Il grattacielo senza fondamenta
In fondo, questa piccola vicenda, travalica molto i suoi ristretti confini. Pur restando una storia pienamente concreta e reale, una vicenda apparentemente di poco conto, banale, marginale, è comtemporaneamente un grande simbolo, come sono a volte le storie quaotidiane, di cui è ricca la nostra città.
Siamo in un’area a metà strada fra l’ex borgata di Fidene e Serpentara. Roma Nord. Una zona in cui, negli anni Ottanta, l’amministrazione comunale decise di investire molto nell’edilizia popolare, portando a vivere lì, a ridosso di un quartiere residenziale come Nuovo Salario, decine di migliaia di persone a reddito medio basso.
Da un punto di vista sociale, fu una scelta felice. Oggi, un po’ come accadeva nelle popolose città italiane del medioevo, dove ricchi e poveri erano spesso vicini di casa, in quell’area di Roma vivono, a stretto contatto di gomito, i benestanti professionisti della buona borghesia romana e quelli che, un tempo, si sarebbero chiamati i “popolani”, cioè operai, disoccupati, anziani con la pensione minima.
È un mix, che ha permesso alla zona di non sprofondare nel degrado sociale e in particolari problemi di criminalità, quelli che caratterizzano molti dei quartieri a più basso reddito della città. Un esempio, dunque, tutto sommato piuttosto virtuoso, anche se poco imitato dalle amministrazioni capitoline che si sono succedute nei decenni successivi.
NEL VIDEO, L’INGRESSO DELLE CANTINE DI LARGO CLOE ELMO
Tra le varie costruzioni della zona, intorno al piazzale di Largo Cloe Elmo, c’è anche un grande palazzo di una quindicina di piani, inserito in un ampio complesso di cui fanno parte altre palazzine più basse, ma molto densamente popolate.
La gestione di quel complesso, attualmente è a carico dell’Ater. Perlomeno quella delle parti più adiacenti ai palazzi, poiché alcune zone sono invece competenza del Comune di Roma. Motivo per cui, ogni volta che si apre una buca nell’asfalto, o c’è da potare una pianta, o si rompe qualche struttura, fra i due enti si apre quello stucchevole balletto di competenze che tante volte si vede, in varie zone di Roma.
È sempre difficile stabilire, in questi casi, chi abbia il compito d’intervenire, chi debba mandare le proprie squadre d’intervento, chi debba mettere i soldi, col risultato che, spesso, sono i cittadini a provvedere agli interventi e alle riparazioni, con metodi fai da te, teoricamente illegali, oltre che onerosi per le loro tasche.
Ma questa, purtroppo, è una situazione che molti romani conoscono, comune a tante aree della città. Una situazione incresciosa, per alcuni, versi, ma senza nessuna particolare originalità. A Largo Cloe Elmo, però, c’è anche una piccola cosa in più.
Più di venti anni fa, infatti, i Vigili del Fuoco dichiararono inagibili e chiusero l’accesso alle cantine che servono i palazzi di quel complesso. Non solo gli stabili di Largo Cloe Elmo, ma anche delle limitrofe Via Cesare Badiali e via Ezio Pinza. Il motivo, fu il crollo della scala in ferro che permetteva di accedere ai seminterrati, arrugginitasi e venuta parzialmente giù.
NEL VIDEO, IL BASAMENTO DEL GRATTACIELO
Da allora, quelle cantine continuano a essere chiuse. Nessuno però è mai intervenuto. Eppure l’arrugginimento prima e il crollo poi della scala, era evidente che fosse dovuto a delle infiltrazioni, che andavano perciò riparate. Ancora oggi, se si accosta l’orecchio ai portoni sbarrati delle cantine, si sentono incessanti scrosci d’acqua. Segno che quelle infiltrazioni non solo non si sono ridotte, ma stanno forse peggiorando.
A ulteriore beffa, per gli abitanti della zona, l’Ater in tutti questi anni, ha continuato a richiedere il pagamento per l’uso di quelle cantine, conteggiate nei canoni di affitto sotto la voce “oneri accessori”, nonostante nessuno, né i residenti, né eventuali tecnici, abbia più potuto usarle, né metterci piede, fin dalla fine del secolo scorso.
Cosa ci sia oggi e quale sia lo stato delle cantine, nessuno lo sa. Di certo topi, rospi, zanzare, vi hanno preso stabilmente dimora e, di tanto in tanto, sbucano fuori da qualche pertugio, per occupare anche altre zone di quel complesso abitativo.
Ma, dopo tanto tempo in cui nessuno ha potuto constatare di persona la situazione, qualche residente, più creativo e sarcastico, sta iniziando anche a favoleggiare, ironicamente, la possibile presenza, nei sotterranei del palazzo, di qualche esotico esemplare di quei “leggendari” coccodrilli, che qualcuno dice vivano anche nelle fogne di New York.
Nel quadro venutosi a creare, la questione più preoccupante, però, è un’altra. Perché, se ci si avvicina alle fondamenta di quel palazzo di quindici piani cui accennavamo prima, ci si accorge come lì l’acqua sgorghi copiosa dal basamento del grattacielo e abbia creato diverse cascatelle, varie zone di muffa, la crescita di vegetazione spontanea, oltre che numerose crepe e fessure nel cemento.
Una situazione decisamente rischiosa, considerato che quello è il muro che deve reggere il peso dell’intero altissimo palazzo. A lasciarlo così – vuoi per mancanza di fondi o magari per distrazione, o per rimpallo di competenze – anche per i prossimi anni, il rischio di un crollo improvviso e devastante, sta diventando piuttosto concreto.
Ed è qui che questa piccola e banale storia di periferia, diventa anche una metafora che ci coinvolge tutti. Perché quel palazzo ha molto in comune con l’intera città. Alto, importante, dignitoso, retaggio di scelte a loro tempo più che positive, densamente popolato da un’umanità variegata e anche decisamente simpatica, a conoscerla, ma da decenni lasciato nell’incuria proprio nelle sue fondamenta, nelle sue strutture portanti.
Sto parlando di quel palazzo, ovviamente, ma le stesse parole potrebbero essere usate, in un identico modo, per Roma, presa nel suo complesso. Per questo un rapido intervento di risanamento, anziché il proseguire dell’incuria e del degrado di quel palazzo e di quell’area, non sarebbe solo un gesto importante per chi risiede lì – un gesto, oltre tutto, capace di prevenire future tragedie – ma sarebbe un segnale simbolicamente importante per tutta la città.