La Roma degli orti di guerra
Una prima anticipazione si era avuta già negli anni della Grande Guerra. Soprattutto a partire dal 1917, infatti, reperire cibo in Italia era divenuto sempre più difficile. Certamente Roma aveva la grande fortuna di essere lontana dal fronte, ma questo non evitava alla città di cominciare a doversi alimentare in modo sempre più stentato.
A Vienna, la capitale dei nostri nemici austriaci, la gente moriva letteralmente di fame in strada. Noi, fortunatamente, resistevamo meglio, ma comunque alcune famiglie pensarono bene di organizzarsi per procurarsi il cibo in casa. È in questo periodo che si diffondono pubblicazioni ad opera delle “Cattedre Ambulanti di Agricoltura” in cui si esortano i cittadini a sacrificare il proprio giardino per lasciare spazio alla coltivazione delle “ortaglie”, in un momento in cui produrre è un dovere non solo verso se stessi ma anche nei confronti della Patria.
Non si chiamano ancora “orti di guerra” anche se di fatto già lo sono. Nei manuali che vengono diffusi in quegli anni, non mancano poi consigli pratici su come organizzare un orto, su come coltivarlo, concimarlo e mantenerlo produttivo, su quali piante estirpare e quali invece mantenere, su quali sono i periodi più adatti per la semina e quali gli accorgimenti necessari a rendere produttivi anche i terreni meno buoni.
Con la seconda guerra mondiale, l’orto di guerra viene messo a sistema. Forti anche dell’esperienza fatta durante il conflitto ‘15-‘18, dall’ufficio propaganda del Partito Nazionale Fascista viene emanato un documento in cui si dichiara che “per dare un contributo notevole alla campagna alimentare e alle iniziative autarchiche del paese”, il regime decide di trasformare i giardini pubblici in aree coltivabili, dove piantare “quegli ortaggi che nelle contingenze attuali possono dare un apporto considerevole di nutrimento in parziale sostituzione di quanto, per varie cause, più scarseggia per la popolazione civile: la carne”.
Roma è forse la città che più di tutte risponde all’appello. D’altronde è la struttura stessa della Capitale che aiuta la popolazione in questo senso, con la ampie aree verdi esistenti all’interno del centro abitato: dai grandi parchi, alle sponde del Tevere, un’area, quest’ultima, che ha anche il vantaggio di trovarsi vicina a una fonte d’irrigazione.
In poco tempo, non c’è aiuola romana che non venga coltivata. A guardare le foto dell’epoca, anche accanto ai più importanti monumenti sorgono come funghi campi ed orticelli: dai Fori Imperiali a San Giovanni, da Piazza Venezia a Castel Sant’Angelo, al Circo Massimo. A Montesacro vengono sfruttate le sponde dell’Aniene.
I cittadini romani che sono sprovvisti di un parco vicino o di una zona adeguata allo scopo, arrivano a coltivare le aiuole sotto casa, i terrazzi privati, ma anche piccole cassette di legno e persino vasche da bagno. D’altronde il regime ha fatto di quegli orti una sorta di prova dell’amor patrio: “La parola d’ordine in tempo di guerra è di utilizzare ogni energia, sfruttare ogni risorsa. Obbedendo a questa precisa direttiva è sorta l’iniziativa degli orti di guerra, moltiplicando i quali non una zolla di terreno produttivo dovrà restare inutilizzata!”
Creare l’orto di guerra, per il sostentamento della propria famiglia, diventa quindi un dovere per il cittadino italiano, un impegno civile verso la propria patria. A partire dall’estate del 1942, il momento della raccolta, negli orti di guerra più grandi – come ad esempio quello presente al Circo Massimo – diventa anche una vera e propria grande manifestazione di regime, aperta a migliaia di persone, con i covoni che vengono ricoperti di bandiere tricolori, di vessilli del partito, benedetti da parroci e da cardinali.
L’estate successiva, col bombardamento alleato della città, il crollo del regime e, da settembre, il periodo di occupazione tedesca, gli orti più grandi, quelli cioè che necessitano di una vera e propria organizzazione per poter essere curati, cominciano ad essere abbandonati, dato lo stato di grande confusione che vive l’intera città.
Restano però attivi quelli dei cortili interni dei palazzi, delle aiuole sotto casa, che possono essere gestiti anche da una sola famiglia e che fungeranno ancora da sostentamento, per molti romani, fino a tutto il 1945. Poi, con la fine della guerra, le aiuole torneranno ad essere aiuole, i cortili torneranno cortili, i parchi parchi, dando così il segno di un lento ritorno alla normalità, dopo uno dei periodi più bui nella storia di Roma e del mondo intero.