imbiancano e le giunte cambiano. Adesso non c’è più Giovanni Caudo a guidare quel municipio, bensì un certo Paolo Marchionne. Anche l’assessore competente alle aree verdi è cambiato: ora si chiama Matteo Zocchi, di centrosinistra.
A incalzarlo, dall’altra parte della barricata, l’opposizione di centrodestra, con in prima fila il decano dei consiglieri municipali romani: tale Fabrizio Bevilacqua, trent’anni di servizio, inviperito, perché vive proprio vicino a quell’area giochi, ha una figlia che era piccola quando le altalene furono tolte ma ora è in età da marito, perciò avrebbe diritto ad essere così arrabbiato da essere pronto a tirare fuori la scimitarra.
È a questo punto che accade l’impensabile: maggioranza e opposizione, anziché farsi la guerra, come tutto porterebbe a pensare, cominciano a collaborare insieme per trovare una soluzione rapida. E pare che la soluzione si sia pure trovata: il Comune ha stanziato i fondi per i nuovi giochi, che fra poco saranno installati. Non solo: pare siano previste anche nuove panchine e una sistemazione complessiva dell’area.
Qualche giorno fa Zocchi e Bevilacqua li ho visti insieme in tv, su un’emittente locale. Il conduttore li aveva invitati entrambi per gustarsi una bella scazzottata e fare un po’ di audience. Invece, come per magia, quei due si lanciavano in diretta parole d’amore e di stima reciproca, trovavano soluzioni comuni e non si additavano l’un l’atro colpe ed accuse gravissime. In poche parole: un miracolo.
Un miracolo che ora potrebbe portare davvero al finale felice suggerito all’inizio. E quando l’assessore Zocchi, intervistato in merito, non ha voluto dire la data certa d’installazione dei nuovi giochi, non pareva che lo facesse per imbarazzo, ma per autentica scaramanzia. La scaramanzia di chi ci tiene sul serio a che tutto vada al più presto e positivamente in porto.
Almeno questo era la sensazione che lui trasmetteva. In conclusione, dunque: una piccola storia che potrebbe essere un bell’esempio da riproporre anche per i tanti altri problemi di questa città, in ogni area della Capitale. E allora, sperando di non dovermi rimangiare questo ottimismo, chiudo dicendo che tutti vissero davvero felici e contenti. Soprattutto i bambini di Colle Salario, che non hanno colore né tifo politico.