Prima Leggo, poi scopro il Fatto
Che anche un banale incidente cittadino possa suscitare discussioni sull’universo mondo, è un dato che penso ciascuno di noi possa avere sperimentato, nel caso sia mai stato coinvolto in un qualunque tamponamento.
Anche laddove la dinamica dei fatti è evidente e le colpe ben chiare, c’è sempre qualcuno che solleva dubbi, che tende a descrivere diversamente le cose, che prova a mescolare le acque, o a dare un’interpretazione “creativa” alle norme stradali.
Figuriamoci allora se, fra gli automobilisti coinvolti, ci fosse anche uno dei più famosi giornalisti italiani, personaggio notissimo e presentatore tv, fustigatore indefesso di potenti, come Marco Travaglio. D’altronde anche lui è umano e, pochi giorni fa, a Trastevere, è andato a sbattere con la sua Smart.
Tra i primi a dare conto della banale ma ghiottissima notizia, c’è stato il quotidiano “Leggo”, diretto da Davide Desario, un giornale che è quasi sempre in prima fila nel fornire ai romani le piccole e grandi cronache di ciò che accade in città.
In un primo momento, quella testata ha riportato alcuni “rumors”, raccontando di una Smart di Travaglio che, all’incrocio fra via della Luce e via dei Genovesi, sbanda e finisce sui tavolini di un ristorante. E con il direttore del Fatto che, dopo un po’, si allontana all’inglese dal “luogo del delitto”.
Il “fustigatore della politica italiana” però non ci sta e, a distanza di un giorno, fornisce la sua versione dell’incidente. Travaglio comincia a parlare di ricostruzioni giornalistiche “totalmente false”, di non aver mai travolto i tavoli di nessun ristorante e di non essersi mai allontanato, anzi di essere rimasto lì, in attesa dei rilievi della municipale, per più di due ore.
A onore del vero, a quel punto Leggo si affretta subito a cambiare la sua vecchia cronaca e a pubblicare quella fornita da Travaglio, al fine di spegnere ogni accenno di polemica.
Lo sketch dell’incidente, con Corrado Guzzanti e Marco Marzocca
Ovviamente, come siano andati davvero i fatti nessuno lo sa, tranne le persone presenti e gli eventuali testimoni coinvolti. Era vera la prima versione? È vera quella di Travaglio? Nel primo caso si è teso ad aumentare le colpe del giornalista, per creare un po’ artificialmente uno scoop? Nel secondo si è teso, invece, a sminuire le colpe del giornalista, per difendere a ogni costo la sua immagine pubblica? Chissà.
Comunque stiano le cose, resta la sensazione che, anche in questa piccolissima vicenda, ci siano elementi per riflettere su quello che è la comunicazione delle notizie, che raramente arrivano al lettore davvero chiare e pulite, certe e inequivocabili, anche nel caso di vicende banali come questa.
C’è sempre un qualche piccolo o grande interesse da proteggere, vuoi il buon nome di Marco Travaglio, vuoi la legittima concorrenza fra testate. E il rischio che, sicuramente in buona fede, anche se magari inconsciamente condizionati da quegli interessi, si tenda ad esagerare o a sminuire qualche dettaglio di troppo, persino nella semplice cronaca di un tamponamento, è sempre dietro l’angolo.
Così come c’è il rischio che, sempre in buona fede, qualcuno finisca per “buttarla in caciara”, mettendo in mezzo alla ricostruzione dei fatti qualcosa che coi fatti non c’entra nulla. Proprio come avveniva in un gustosissimo sketch – relativo a un automobilista che metteva sotto un pedone – messo in scena, anni fa, da Corrado Guzzanti e Marco Marzocca. A farne le spese è spesso la verità. Ammesso che la verità esista.
E allora come districarsi? Come discernere il vero dal falso, come separare la farina dalla crusca? Mi spiace deludervi ma una risposta con un metodo infallibile non c’è. Per questo, spesso, la strada che quasi tutti scelgono, è quella di privilegiare la testata o il giornalista che ci sta più simpatico, quello che sentiamo meglio in sintonia, dandogli ragione in modo un po’ fazioso, senza ragionarci troppo su, anche quando ha torto marcio.
In questo caso, perciò, io sono in imbarazzo. Ho avuto modo di conoscere sia Travaglio che Desario. Con entrambi mi è capitato anche di pranzarci insieme. E mi stanno simpatici, nonostante tutti e due abbiano creato un’immagine pubblica non proprio da “bonaccioni”. Dunque, sul “caso Smart” hanno sicuramente ragione entrambi. Quaunque cosa dicano e scrivano. A prescindere. E così sia.