Il ritrovamento di Matteotti
Era una giornata d’agosto. Per l’esattezza il 16 agosto del 1924. Ovidio Caratelli, un brigadiere dei carabinieri in licenza, passeggiava tra le campagne della macchia della Quartarella, un bosco che si estendeva fra i comuni di Riano, Castelnuovo di Porto e Sacrofano – all’epoca chiamato Scrofano – quando la sua cagnetta Trapani avvertì qualcosa di strano e lo guidò verso un mucchio di foglie e di terriccio. Lì, in una buca, piegato in due, giaceva il corpo di Giacomo Matteotti, il deputato socialista che tutta Italia cercava da due mesi.
Oggi quella zona è stata urbanizzata. La Quartarella non è più un bosco, ma solo il nome di una via, all’altezza del chilometro 25 della via Flaminia. Lì oggi è stato eretto un ceppo commemorativo, a ricordo di un evento che ha cambiato per sempre la storia d’Italia, dando inizio al famigerato ventennio, quello che avrebbe poi condotto il paese fno alla tragedia della seconda guerra mondiale.
Il discorso alla camera
Tutto aveva avuto inizio meno di tre mesi prima, il 30 maggio del 1924, quando, a Montecitorio. Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, pronunciò un discorso destinato a divenire famoso, in cui denunciava i brogli avvenuti, durante le recenti elezioni, per mano del Partito Nazionale Fascista.
Finito di parlare alla Camera, visibilmente stanco e forse un po’ sfiduciato, Matteotti si avvicinò ai suoi compagni di partito, dicendo loro a bassa voce: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Un’agghiacciante profezia che di lì a breve si sarebbe avverata.
Il rapimento
Qualche giorno dopo, il 10 giugno del 1924, Matteotti esce dalla sua residenza romana di via Pisanelli e si incammina per recarsi a Montecitorio. Raggiunto il lungotevere Arnaldo da Brescia, viene però bloccato da cinque persone, che lo caricano a forza su di una Lancia Kappa. Alla scena assistono alcuni ragazzi e uno spazzino. L’auto, a noleggio, verrà poi ritrovata in una carrozzeria di via Flaminia.
Sebbene Benito Mussolini sia già primo ministro, l’Italia, in larga maggioranza, non è ancora fascista. Il rapimento provoca una grande ondata di sdegno nel paese e, Il 27 giugno, nel luogo del rapimento, una folla di cittadini si raduna, per lasciare un fiore e commemorare il deputato socialista. Per il governo Mussolini sono momenti delicatissimi, in cui il rischio di cadere sembra altissimo.
Le indagini
In un primo momento le indagini sul rapimento si concentrano in provincia di Viterbo; in particolare a Ronciglione. Vengono esplorati boschi, caverne, catacombe, piccoli cimiteri abbandonati. Poi ci si concentra sul lago. Qualcuno dava per certo che il cadavere di Matteotti si trovasse sul fondo del lago di Vico, probabilmente legato in un sacco e assicurato al fondale con dei sassi.
Strani ricorsi storici: quando nel 1978 verrà rapito Aldo Moro, anche allora, per qualche tempo, parve esserci la certezza che il suo cadavere fosse in fondo a un lago, dove si concentrarono le ricerche: in quel caso si trattò del Lago della Duchessa.
Ma il 12 agosto 1924 avviene un colpo di scena: viene trovata la giacca insanguinata di Matteotti, in un canale di scolo lungo la via Flaminia, al diciottesimo chilometro, tra Riano e Sacrofano. Le ricerche, perciò, abbandonano il viterbese e si spostano in quella zona.
Il ritrovamento
Il 16 agosto 1924, come detto all’inizio, sarà la cagnetta Trapani, a scoprire il cadavere, dando tragicamente fine alle ricerche.
Il corpo fu trasferito momentaneamente nel cimitero di Riano dove il 18 si procedette all’identificazione da parte dei parenti. A causa anche del clima estivo, il cadavere era ormai in avanzata fase di decomposizione, tanto che per identificarlo con assoluta certezza, fu necessaria una perizia odontoiatrica.
Il 20 agosto la bara venne portata alla stazione ferroviaria di Monterotondo e caricata in un vagone merci, per essere trasferita a Fratta Polesine, paese natale del deputato, dove avrebbero avuto luogo le esequie.
Il funerale
È all’alba del 21 agosto 1924, che il convoglio con la bara contenente le spoglie di Matteotti, giunge a destinazione. Una grande folla partecipa al funerale in quel piccolo centro del veneto.
Seguiranno mesi di forte incertezza politica e di fibrillazione, fino a quando, passata l’emozione del paese per il delitto, Mussolini non riprenderà in mano la situazione e deciderà di approfittarne per dare una svolta autoritaria: “Ebbene, io dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano – dirà in parlamento nel gennaio 1925 – che assumo (io solo!) la responsabilità (politica! morale! storica!) di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato”. Da quel momento, il governo fascista, si trasformava definitivamente in regime.
Il processo
Nonostante il clima politico ormai non fosse dei più favorevoli, il processo contro gli autori materiali del rapimento e dell’omicidio verrà comunque celebrato, nel marzo 1926, presso il Tribunale di Chieti. A difendere gli imputati c’è nientemeno che Roberto Farinacci, il segretario nazionale del Partito Fascista.
Gli imputati, infatti, sono cinque iscritti al PNF, il Partito Nazionale Fascista: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. In base alle ricostruzioni dell’accusa, erano loro a bordo della Lancia Kappa che prelevò Matteotti.
Quale autore materiale dell’omicidio viene indicato Giuseppe Viola, additato come colui che sferrò il colpo di coltello al torace che uccise il parlamentare, mentre questi faceva resistenza al sequestro.
Al termine del processo, Dumini, Volpi e Poveromo sono condannati per omicidio preterintenzionale. La pena è di 5 anni, 11 mesi e 20 giorni di reclusione. Per Malacria e Viola c’è l’assoluzione. Ma l’ormai consolidato regime annullerà ben presto quella pena, emettendo un’amnistia e un indulto, che porteranno alla scarcerazione degli assassini.
Da quel momento, il caso Matteotti esce definitivamente dalla cronaca, per entrare nella storia, di cui fu uno dei punti di svolta determinanti.