E fino al termovalorizzatore, che facciamo?
Si può essere favorevoli oppure contrari alla costruzione di un termovalorizzatore a Roma, o pensare anche che un termovalorizzatore serva, ma di dimensioni inferiori, come ha scritto qualche tempo fa Pierluigi Adami. L’argomento che il sindaco Roberto Gualtieri non avesse parlato di termovalorizzatore nel suo programma elettorale vale fino a un certo punto, perché governare una città – e una città grande e complicata come Roma – per cinque anni, o per 10 anni se si viene rieletti, può comunque comportare cambiamenti di rotta anche importanti.
Ci sono però alcune questioni non secondarie che occorre discutere. La prima e più importante è: se per costruire il termovalorizzatore ci vogliono almeno due anni di tempo (con tutto l’ottimismo del mondo, beninteso), nel frattempo, cioè nei prossimi due anni o più, cosa facciamo?
La situazione attuale è nota.
Il Comune di Roma è fermo da anni al palo di una raccolta differenziata intorno al 43-44%, cioè ben al di sotto delle indicazioni nazionali ed europee. Roma produce più rifiuti di quelli che riesce a smaltire da sola, soprattutto ora che sono andati a fuoco due impianti di Trattamento meccanico biologico (Tmb). La discarica di Malagrotta è chiusa da anni, dal 2013, e per anni è andata avanti un’indagine della magistratura per danno ambientale sugli effetti dello stoccaggio dei rifiuti sulla falda acquifera e l’ambiente (la prima udienza del processo è fissata per il 25 ottobre). A Roma servirebbe almeno una discarica di servizio dove stoccare i resti del trattamento dei rifiuti indifferenziati, che sono materiali inerti, cioè residui di lavorazione non pericolosi. Ma finora tutti i possibili luoghi dove realizzare questa mini-discarica sono stati contestati dagli abitanti e poi bocciati dal Tar o da altre istituzioni.
A Roma servirebbero anche impianti per trattare la cosiddetta frazione umida, cioè gli scarti alimentari, perché l’unico impianto che esiste, a Maccarese, non basta (ed è pure quello contestato dai residenti). La frazione umida è quella forse più consistente – in termini di peso – tra i rifiuti prodotti dalle famiglie, e potrebbe essere utile a produrre compost e biocarburante, tra gli altri impieghi. Quindi, stiamo parlando non di rifiuti, ma di risorse. Di materia prima seconda.
La conseguenza di tutto questo, è che Roma continua a inviare una parte consistente dei suoi rifiuti fuori dai propri confini e che questo ha un costo economico (Tari per i romani) e ambientale (camion in giro per l’Italia), eppure la città sembra – o meglio: è – sempre sporca.
Però, la discussione pubblica continua a riguardare il termovalorizzatore, come fosse la soluzione definitiva di tutti i mali della Capitale. O, in alternativa, si parla dell’assenteismo tra i dipendenti Ama. Che certamente è un problema, ma che impallidisce rispetto al fatto che la raccolta differenziata non aumenta, che non ci sono impianti e non c’è una discarica di servizio. O, per finire, si critica l’atteggiamento dei residenti delle periferie che si oppongono alla costruzione di impianti. Ma dopo la vicenda di Malagrotta, e dopo i numerosi scandali legati a impianti inquinanti in giro per l’Italia, è così strano che ci siano opposizioni?
E non sarebbe il caso di costruire consenso attorno alle proposte – immaginando compensazioni di vario genere nei territori dove si realizzano impianti, ma anche realizzando impianti più piccoli e diffusi – invece di tentare ogni volta blitz?
Tra l’altro, Roma è stata in emergenza rifiuti numerose volte ormai, anche quando la discarica di Malagrotta era aperta e funzionante. Per esempio, nel 2011, quando era sindaco Gianni Alemanno. E quando il governo intervenne per cercare di risolvere il problema.
E Roma è sporca da decenni. Basta ricordare le numerose campagne Ama per invitare i cittadini a non abbandonare i rifiuti in strada. Cinquantacinque anni fa, nel 1967, un servizio della trasmissione Tv7 della Rai (ancora disponibile su YouTube) segnalava l’emergenza rifiuti e denunciava l’inefficienza di quella che si chiamava allora “Nettezza Urbana”, con meno di 1.000 dipendenti (su quasi 5.000 nel complesso) impegnati effettivamente a pulire le strade della Capitale.
Forse a Roma c’è un problema più generale, legato alla politica della gestione dei rifiuti?
Invece di parlare per il momento di termovalorizzatore sì o no, che è diventato un modo per sorvolare sui problemi del qui e ora, forse sarebbe il caso di porre a questa amministrazione una serie di domande. Eccone alcune.
C’è un progetto per aumentare, e di quanto, ed entro quale data, la raccolta porta a porta dei rifiuti?
È prevista la costruzione di nuovi impianti Tmb? In quali tempi?
Il Comune valuta la possibilità, prevista per legge, di chiedere la requisizione e l’esproprio dei Tmb di Malagrotta, se fossero riaperti?
Quando e dove verranno costruiti nuovi impianti per il trattamento della frazione umida?
Il Comune valuta il ricorso ai forni dei cementifici per bruciare una parte dei rifiuti, in caso di effettiva situazione di emergenza?
Si sta pensando a una campagna di informazione rivolta direttamente ai cittadini (e agli studenti, soprattutto delle scuole primarie e medie inferiori) su come si fa correttamente la raccolta differenziata dei rifiuti? (più i materiali raccolti in modo differenziato sono consegnati “puliti” ai consorzi di recupero e riciclo, maggiore è il pagamento che il Comune riceve)
È previsto l’aumento del numero di cestini, e divisi secondo il tipo di rifiuti differenziati, in particolare in giardini e aree verdi?
[La foto del titolo è stata diffusa da Sobri su Flickr.com con licenza creative commons]