Er mejo fico der bigonzo
“Ao, sei proprio er mejo fico der bigonzo!” Questo antico modo di dire è ancora parecchio in uso a Roma. Viene spesso utilizzato in modo sarcastico, ironico, anche se, raramente, può anche non denotare nessuna volontà canzonatoria. Er mejo fico der bigonzo, è il più bello e il più bravo di tutti. O meglio, è colui che si ritiene essere tale, ma che spesso, alla prova dei fatti, tale non è.
Ma perché si dice così? Innanzi tutto partiamo col capire cos’è “er bigonzo”, termine romano che sta per l’italiano bigoncio o bigoncia. Si tratta di un secchio molto largo, fatto con assi di legno tenuti insieme da anelli di metallo, usato per la vendemmia dell’uva e in genere per la raccolta dei frutti.
Questo secchio era così usato, da venire citato persino nella Divina Commedia: “Troppo sarebbe larga la bigoncia che ricevesse il sangue ferrarese, e stanco chi ‘l pesasse a oncia a oncia…” (Dante, Paradiso, Canto IX)
Durante la raccolta dei fichi, i contadini erano soliti porre all’interno del bigoncio i frutti più brutti e ammaccati verso il fondo, tenendo in cima i più belli e lucidi, quelli che avrebbero fatto colpo sul padrone del terreno o su chi avrebbe dovuto comprare la frutta.
Ecco perché il modo di dire “er mejo fico der bigonzo”, in romanesco, ha assunto soprattutto un tono canzonatorio, un significato essenzialmente ironico: perché i primi fichi, quelli belli posti in cima, erano una sorta di truffa, un modo di arrangiarsi e di fare i furbi, nascondendo il basso valore del resto del contenuto.
Ciò non toglie, però, che in casi più rari, l’espressione possa essere usata in senso più letterale, per indicare davvero la persona migliore – solitamente per aspetto fisico, avvenenza e fascino – all’interno di un gruppo di individui.