Alberto Urbani, arte a Casalpalocco
Messe nella stessa frase, le parole “arte” e “Roma” fanno pensare all’antico. Oppure, qualche tempo dopo, a via Margutta e piazza del Popolo. O sennò, ancora più di recente, a San Lorenzo e a una serie di studi ed esperienze, spesso annidati dentro spazi che furono industriali, sparsi da Centocelle alla Salaria, da Pietralata al Quadraro.
Quasi a nessuno verrebbe in mente, nella geografia artistica dell’urbe, di menzionare Casal Palocco, consegnata chissà se per sempre a quell’idea di “pizze nel cartone e cani dietro ai cancelli” che Nanni Moretti infilò nel suo Caro diario.
Il film va per i trent’anni, ma basta farsi un giro intorno all’ora di cena – o a un’ora qualsiasi per i cani – per constatare che è ancora così.
Anche l’aperitivo va forte, e quando è il momento trasforma Le Terrazze, grande piazza di pedoni e commercio che è cuore del quartiere, in una “spritzlandia” vivace e brulicante.
Neanche lì uno si immaginerebbe che basta scendere di un livello per approdare in un mondo a parte, intonato all’idea che per essere underground, prima di tutto, bisogna stare sotto.
E invece se si scende per una rampa che sta a dieci metri da vetrine e tavolini, e si approda alla strada di servizio che passa più in basso, tra un forno e l’andirivieni dei furgoni che riforniscono i negozi c’è il laboratorio di Alberto Urbani, spesso chiamato solo Lab, chissà se perché suona bene o per il gusto di eliminare l’oratorio.
Lui, Alberto Urbani, scultore cinquantaseienne che magrezza e maglietta dei Sex Pistols fanno sembrare più giovane, lavora solo col ferro.
Il suo laboratorio, che non ha insegna, è prima di tutto un casino, in coerenza con migliaia di studi che hanno punteggiato la storia dell’arte quasi dappertutto.
Ma è anche, per le stesse ragioni, uno spazio mezzo magico in cui ferraglia di quasi ogni provenienza riposa quanto dice l’artista, ma prima o poi trova spazio in una delle sue opere in cui freni a disco, frizioni o serbatoi di moto diventano aquile, pappagalli o grattacieli a seconda del periodo e dell’ispirazione.
Diviso senza precisione in due metà, il Lab si apre con uno spazio espositivo dove alloggiano alcuni pezzi finiti e perfino un divanetto, casomai qualcuno si presentasse con una birra.
Urbani però è quasi sempre in piedi, e quasi sempre nella seconda metà, quella dove si lavora, introdotta da un sipario di cerchioni di bicicletta.
Sul tavolone o per terra – dipende dalle dimensioni – c’è anche l’opera del momento, ma di solito sta in mezzo a decine di altre, finite o in via di completamento, tra cui si stagliano almeno un paio di meravigliose incompiute: un gorilla e un pesce spada a grandezza più o meno naturale che da soli valgono la visita.
Vende, Urbani, separandosi ogni volta malvolentieri da quello che si è inventato, ma vende. Questo però, si capisce dopo cinque minuti, non è luogo di marketing, non si attaccano banane ai muri e “genialità” sembra parola da usare con pudore, o per niente.
Rispetto a certi andamenti del presente Urbani alza le braccia, o le fa alzare a una delle sue opere più semplici e belle, che si chiama M’arendo (una erre, in omaggio alle radici) e sta alle sue cose come L’urlo sta a Munch.
Poi però, quando gli viene l’idea nuova, o il modo per andare avanti con qualcosa che si era incagliato, si illumina, come le lampade che faceva quando ha cominciato.
Idee a parte, qui si stringono morsetti, può succedere che si eseguano saldature, e la pratica dell’artista lambisce con frequenza il lavoro del fabbro.
Stanno in piedi, insieme a lui, anche i colleghi che spesso lo vanno a trovare, si scambiano un consiglio, condividono qualche pezzo di strada.
Sanno di non essere la Factory, e nemmeno la Scuola Romana. Rimane il fatto che in questo ex magazzino di un negozio di sport si incontrano pittori, illustratori e artisti di vario genere che vedono gente e soprattutto fanno cose in questo pezzo di città che è “pianeta verde” e anche, a sorpresa, crocevia periferico dell’arte: piuma o altrimenti, come in questo caso, ferro. Da cui perfino prendere, con l’impiego delle braccia e dell’ingegno, qualche nuova forma.
una sola parola: Fantastico !
Sei un Artista.
Bravo Alberto articolo interessante che si legge creando curiosità. Complimenti